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Cronaca

Quando il dolore non lascia scelta: l’ASL TO4 istituisce la Commissione per il suicidio assistito

Un paziente chiede di accedere alla procedura prevista dalla Consulta, l’azienda sanitaria si muove nonostante il vuoto legislativo. Sette specialisti chiamati a valutare i requisiti, mentre restano aperte le ferite dei casi Welby, Englaro e Dj Fabo

Quando il dolore non lascia scelta: l’ASL TO4 istituisce la Commissione per il suicidio assistito

Suicidio assistito

Ci sono atti che, a leggerli, sembrano semplici provvedimenti amministrativi. Numeri di protocollo, firme digitali, riferimenti a leggi e sentenze. E poi ci sono provvedimenti che, pur scritti nello stesso linguaggio, contengono dentro di sé un peso umano enorme, la sofferenza di un malato, la disperazione di una famiglia, la responsabilità di un’intera comunità.

La deliberazione n. 717 del 5 settembre 2025 dell’ASL TO4, firmata dal direttore generale Luigi Vercellino insieme al direttore amministrativo Michele Colasanto e al direttore sanitario Sara Marchisio, appartiene a questa seconda categoria. Perché riguarda l’iter per l’istituzione di una Commissione Aziendale incaricata di verificare i requisiti di candidabilità alla procedura di suicidio medicalmente assistito, così come stabilito dalla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale.

Dietro a queste righe ci sono due elementi che si intrecciano: da una parte, la rigidità delle norme che regolano il fine vita in Italia, dall’altra la voce di un paziente residente sul territorio dell’ASL TO4 (Settimo Torinese, Ciriè, Ivrea e Chivasso) che, con una nota protocollata, ha chiesto di poter accedere alla procedura prevista dalla Consulta. Non un caso ipotetico, dunque, ma una storia reale che ha costretto l’azienda sanitaria a prendere posizione.

Il direttore generale Vercellino, nominato nel dicembre 2024, parte da un dato: la legge 219 del 2017, quella che disciplina il consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento, riconosce a ogni persona capace di agire il diritto di rifiutare o interrompere qualsiasi trattamento sanitario, anche se indispensabile per la sopravvivenza. Una legge che ha rappresentato un primo passo verso il riconoscimento della libertà di scelta del paziente, ma che non ha risolto il nodo più grande: l’aiuto al suicidio. L’articolo 580 del codice penale, infatti, continua a sanzionare l’istigazione e l’aiuto al suicidio, con l’eccezione di una sola area che la Corte Costituzionale, con la famosa sentenza 242 del 2019, ha definito non conforme alla Costituzione.

Quell’area è precisa e ristretta: l’aiuto al suicidio può non essere punito se il richiedente è affetto da una patologia irreversibile, se tale condizione provoca sofferenze fisiche o psicologiche che egli stesso reputa intollerabili, se è dipendente da trattamenti di sostegno vitale e se resta capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Solo in questi casi, e solo previa verifica da parte di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale con il parere del Comitato etico competente, la richiesta può essere presa in considerazione.

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È questo il quadro che ha costretto l’ASL TO4 a muoversi. Il direttore del Distretto di competenza, ricevuta la richiesta del paziente, l’ha comunicata al Comitato Etico Territoriale dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, chiedendo indicazioni sul percorso da seguire. L’azienda sanitaria ha chiesto a sua volta alla Regione Piemonte se fossero disponibili linee guida regionali per garantire uniformità di comportamento. La risposta, con protocollo del 27 giugno 2025, è stata negativa: non esistono linee di indirizzo regionali e non sono disponibili indicazioni tecnico-operative.

Di fronte a questo vuoto normativo, l’ASL ha proposto alla Regione un percorso congiunto di valutazione dei requisiti insieme al Comitato Etico, ma il parere richiesto non è mai arrivato.

E allora, per non lasciare il paziente in un limbo, si è scelto di andare avanti con i mezzi disponibili. La delibera lo dice chiaramente: l’assenza di una normativa nazionale e di linee operative rischia di generare un’inerzia procedurale in grado di limitare l’accessibilità alla procedura richiesta. Un’inerzia che sarebbe un peso insopportabile per chi si trova in una condizione di estrema vulnerabilità. Per questo l’ASL TO4 ha ritenuto necessario istituire una Commissione Aziendale che valuti, caso per caso, la sussistenza dei requisiti fissati dalla Consulta.

La Commissione avrà una composizione multidisciplinare, proprio per garantire un’analisi completa: ne faranno parte un palliativista, un medico legale, un rianimatore, un neurologo, un farmacista, uno psichiatra e uno psicologo. Non professionisti scelti a caso, ma indicati dai responsabili delle strutture complesse delle rispettive discipline: Cure palliative, Medicina legale, Anestesia e rianimazione degli ospedali di Chivasso, Ciriè e Ivrea, Neurologia, Farmacia ospedaliera e territoriale, Psichiatria, Psicologia della salute degli adulti.

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Una volta individuati, i componenti dovranno accettare l’incarico, dichiarare l’assenza di conflitti di interesse e la mancanza di obiezioni di coscienza. Perché è chiaro: la sentenza 242/2019 ha stabilito che non vi è un obbligo per i medici di prestarsi al suicidio assistito, lasciando la decisione alla coscienza di ciascuno.

La delibera prevede anche i tempi: la Commissione dovrà operare in regime istituzionale e concludere il proprio lavoro entro 45 giorni dall’adozione della nomina. Nel frattempo, il direttore del Distretto di residenza del paziente avrà il compito di attivare un percorso di cure palliative, oppure di acquisire un rifiuto documentato. E ancora: la deliberazione e quella successiva che costituirà formalmente la Commissione dovranno essere inviate al Comitato Etico Territoriale, insieme alla documentazione prodotta dalla Commissione, e alla Direzione Sanità della Regione Piemonte per ogni provvedimento di indirizzo.

Tutto questo non nasce dal nulla. Il tema del fine vita ha attraversato l’Italia per decenni, lasciando sul campo battaglie dolorose e nomi che restano impressi nella memoria collettiva. Piergiorgio Welby, che nel 2006 chiese di poter interrompere la ventilazione artificiale che lo teneva in vita. Eluana Englaro, che dopo diciassette anni in stato vegetativo fu al centro di una vicenda giudiziaria e politica senza precedenti. Dj Fabo – Fabiano Antoniani – rimasto tetraplegico e cieco dopo un incidente stradale, che nel 2017 scelse di andare in Svizzera per porre fine alla sua vita, accompagnato da Marco Cappato, che poi si autodenunciò e fu processato, aprendo la strada proprio a quella pronuncia della Consulta del 2019.

Sono storie che hanno diviso il Paese, acceso dibattiti feroci, costretto la giustizia a colmare i vuoti lasciati dalla politica. La Consulta ha fatto il suo passo, delimitando i confini. Ma da allora, nulla è cambiato sul piano legislativo. Nessuna legge è stata approvata, nessuna cornice chiara è stata offerta a medici, pazienti e famiglie.

E così oggi ci troviamo qui, a leggere una delibera dell’ASL TO4 che, pur con il linguaggio arido della burocrazia, ha il valore di un atto di coraggio. Perché significa che un’azienda sanitaria, in assenza di norme nazionali e regionali, ha scelto di assumersi la responsabilità di non lasciare solo un paziente che ha chiesto aiuto. Significa che ha deciso di creare una procedura, di fissare tempi e modalità, di affidarsi a un gruppo di professionisti che, insieme, dovranno valutare se quella richiesta rientra nei criteri fissati dalla Consulta.

Non è un via libera indiscriminato, non è un salto nel buio. È un tentativo di mettere ordine, di dare risposte in un terreno dove le risposte mancano. È anche un messaggio alla politica: non si può più aspettare. Non si può continuare a lasciare i malati nel silenzio delle istituzioni.

La delibera porta quattro firme: oltre a Vercellino, Colasanto e Marchisio, c’è quella di Carmela Ornella Ortolano, responsabile della pubblicazione. Sono firme che rappresentano un’assunzione di responsabilità precisa, chiara, senza possibilità di fraintendimenti.

Ed è qui che l’amministrazione sanitaria incontra la vita vera. Perché dietro ogni punto della delibera c’è una persona. Dietro ogni protocollo, una sofferenza. Dietro ogni comma, la dignità di chi non vuole più vivere attaccato a una macchina.

Insomma, questa delibera non è un semplice atto burocratico. È un segnale. È il tentativo, da parte di un’ASL piemontese, di rispondere al silenzio delle leggi con un atto concreto. È la traduzione in pratica di un principio stabilito dalla Corte Costituzionale. È un atto che racconta, meglio di tante parole, quanto sia urgente un dibattito vero sul fine vita. Perché mentre la politica discute, i malati non possono aspettare.

E così alla fine...

E così, alla fine, tocca sempre alla periferia fare quello che a Roma nessuno ha il coraggio di fare. L’ASL TO4 approva una delibera, la n. 717 del 5 settembre 2025, e istituisce una Commissione per valutare i requisiti del suicidio medicalmente assistito. Non un atto rivoluzionario, ma l’applicazione pedissequa della sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale. Quella che cinque anni fa aveva tracciato un perimetro chiaro: se sei malato in modo irreversibile, se soffri in maniera intollerabile, se sei dipendente da trattamenti vitali e se sei ancora capace di decidere, allora puoi chiedere aiuto per morire senza che chi ti accompagna finisca in galera.

Cinque anni fa. Ripetiamo: cinque anni fa. Da allora, il Parlamento cosa ha fatto? Niente. Anzi, meno di niente: ha fatto finta di discutere, ha inscenato qualche teatrino sull’eutanasia, ha bocciato referendum popolari, ha alzato le spalle davanti alle storie strazianti di Welby, Englaro, Dj Fabo, e ha lasciato tutto com’era. Cioè un vuoto normativo colmato solo dai giudici. Perché, si sa, il coraggio non è di casa nelle aule parlamentari.

Così succede che un paziente dell’ASL TO4 protocolla la sua richiesta di suicidio assistito. Non a Ginevra, non a Zurigo, ma a Chivasso. E l’azienda sanitaria cosa fa? Si guarda intorno, chiede lumi alla Regione Piemonte, che risponde con un’alzata di spalle: linee guida non pervenute. Allora decide di andare avanti da sola, con una Commissione di sette specialisti – palliativista, medico legale, rianimatore, neurologo, farmacista, psichiatra e psicologo – per non lasciare quella persona nell’ennesimo limbo.

E intanto a Roma? Si discute di trivelle, di poltrone, di quorum, di decreti omnibus. Sul fine vita, silenzio. Perché nessuno vuole prendersi la responsabilità di dire una parola chiara: sì o no. Preferiscono l’ambiguità, che non scontenta nessuno e umilia tutti. I malati, le famiglie, i medici, i giudici. Un Paese in cui puoi morire solo se hai i soldi per andare in Svizzera o la fortuna di abitare in un territorio dove un’ASL decide di fare il proprio dovere.

E la politica, intanto, si rifugia nel solito armamentario: la coscienza, la vita, la morte, la religione, i valori non negoziabili. Peccato che, mentre filosofeggiano nei talk show, ci siano persone attaccate a un respiratore che non hanno tempo per i sofismi. Ci sono famiglie che da anni vivono in stanze d’ospedale che non hanno voglia di ascoltare i sermoni. Ci sono medici che ogni giorno devono decidere cosa fare senza una legge che li tuteli.

La delibera dell’ASL TO4 è un atto tecnico? Certo. Ma è anche una gigantesca lezione politica: quando le istituzioni nazionali latitano, tocca a chi sta sul territorio assumersi responsabilità che non dovrebbero essere sue. È come se i sindaci dovessero scrivere la Costituzione perché il Parlamento è troppo impegnato a litigare sul terzo mandato.

Insomma, questa storia racconta meglio di mille editoriali la miseria della politica italiana: incapace di guardare in faccia la realtà, vigliacca quando si tratta di diritti civili, bravissima a parlare di “difesa della vita” solo finché non si tratta di chi la vita la sta perdendo pezzo dopo pezzo.

E allora ben venga l’ASL TO4, ben vengano i direttori generali che decidono di non nascondersi dietro l’inerzia, ben vengano i medici che scelgono di assumersi il peso di valutare. Perché se aspettiamo il Parlamento, rischiamo che passi un’altra legislatura. E, nel frattempo, un altro malato sarà costretto a varcare il confine per trovare dignità.

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