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La voce degli animali

Joy, la gatta che non vede la luce ma illumina chi la incontra

Nata in un prato e condannata alla cecità, salvata da una mano all’alba e rinata dopo 64 giorni di terapie: la storia di una gatta che trasforma la fragilità in forza e la sofferenza in luce

Joy, la gatta che non vede la luce ma illumina chi la incontra

Joy, la gatta che non vede la luce ma illumina chi la incontra

Non sempre la vita comincia con una carezza. Per Joy, la prima pagina della sua esistenza non è stata un letto morbido o una coperta calda, ma un prato selvatico, un cespuglio piegato dal vento, forse l’ombra scura di un fienile abbandonato. Lì è venuta al mondo, con una mamma stanca, impegnata solo a cercare cibo, a tenere insieme i suoi piccoli con la forza dell’istinto. Nessuna mano a proteggerla, nessun occhio a vegliare su di lei.

Già nei primi giorni, la sorte ha cominciato a bussare con crudeltà. Una congiuntivite, banale per chi vive al sicuro, è diventata una condanna senza appello. Nessuna medicina, nessun intervento tempestivo. L’infezione ha avanzato veloce, come un fuoco che divora senza sosta. Gli occhi di Joy hanno iniziato a spegnersi, uno dopo l’altro, inghiottiti da un buio che non avrebbe più lasciato spazio alla luce.

Provate a immaginare cosa significhi crescere così. Quando sei cucciola, la vita dovrebbe essere un gioco, una corsa goffa dietro i fratellini, il calore di una mamma che ti guida. Ma come fai a seguire gli altri, se non li vedi? Come fai a scappare dai pericoli, se l’unico mondo che conosci è quello che riesci a indovinare col fiuto? Joy arrancava, inciampava, restava indietro. E la sua mamma correva veloce, fuggiva dalle cose che aveva imparato a temere: il rumore delle macchine, l’odore acre della paura, il mondo intero che non perdona la fragilità.

gatto

Non sappiamo come sia successo, ma un’alba l’ha sorpresa lì, in mezzo a una grande strada. Forse aveva seguito un suono, forse si era persa. O forse, semplicemente, aveva deciso che era stanca di rincorrere e voleva fermarsi. È rimasta immobile, minuscola, nel silenzio del mattino. Davanti a lei il destino aveva due volti: il muso freddo di un’auto che avrebbe potuto strapparle il respiro, oppure una mano che avrebbe potuto tenderle salvezza. Joy, con la fiducia che solo chi non ha nulla da perdere può avere, ha scelto di credere nella mano.

E la mano è arrivata davvero. L’ha raccolta con delicatezza, l’ha portata via da quel confine tra vita e morte. Una casa, un veterinario, poi un cuscino morbido accanto a nuovi fratellini che non aveva mai conosciuto. Gli occhi erano ormai perduti, e questo non si poteva cambiare. Ma qualcosa di molto più importante si era salvato: la sua voglia di vivere.

Joy non ha mai considerato la cecità come un limite. Ha imparato presto a muoversi come un radar, anzi meglio: come un supereroe. Non vede, ma sente le mosche che ronzano nell’aria, percepisce i passi, riconosce ogni odore come fosse una mappa invisibile. Cammina senza esitazioni, evita ostacoli, non teme nulla. Ogni giorno è diventato la prova che la vita, anche quando toglie, sa anche regalare.

Gli anni scorrono, e Joy cresce circondata d’amore, con quella sua energia che sembra inesauribile. Finché, un mattino, arriva un altro colpo basso. Il respiro si fa corto, il corpo si tinge di blu, gli occhi che non ci sono più sembrano spegnersi una seconda volta. La diagnosi non lascia scampo: versamento da FIP. Una malattia terribile, che spesso non lascia tempo. Eddai, però, anche questa? verrebbe da gridare. Quante prove deve superare un cuore così piccolo?

Molti avrebbero mollato, ma Joy no. Joy è già una fenice. Sessantaquattro giorni di terapia, sessantaquattro giorni di aghi, medicine, dolore. Sessantaquattro giorni in cui un corpo fragile si è fatto campo di battaglia, in cui ogni respiro strappato è stato un atto di coraggio. E alla fine, come sempre, Joy ha vinto. È rinata, ancora una volta.

Oggi corre, gioca, insegue mosche come se nulla fosse. Non vede, ma vede tutto. Perché la sua forza è diventata la sua vista, la sua gioia è diventata la sua luce.

E forse aveva ragione Saint-Exupéry, quando scriveva nel Piccolo Principe: “Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.”

Joy lo sa da sempre. È nata cieca, ma ha insegnato a chi la incontra a guardare davvero.

Una storia tratta da libro di Eporedianimali

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