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10 Settembre 2025 - 15:14
Il 20 settembre Torino sarà l’epicentro della mobilitazione piemontese contro il genocidio in Palestina. Un corteo che partirà alle 14.30 da piazza Statuto e che si annuncia come un appuntamento di massa, non solo per la quantità di adesioni già raccolte ma per il carico simbolico che porta con sé. Non si tratta soltanto di una manifestazione: è la risposta di una parte della società civile e politica che non accetta più di restare in silenzio mentre un popolo viene massacrato sotto gli occhi del mondo.
Organizzatore è il neo-nato Coordinamento piemontese per la Palestina, un insieme di realtà impegnate per la Palestina da tutta la regione.
Rifondazione è tra gli aderenti al Coordinamento e quindi ha lavorato alla piattaforma della manifestazione.
Alberto Deambrogio, segretario regionale per il Piemonte e la Valle d’Aosta, parla di un lavoro importante, nato dall’ascolto e dal rispetto reciproco.
“Abbiamo costruito una piattaforma condivisa e rispettosa dei contributi di tanti soggetti sociali e politici. È cresciuta in questi mesi una spinta reale a non restare in silenzio di fronte alla barbarie trasmessa in diretta da Gaza e Cisgiordania”.
La denuncia che accompagna questo percorso è durissima: l’Europa e l’Italia vengono accusate di essere inerti o complici.
“Il nostro Paese – sottolinea Deambrogio – porta avanti progetti di coesistenza con l’occupazione israeliana, finanzia le operazioni militari e non assume mai misure reali contro gli insediamenti e contro l’assedio. Oggi i palestinesi hanno bisogno di atti concreti: la fine dell’occupazione e lo stop alla complicità coloniale dei governi occidentali con un regime che pratica apertamente l’apartheid”.
Non è solo una battaglia di principi. Il documento alla base della mobilitazione contiene richieste precise, rivolte direttamente anche alla Regione Piemonte: interrompere ogni rapporto economico, produttivo, commerciale, accademico e finanziario con Israele, revocare gli accordi in essere e bloccare importazioni ed esportazioni di armi. Si chiede insomma che le istituzioni locali non si nascondano più dietro i limiti delle competenze, ma diventino parte attiva di un processo di pressione politica verso il Governo nazionale.
La mobilitazione avrà un passaggio intermedio, fissato per il 13 settembre, quando in varie città piemontesi (tra cui Ivrea) si terranno presidi, cortei e iniziative pubbliche di preparazione. Saranno momenti di radicamento territoriale, utili a far crescere la consapevolezza, a parlare con i cittadini e a mostrare che esiste una rete che non si limita a dichiarazioni di principio, ma che intende costruire una mobilitazione duratura.
Le parole scelte dai promotori sono inequivocabili: genocidio, apartheid, complicità. Un lessico di verità, lontano dal linguaggio diplomatico e dai giri di parole che troppo spesso caratterizzano i comunicati ufficiali delle istituzioni. È un linguaggio che non cerca attenuanti e che punta dritto al cuore del problema: mentre l’Europa discute e i governi si trincerano dietro i tavoli delle conferenze, a Gaza si muore ogni giorno.
Il 20 settembre Torino diventerà il baricentro di questa protesta. Non sarà solo un atto di solidarietà simbolica, ma una sfida politica. La sfida di chi chiede che il Piemonte si dichiari incompatibile con i massacri, che scelga di stare dalla parte di un popolo oppresso e non dei governi che lo opprimono. La sfida di chi non vuole più vedere le istituzioni locali vantarsi di accordi accademici ed economici con Israele come se fossero normali relazioni internazionali, senza domandarsi che prezzo pagano, ogni giorno, uomini, donne e bambini palestinesi.
“Esiste un’altra faccia dell’Occidente – conclude Deambrogio – quella che tiene viva la speranza di un mondo fatto di dignità e cooperazione”.
Una frase che sintetizza il senso di una manifestazione che, nelle intenzioni dei promotori, non dovrà fermarsi a un solo giorno di piazza. L’obiettivo è costruire un percorso di lungo respiro, che renda la solidarietà con la Palestina una pratica quotidiana, non un gesto occasionale.
Torino, il 20 settembre, sarà allora non soltanto una piazza di protesta, ma il luogo in cui misurare la capacità di un’intera regione di farsi voce di chi non ha voce. Un banco di prova per dimostrare che anche da qui, dal Piemonte, può partire un messaggio chiaro: non restare complici, non girarsi dall’altra parte, non accettare che l’orrore diventi normalità.
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