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Il Leoncavallo sfida lo sgombero: in sessantamila sfilano a Milano

Dal Duomo agli striscioni sul Pirellino, tra solidarietà sindacale, tensioni e polemiche politiche: il centro sociale rilancia il suo futuro dopo lo sfratto del 21 agosto

Il Leoncavallo sfida lo sgombero: in sessantamila sfilano a Milano

Il Leoncavallo non è morto, anzi. Il messaggio che attraversa Milano, scandito da cori, striscioni e musica, è chiaro: «Andare avanti». Così il corteo convocato dopo lo sgombero del 21 agosto ha attraversato le vie del centro fino a Piazza Duomo, il cuore simbolico della città. Una manifestazione imponente, stimata in almeno ventimila persone – anche se i promotori parlano di sessantamila – che ha voluto ribadire la vitalità di uno spazio che per oltre quarant’anni ha rappresentato un punto di riferimento culturale e politico.

L’appello del Leonka non è rimasto circoscritto a Milano. In contemporanea, in diverse città italiane, si sono svolti presidi e iniziative di solidarietà, legati anche alla mobilitazione internazionale della Global Sumud Flotilla per Gaza. Proprio alla flotilla è arrivato l’appoggio esplicito del segretario della Cgil Maurizio Landini, che da Reggio Emilia – alla manifestazione per la Palestina – ha promesso che il sindacato valuterà «tutte le iniziative necessarie» per proseguire la battaglia.

Ma non ovunque la protesta è stata pacifica. A Vicenza, nei pressi di un cantiere dell’alta velocità, la polizia ha usato gli idranti contro i manifestanti che tentavano di forzare un cancello. A Milano, invece, le forze dell’ordine si sono disposte lungo il percorso del corteo, pronte a intervenire in caso di disordini.

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Lungo il tragitto non sono mancati momenti di frizione. Un gruppo ristretto di antagonisti ha provato a deviare in corso Monforte verso la Prefettura dietro lo striscione «Questa città di chi pensate che sia. Basta sgomberi». Da lì sono partiti petardi e uova, caduti comunque a distanza dagli agenti. Un’azione dimostrativa, come quelle messe in atto in altri punti simbolici della città: sul “Pirellino” sono apparsi gli slogan «Occupare è giusto» e «Contro la città dei padroni», mentre in piazza Cinque Giornate alcuni attivisti hanno srotolato striscioni da un’impalcatura. Episodi che hanno alimentato le polemiche e spinto alcuni manifestanti a indirizzare insulti direttamente al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.

Immediata la reazione politica. La premier Giorgia Meloni ha espresso «piena solidarietà» al ministro e alle forze dell’ordine, condannando «gli inaccettabili insulti» e ribadendo che non verrà meno l’impegno del governo per «ripristinare la legge dove è violata». Accanto a lei, il presidente del Senato Ignazio La Russa ha chiesto che «tutti prendano le distanze da episodi che nulla hanno a che fare con il dissenso», mentre il governatore lombardo Attilio Fontana ha parlato di «azioni scellerate». Nel mirino dei contestatori è finito anche l’immobiliarista Manfredi Catella, fondatore di Coima e coinvolto nell’inchiesta urbanistica che tocca anche il Pirellino: la sua condanna alle «occupazioni illegali» è stata letta al megafono durante il corteo, suscitando una bordata di insulti.

Eppure la manifestazione, nella sua essenza, è stata molto più ampia e variegata di quanto i momenti di tensione possano suggerire. In strada si sono visti bambini nei passeggini, famiglie intere, anziani con le kefieh, militanti dei centri sociali e associazioni storiche come l’Anpi e l’Arci. Nutrita anche la presenza sindacale, con delegazioni della Cgil e della Fiom. E accanto ai militanti, volti noti dello spettacolo: Claudio Bisio, Bebo Storti, Paolo Rossi e l’intero gruppo di The Comedians (assente solo il regista Gabriele Salvatores, che ha comunque fatto arrivare la sua adesione). Per la presidente delle Mamme antifasciste del Leoncavallo si è trattato di una manifestazione «molto partecipata e molto eterogenea», esattamente come auspicato.

Le reazioni restano polarizzate. Per il ministro Piantedosi lo sgombero è stato un «provvedimento doveroso». Di parere opposto il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, che lo definisce un atto di «politica criminale» perché ha chiuso, seppure temporaneamente, «un’alternativa politica e culturale». Sul futuro del Leonka resta un punto interrogativo: il Comune ha pubblicato un bando per individuare una nuova sede, ma gli spazi proposti necessitano di interventi onerosi.

Lo ha ribadito dal palco Daniele Farina, storico portavoce del centro sociale, che ha lanciato un appello diretto: «Se ci siete, manifestatevi per comprare la sede di via Watteau. Se ci sono imprenditori illuminati, che vengano avanti».

Il corteo di sabato 6 settembre ha dunque mostrato, oltre alla capacità di mobilitazione, anche l’urgenza di una prospettiva chiara per il Leoncavallo. L’ex sede di via Watteau resta sotto presidio delle forze dell’ordine, mentre il movimento cerca una nuova casa. Una vicenda che intreccia la storia della città, le dinamiche della gentrificazione, gli equilibri politici e le tensioni sociali.

Il Leonka, almeno per ora, non arretra. Le sue bandiere, agitate tra le guglie del Duomo e gli applausi della folla, raccontano che la partita è ancora tutta aperta.

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