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04 Settembre 2025 - 17:38
Torino, l’Università esplora le onde nascoste negli oceani: cosa stano cercando?
Il futuro del clima terrestre potrebbe passare anche da un laboratorio del Dipartimento di Fisica dell’Università di Torino. Qui, nei prossimi cinque anni, un team guidato dal giovane fisico Giovanni Dematteis studierà uno degli aspetti più misteriosi e affascinanti del pianeta: le onde interne degli oceani, quelle che non si vedono in superficie ma che trasportano energia in profondità e giocano un ruolo decisivo nella regolazione del sistema climatico globale. Il progetto, battezzato Oppiwam, è stato finanziato con 1,5 milioni di euro provenienti da fondi europei, un riconoscimento che conferma la solidità scientifica della proposta e la centralità del tema nella ricerca internazionale.
L’obiettivo è ambizioso: capire come l’energia che entra negli oceani, principalmente dai venti e dalle maree, venga trasferita dalle grandi scale – quelle delle correnti e dei bacini interi – fino alle piccolissime scale, dove si innesca la turbolenza. È in quel passaggio che si gioca gran parte della partita climatica, perché la turbolenza è ciò che mantiene viva la circolazione oceanica globale, il cosiddetto “nastro trasportatore” che distribuisce calore e nutrienti da un capo all’altro del pianeta.
Le onde interne oceaniche, invisibili agli occhi dei satelliti e difficilissime da misurare direttamente, sono il principale canale di questo trasferimento energetico. Si generano quando correnti e maree incontrano rilievi sottomarini o quando masse d’acqua di diversa densità scorrono una sull’altra. A differenza delle onde di superficie, che si infrangono sulle spiagge e sono ben conosciute, le onde interne viaggiano nelle profondità marine, creando oscillazioni che possono estendersi per centinaia di chilometri e durare giorni. La loro importanza per il clima è enorme, ma i modelli attuali faticano a rappresentarle con precisione, generando margini di incertezza che si ripercuotono sulle previsioni di lungo termine.
È qui che Oppiwam intende fare la differenza. Il progetto si articolerà su tre livelli paralleli. Il primo è lo sviluppo di un codice numerico avanzato in grado di descrivere in modo realistico la dinamica delle onde interne attraverso scale diverse, superando le semplificazioni finora utilizzate. Il secondo prevede la costruzione di modelli interpretativi, non semplici “scatole nere” alimentate da dati, ma strumenti che abbiano basi solide nelle leggi fisiche che governano gli oceani. Il terzo livello, infine, consisterà nella validazione di questi modelli grazie ai dataset globali più aggiornati, raccolti da boe, flotte di droni marini, sensori satellitari e campagne oceanografiche internazionali.
Il risultato atteso non è solo un passo avanti nella conoscenza scientifica, ma anche un contributo concreto al miglioramento dei modelli climatici globali. Oggi le previsioni su temperature, piogge e correnti oceaniche hanno ancora margini di incertezza che possono cambiare radicalmente lo scenario a seconda delle ipotesi di partenza. Integrare in modo accurato la dinamica delle onde interne significherebbe ridurre questi margini, offrendo strumenti più affidabili a chi deve pianificare politiche ambientali, energetiche e agricole.
Per Torino, la vittoria del bando e l’avvio di Oppiwam hanno anche un valore simbolico. La città, tradizionalmente legata all’industria manifatturiera e all’automotive, conferma di poter giocare un ruolo di primo piano nella ricerca di frontiera in campi che sembrano lontani, come l’oceanografia e la climatologia. È un esempio di come le università italiane, quando supportate da finanziamenti adeguati e da reti internazionali, possano attrarre talenti e risorse capaci di incidere a livello globale.
Il tema delle onde nascoste è affascinante anche per le implicazioni culturali che porta con sé. Nell’immaginario collettivo l’oceano è una distesa uniforme, ma in realtà nasconde una struttura estremamente complessa, dove la fisica dei fluidi si intreccia con la biologia marina e con la meteorologia. Le onde interne, ad esempio, contribuiscono a mescolare le acque ricche di nutrienti delle profondità con quelle superficiali, alimentando la catena alimentare marina. Studiare il loro comportamento significa quindi anche comprendere gli equilibri che sostengono la biodiversità oceanica e, in ultima analisi, la vita umana che da essa dipende.
Il progetto di Dematteis non parte da zero. Negli ultimi anni la comunità scientifica internazionale ha compiuto progressi notevoli nell’osservazione degli oceani, con missioni come Argo, che ha disseminato migliaia di boe autonome capaci di registrare temperatura, salinità e correnti fino a duemila metri di profondità. Ma tradurre questa mole di dati in modelli predittivi resta una sfida. È qui che si inserisce Oppiwam, con l’idea di usare un approccio integrato che combini osservazioni, teoria e simulazioni numeriche.
Se i risultati saranno quelli attesi, tra cinque anni potremmo avere modelli climatici più affidabili, capaci di prevedere con maggiore precisione fenomeni come El Niño o le ondate di calore marino, che hanno impatti devastanti su ecosistemi e attività economiche. Un passo che non riguarda solo la ricerca accademica, ma anche la vita quotidiana di milioni di persone, dall’agricoltura alle politiche energetiche, fino alla gestione delle emergenze climatiche.
Per l’Università di Torino, Oppiwam rappresenta dunque una sfida scientifica e un’occasione di visibilità internazionale. Un progetto che ribadisce come anche una città lontana dal mare possa diventare protagonista nella comprensione degli oceani. La posta in gioco non è solo accademica: è la capacità di anticipare i cambiamenti climatici e di prepararsi ad affrontarli con strumenti adeguati.
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