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Torino tappezzata di mariti in mutande: Andrea Villa lancia la moda autunno patriarcato

Nel capoluogo sono apparse foto di alcuni mariti che facevano parte del gruppo sessista “Mia moglie”. Un'opera di Andrea villa contro maschilismo e patriarcato

“Mio marito”, a Torino i manifesti provocatori con le foto dei mariti molestatori

Uno dei manifesti apparsi a Torino

C’era da aspettarselo: dopo Ferragni versione Grande Fratello orwelliano, dopo il Papa trasformato in manifesto d’amore universale, lo street artist torinese Andrea Villa torna a colpire con una delle sue graffianti operazioni di satira visiva. Questa volta il bersaglio non è un personaggio famoso, né un’icona pop. No, stavolta sul banco degli imputati ci finiscono gli uomini comuni, i mariti, trasformati in inconsapevoli testimonial di un ribaltamento feroce e necessario: quello dei doppi standard patriarcali.

La serie si chiama “Mio marito” ed è già diventata virale, a partire dall’affissione in due punti strategici della città: Lungo Dora Siena 108 e Corso Regina Margherita 50. Poster giganti, immagini di uomini in intimo, esposti al pubblico ludibrio senza alcuna autorizzazione, con volti e contesti leggermente alterati. Una messa in scena disturbante, volutamente irriverente, che punta a ribaltare la logica di un gruppo Facebook tristemente noto: “Mia moglie”, dove centinaia di utenti condividono foto delle proprie compagne senza consenso, trasformando la vita privata in un mercato voyeuristico a cielo aperto.

Villa non ci gira intorno: l’opera mette in questione il concetto stesso di possesso e di esposizione del corpo femminile. Perché una donna deve pagare con la reputazione, il lavoro, perfino la dignità, mentre un uomo raramente subisce lo stesso destino? La memoria va al caso, ancora caldo, della maestra licenziata perché aveva un account su OnlyFans. Una vicenda che ha acceso dibattiti e ipocrisie, mostrando ancora una volta come nella società italiana la morale funzioni a senso unico.

Con “Mio marito”, Villa fa il contrario: ribalta il tavolo. Gli uomini diventano oggetto, merce, “pezzi di carne” appesi ai muri. Non c’è permesso, non c’è contesto, non c’è protezione: solo l’imbarazzo di ritrovarsi osservati. Ed è proprio quell’imbarazzo, secondo l’artista, a smascherare l’asimmetria. Le donne vengono punite e stigmatizzate, gli uomini no.

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Il lavoro, spiegato dallo stesso Villa su Instagram nel suo account @andrealvilla (il post ha superato i duemila like in poche ore), non è soltanto una trovata visiva: è un atto di resistenza simbolica. Una guerriglia comunicativa che usa la città come cassa di risonanza e i social come amplificatore. E non è un caso che l’artista si presenti, ancora una volta, indossando la sua maschera specchiata: lo specchio lo mette in faccia a chi guarda, non a sé stesso.

A Torino, dunque, la street art non si limita a colorare i muri: li trasforma in tribunali. E Andrea Villa, con la sua nuova provocazione, ci sbatte davanti uno specchio crudele. Questa volta, però, i protagonisti non sono le mogli esibite senza pudore. Sono i mariti, i padri di famiglia, i “bravi ragazzi” messi a nudo per ricordarci che la parità di trattamento non è ancora di casa.

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