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Da Catania e da Tunisi, da Genova e Barcellona partono le navi del coraggio per rompere l’assedio di Gaza

Da Barcellona a Genova, da Tunisi alla Sicilia: alcune imbarcazioni sono già partite, altre salperanno nei prossimi giorni. La più grande mobilitazione civile via mare mai tentata unisce delegazioni da 44 Paesi. Tra gli aderenti Greta Thunberg, Ada Colau, Alessandro Barbero, Zerocalcare, Luis Tosar, Carolina Yuste, Fernando León de Aranoa e Carlos Bardem

Partono le navi del coraggio: dal mare un grido per rompere l’assedio di Gaza

Partono le navi del coraggio: dal mare un grido per rompere l’assedio di Gaza

È il 30 agosto e il Mediterraneo respira un’aria che non è quella di un normale giorno d’estate. Le coste di Genova e Barcellona hanno già visto salpare le prime imbarcazioni della Global Sumud Flotilla, la più grande mobilitazione civile via mare mai tentata per rompere l’assedio di Gaza. Sulle banchine la gente ha applaudito, qualcuno ha pianto, molti hanno salutato con le bandiere palestinesi in mano e con i telefoni alzati per immortalare un momento che somiglia a una pagina di storia. Le prime navi sono partite tra applausi e cori, mentre altre si preparano a lasciare i porti della Sicilia e di Tunisi. Non è un viaggio qualunque: è un’azione collettiva che attraversa i confini, unisce le lingue e le culture, e porta con sé la parola araba “Sumud”, che significa resistenza, perseveranza, testardaggine a restare umani anche quando il mondo sembra voltarsi dall’altra parte.

A Barcellona, secondo quanto racconta la Cadena SER, la partenza è stata accompagnata da un evento di popolo. Il Moll de la Fusta si è trasformato in un palcoscenico all’aperto: concerti di artisti come Morad, Macaco, Clara Peya, un festival improvvisato in onore di chi partiva. Migliaia di persone hanno occupato il porto trasformando la vigilia in una festa che sapeva anche di addio. Gli applausi e le canzoni hanno coperto per qualche istante l’ansia del rischio, la consapevolezza che chi parte potrebbe essere intercettato, fermato o addirittura aggredito dalle forze israeliane. Gli organizzatori hanno invitato a non divulgare dettagli sulle rotte, per evitare sabotaggi. Ma nonostante la segretezza necessaria, la partenza è stata seguita da giornalisti di tutto il mondo.

In Italia è toccato a Genova dare il primo segnale. L’associazione Music for Peace, in soli cinque giorni, ha raccolto oltre 80 tonnellate di aiuti: cibo, medicinali, prodotti essenziali, tra cui miele e integratori facili da assumere per chi soffre la fame. Le immagini arrivate dalla città ligure raccontano di magazzini pieni, camion in fila per scaricare, volontari che lavorano senza sosta. E poi la piazza: famiglie, giovani, anziani, tutti riuniti per salutare la partenza delle imbarcazioni. “È una missione che appartiene a tutti noi”, ha detto un volontario intervistato da un Tv locale. E la sensazione era proprio quella: che le banchine fossero diventate il prolungamento delle piazze, un luogo dove la solidarietà prende forma concreta.

Il ricordo della Mavi Marmara del 2010 non abbandona nessuno. Quella volta, in acque internazionali, i militari israeliani abbordarono la nave turca e uccisero nove attivisti. Da allora ogni Flotilla è segnata da questa memoria, ma la Global Sumud si presenta diversa. Non più un singolo bastimento, ma decine di barche. Non poche decine di persone, ma centinaia di civili e decine di giornalisti. Non un’azione isolata, ma una mobilitazione coordinata in quattro continenti. Per questo la domanda che aleggia nei comunicati e negli articoli di stampa è sempre la stessa: Israele avrà il coraggio di ripetere un gesto di forza davanti al mondo intero?

A rendere la Flotilla ancora più imponente sono le adesioni, nomi che da soli basterebbero a calamitare l’attenzione mediatica. C’è Greta Thunberg, che ha confermato la propria partecipazione e ha ribadito che “azioni come questa non dovrebbero essere necessarie: è compito dei governi far rispettare il diritto internazionale”. C’è l’ex sindaca di Barcellona Ada Colau, che ha annunciato che salirà su una delle navi definendo la missione “la più grande mai organizzata via mare”. Ci sono attori e registi spagnoli come Luis Tosar, Carolina Yuste, Fernando León de Aranoa, Carlos Bardem, che hanno prestato la propria voce in appelli pubblici e in interviste, dichiarando che non si può essere complici del silenzio. La stampa spagnola parla di un movimento che è diventato “tema centrale” non solo nelle piazze, ma anche nei talk show e nelle radio.

E non è solo Spagna. Dall’Italia, il sostegno è arrivato da figure centrali del panorama culturale. Lo storico Alessandro Barbero ha prestato il suo volto e la sua autorevolezza, spiegando che la Flotilla è un modo per “restare umani” e non ridursi a spettatori di un massacro che dura da troppo tempo. Accanto a lui il fumettista Zerocalcare, che ha raccontato ancora una volta la Palestina con il suo linguaggio diretto e che sui social ha rilanciato la missione. E poi musicisti, scrittori, intellettuali che hanno aggiunto la loro voce. A dare consistenza pratica, oltre alle adesioni simboliche, ci sono state le raccolte fondi e le iniziative diffuse in decine di città italiane: fiaccolate, eventi pubblici, conferenze.

In queste ore la stampa internazionale, da Reuters a El País, sottolinea che la Global Sumud Flotilla è frutto di una convergenza senza precedenti: la Freedom Flotilla Coalition, che dal 2010 coordina le missioni via mare; la Global March to Gaza; la Maghreb Sumud Flotilla; e la rete asiatica Sumud Nusantara. Insieme hanno messo in campo una coalizione che coinvolge oltre 44 Paesi, con circa 50 imbarcazioni e più di 15.000 persone registrate. Non è solo un gesto simbolico, ma la costruzione di un evento politico e mediatico globale.

Nei porti italiani e spagnoli le immagini sono quelle di applausi, lacrime, abbracci. A Barcellona, raccontano i cronisti, le famiglie degli attivisti hanno accompagnato i loro cari fino alla passerella, qualcuno con bambini in braccio, qualcuno con la voce rotta. A Genova, una signora anziana ha raccontato a un giornale locale: “Ho portato qualche pacco di riso, non posso fare altro, ma sapere che sarà su una di quelle barche mi fa sentire meno impotente”. È questo il cuore della Flotilla: trasformare gesti piccoli in un movimento grande.

Il comunicato ufficiale degli organizzatori dice: “Siamo una coalizione di persone comuni che credono nella dignità umana e nel potere dell’azione nonviolenta. La nostra fedeltà è alla giustizia, alla libertà e alla sacralità della vita. Quando il mondo resta in silenzio, noi salpiamo”. Ed è proprio questo che accade oggi. Il mondo ufficiale, quello dei governi e delle cancellerie, resta immobile; ma il mare si muove, e con esso le coscienze.

La Global Sumud Flotilla non si limita a portare aiuti, anche se cibo e farmaci sono vitali per una popolazione ridotta allo stremo. Porta soprattutto un messaggio: Gaza non è sola, la società civile internazionale non accetta che l’assedio diventi normalità. Porta la domanda scomoda ai governi europei: perché devono essere cittadini, intellettuali, artisti a fare quello che la diplomazia non ha la volontà di fare?

E così oggi, 30 agosto, alcune imbarcazioni sono già in mare, con le vele spiegate e gli occhi del mondo addosso. Altre seguiranno nei prossimi giorni, fino a comporre un corteo che attraverserà il Mediterraneo come una cicatrice luminosa. Il rischio è enorme, la possibilità di essere intercettati o sequestrati concreta. Ma nelle banchine, nei cori, nelle parole degli aderenti, resta una certezza: anche se non tutte le barche arriveranno a destinazione, anche se l’assedio non verrà spezzato materialmente, il muro del silenzio è già stato incrinato.

E forse è questo il vero successo della Global Sumud Flotilla: aver rimesso Gaza al centro del dibattito, aver acceso i riflettori internazionali, aver fatto sì che la parola “sumud” non fosse solo resistenza di un popolo lontano, ma gesto condiviso di un’umanità che, almeno per un tratto di mare, decide di restare umana.

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