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Pioggia inutile: in Canavese mucche senz’acqua, margari costretti a scendere

Bruno Mecca Cici: “È una stagione da dimenticare per l’economia d’alpeggio”

Pioggia inutile: in Canavese mucche senz’acqua, margari costretti a scendere

Pioggia inutile: in Canavese mucche senz’acqua, margari costretti a scendere

Le piogge degli ultimi giorni non sono bastate. Nei pascoli alpini delle valli torinesi, e quindi anche nelle zone più alte del Canavese, l’erba continua a scarseggiare e i margari si trovano davanti all’ennesima emergenza. A denunciarlo è Coldiretti Torino, che ha chiesto alla Regione Piemonte di autorizzare la discesa anticipata delle mandrie dagli alpeggi, anticipando così la fine della stagione d’alpeggio che, tradizionalmente, si conclude solo a settembre inoltrato.

«È una stagione da dimenticare – commenta il presidente Bruno Mecca Ciciun altro colpo all’economia d’alpeggio, che non è soltanto identitaria per il territorio montano, ma rappresenta anche un segmento fondamentale dell’economia alpina torinese con 460 alpeggi attivi distribuiti in 11 valli e circa 3.000 addetti che lavorano in imprese a conduzione familiare».

La siccità, unita al caldo intenso che da tre mesi non dà tregua, ha letteralmente “bruciato” i pascoli. In particolare quelli esposti a Sud e Sud-Ovest, che hanno sofferto maggiormente per l’irraggiamento solare. Non solo: il caldo eccezionale ha accelerato la fusione dei nevai, privando la montagna della scorta d’acqua naturale che, in condizioni normali, serve a mantenere in vita i rii e le sorgenti durante l’estate. Il risultato è che molti alpeggi sono rimasti senz’acqua per l’irrigazione dei prati e, ancora più grave, per l’abbeveramento degli animali.

Il quadro tracciato da Coldiretti è allarmante: «In questi giorni in molti alpeggi manca letteralmente l’acqua», denuncia l’associazione. Per i margari del Canavese la situazione è particolarmente pesante: senza pascoli sufficienti e senza acqua, le mandrie non possono restare in quota. Da qui la richiesta ufficiale alla Regione di concedere il rientro anticipato in pianura, una scelta che comporta costi aggiuntivi per gli allevatori ma che è ormai inevitabile.

Un comparto che vale milioni

Dietro l’allarme c’è un settore economico che nel Canavese e nelle Valli di Lanzo ha numeri imponenti. Nelle sole valli torinesi, infatti, pascolano oltre 35mila bovini distribuiti in 420 alpeggi, a cui si sommano 44mila ovini allevati in altri 200 alpeggi. Allargando lo sguardo all’intero Piemonte, si superano i 96mila bovini e i 105mila ovicaprini. La forza lavoro impegnata è di circa 3.000 addetti, molti dei quali giovani allevatori che hanno deciso di rimanere sul territorio scommettendo sulla montagna.

Il valore economico è significativo: la produzione di formaggi e burro pregiati tocca quota 7 milioni di euro. Nei caseifici d’alpeggio si trasformano in una stagione oltre 11 milioni di litri di latte prodotti dalle bovine da latte, che diventano più di 80mila forme di formaggio stagionato. A dominare c’è la Toma di Lanzo, seguita dal Plaisentif, il cosiddetto “formaggio delle violette”, e da altri prodotti come il Cevrin e il Blu erborinato. Non mancano le produzioni di burro artigianale, con oltre 200mila panetti all’anno.

Il rischio di un’eredità compromessa

Oltre al danno economico, Coldiretti lancia un monito sul piano culturale: l’alpeggio non è solo un’attività produttiva, ma rappresenta un pezzo di identità per le comunità montane del Canavese. Le vacche e le pecore che salgono in quota per i classici “cento giorni” estivi non portano con sé soltanto latte e formaggi, ma anche una tradizione secolare che tiene in vita i territori.

L’emergenza climatica rischia di comprometterne il futuro. Già a inizio estate Coldiretti aveva denunciato la scarsità di erba in montagna, causata da un caldo precoce che aveva accelerato la fioritura e fatto ingiallire le erbe prima ancora che le mandrie arrivassero a pascolare in quota. Ora la situazione si è aggravata, costringendo molti allevatori a fare i conti con spese non previste per l’acquisto di foraggi e per il trasporto anticipato degli animali a valle.

La richiesta è chiara: servono misure straordinarie. Da un lato l’autorizzazione immediata alla discesa anticipata, dall’altro una riflessione più ampia sulla manutenzione della rete irrigua alpina, oggi abbandonata, che un tempo permetteva di portare acqua in modo capillare ai pascoli. «Senza acqua – ribadiscono gli allevatori – non c’è futuro per l’alpeggio».

E nel Canavese, dove l’allevamento e la trasformazione casearia di montagna sono ancora una parte viva dell’economia locale, l’emergenza di quest’estate potrebbe lasciare un segno difficile da cancellare.

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