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29 Agosto 2025 - 19:10
USSEGLIO. Nelle remote valli piemontesi, ad oltre 2000 metri sul livello del mare, si sta delineando uno scenario opaco in cui le ambizioni nazionali di autonomia strategica e decarbonizzazione si scontrano con le incertezze delle comunità locali rispetto al futuro del loro territorio. Al centro di questo intreccio si colloca Punta Corna, una vetta che sovrasta i piccoli comuni montani di Balme e Usseglio e custodisce una risorsa che sembrava essere stata dimenticata, ma che la “transizione verde” sta riportando al centro dell’attenzione: il cobalto.
I territori delle Valli di Lanzo, infatti, hanno una storia mineraria di lunga data. L’estrazione di ferro e cobalto ha rappresentato la colonna portante della loro economia fino a quando le miniere sono state chiuse all’inizio del ‘900. Dopo quasi un secolo di inattività, il 2020 ha segnato una svolta e la vetta Punta Corna è tornata al centro dell’attenzione grazie all'interesse di Altamin Ltd, multinazionale australiana specializzata nel settore minerario. L'azienda, attiva in Italia dal 2015, sta riorganizzando il panorama estrattivo nazionale, spinta dall'esigenza, condivisa con gli altri paesi della comunità europea, di garantire la propria autonomia e approvvigionamento di materie prime.
A questo proposito, il Think Thank TEHA Group sottolinea che “l’Europa ha una grave dipendenza dall’estero, soprattutto dalla Cina che è primo fornitore per il 56% delle Materie Prime Critiche importate in UE. Il gap di investimenti tra Europa e Cina è enorme: 2,7 miliardi di euro contro 14,7 miliardi di investimenti esteri cinesi nel 2023”. In tal senso, il caso del cobalto rappresenta un esempio lampante. Infatti, se da un lato il 70% di questo materiale viene ricavato nella Repubblica Democratica del Congo – a condizioni di lavoro disumane – dall’altro lato negli ultimi anni le aziende cinesi hanno acquisito una presenza preponderante, arrivando a controllare circa l’80% delle principali miniere congolesi attive.
“Il ragionamento è piuttosto semplice: per fare la transizione ecologica ci servono grandi quantità di materie prime critiche e non possiamo più affidarci alla sola importazione, quindi, dobbiamo ricavarcele da noi” ha spiegato il geografo Alberto Valz Gris, ricercatore del Politecnico di Torino che ha seguito la questione. Parole confermate da Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, che nel 2023, durante un incontro con una delegazione di Altamin Ltd aveva sottolineato l'impegno del governo nel sostenere la produzione mineraria nazionale e nell'attrarre investimenti stranieri. La prospettiva politica avanzata dal ministro ha quindi portato, il 1° luglio 2025, all’approvazione del Programma Nazionale di Esplorazione Mineraria (PNE), che punta a stimolare la ricerca di risorse minerarie sul territorio italiano.
Altamin Ltd, attraverso le sue controllate italiane Strategic Minerals Italia s.r.l. ed Energia Minerals s.r.l., si è posizionata come un attore chiave in questo quadro. La sua attività di ricerca si estende, infatti, ben oltre il Piemonte. Nel Lazio, l'attenzione della multinazionale è puntata sul litio geotermico. In Lombardia, si cercano giacimenti di zinco, piombo e argento. Infine, tra la Liguria e l’Emilia-Romagna, l'esplorazione si allarga a rame, zinco, cobalto, oro, argento e manganese. Un'analisi della carta interattiva Frontiere della transizione energetica curata da Valz Gris rivela l'impressionante portata del suo operato: l'azienda controlla ben sei attività esplorative, rappresentando circa un terzo di tutti i progetti di ricerca attivi sull'intero territorio italiano. Un business da milioni di euro, che conferma il ruolo predominante che la multinazionale australiana intende giocare nel rilancio del settore minerario italiano.
A questo proposito, già nel novembre 2022 Marcello De Angelis, amministratore delegato di Energia Minerals Italia s.r.l., aveva parlato di un investimento di 17 milioni di euro da parte della società australiana e la ricerca a Punta Corna era stata descritta come "al centro della strategia della Altamin in Italia per i metalli volti alla produzione di batterie". Questa visione per la vetta piemontese ha quindi portato, nel 2020, all'estensione delle attività esplorative nelle Valli di Lanzo. In seguito all’esito positivo della Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), la Regione Piemonte ha poi concesso il rinnovo del permesso fino a maggio 2026.
Nelle Valli di Lanzo regna l’incertezza
Nonostante le ambizioni e gli investimenti milionari, nell’ultimo periodo la situazione su questo progetto sembra, però, aver preso una piega inaspettata. Una patina di incertezza e scarsa comunicazione avvolge le intenzioni di Strategic Minerals Italia. Su questo punto Alberto Scatolero, sindaco di Balme, ha espresso le sue perplessità: "Da quello che so io, l'azienda ha sospeso l'incarico. Non so per quale motivo, ma credo perché non c’è pane per ciccia". Si tratta di "notizie molto vaghe" e prive di "fonti certe" – spiega – segno di una comunicazione lacunosa da parte della società. La situazione non cambia sull’altro versante, a Usseglio. Il nuovo sindaco Andrea Poma, che ha ereditato questa situazione, conferma l'assenza di informazioni aggiornate da parte della controllata italiana. A confermarlo sono anche le parole di Pier Mario Grosso, ex sindaco di Usseglio, che ha seguito l'intera vicenda fin dalla concessione dei primi permessi. “Le attività sono ferme da due anni. Non sappiamo perché, ma sono ferme" ha commentato.
La mancanza di chiarezza non aleggia solo tra le amministrazioni dei comuni montani, ma emerge anche dalle poche informazioni che si reperiscono online. Sul sito di Altamin Punta Corna è ancora elencata tra i progetti in corso, ma gli ultimi aggiornamenti risalgono al 2023, quando l'azienda sembrava intenzionata a procedere con l'esplorazione delle valli. Da quel momento, l'attività della sua controllata italiana, Strategic Minerals Italia, è entrata in un limbo di incertezza. Anche un contatto diretto con l'azienda non ha chiarito la situazione. "Al momento, non vi sono ulteriori aggiornamenti rispetto a quanto già comunicato dagli enti locali coinvolti" è stata l’unica dichiarazione rilasciata dalla sede di Bergamo. Sebbene ciò confermi la sospensione delle attività, non fornisce alcuna spiegazione sulle motivazioni e sui progetti futuri per l’area.
La vicenda di Punta Corna ha quindi sospeso il dibattito che si è acceso intorno al progetto estrattivo, tra chi vede l’estrazione come un motore di sviluppo locale e chi, invece, ne denuncia l’impatto in termini di sostenibilità sociale e ambientale. Un confronto che, per una volta, si è temporaneamente esaurito nel fatto che le montagne delle Valli di Lanzo rimarranno intatte e in silenzio. Il focus della questione si sposta, però, su un nodo cruciale che interseca tale dibattito, cioè in che misura e con quali modalità le comunità locali vengano effettivamente coinvolte nei processi decisionali che impattano direttamente i territori in cui risiedono.
In questo senso, lo scambio di informazioni quasi inesistente tra la multinazionale australiana e le amministrazioni locali in merito ai lavori a Punta Corna è un chiaro esempio di come la popolazione locale non sia stata chiamata in causa rispetto all’approvazione di un progetto che avrebbe senza dubbio avuto degli esiti rilevanti sotto diversi aspetti.
A questo proposito, una guida del Museo Civico Alpino Arnaldo Tazzetti di Usseglio, che ospita una sezione dedicata alla storia mineraria della zona, commenta: “sicuramente c'è stata poca partecipazione". Per l’operatore museale, la mancanza di una discussione aperta con il territorio e l’assenza di un’informazione chiara e trasparente sono state la radice della polarizzazione che, nel corso degli anni, ha caratterizzato l’opinione pubblica su questo fronte: “se ci fosse stata una campagna di informazione rispetto alle attività, forse le persone del posto avrebbero un'opinione più chiara", ha aggiunto la guida, sottolineando l'urgenza di un "confronto" aperto e costruttivo. Lo confermano le parole di Poma, che ad una domanda sull’eventualità che le attività esplorative possano ricominciare risponde: “non sono né contrario né favorevole. Se vengono e mi dicono che buttano giù la montagna ovviamente non sono d’accordo, ma se queste attività creassero delle posizioni lavorative per i residenti potrebbe essere un’opportunità”. Peccato che se la multinazionale riprendesse i lavori, l’opinione del sindaco – come quella del resto dei cittadini – potrebbe non essere nemmeno ascoltata.
La vicenda mineraria di Punta Corna ricorda quindi che al dibattito intorno all’espansione delle frontiere estrattive si accompagna sempre la questione della democrazia partecipativa. Non si tratta solo di valutare se le conseguenze ecologiche legate alle attività estrattive si traducano veramente in sviluppo sociale ed economico per le popolazioni locali – aspetto che molti critici mettono comunque in discussione –, ma anche e soprattutto di definire meccanismi chiari e inclusivi, che garantiscano alle popolazioni residenti un ruolo attivo e significativo nelle decisioni che modellano il loro futuro e il loro ambiente.
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