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28 Agosto 2025 - 16:49
Canavese in protesta: il presidio ospedaliero aderisce al digiuno per Gaza
Giovedì 28 agosto, anche in Canavese si è alzata una voce di protesta contro quello che i promotori definiscono senza mezzi termini «il genocidio di Gaza». Al presidio ospedaliero di Castellamonte, medici, infermieri e operatori sanitari hanno scelto di aderire alla Giornata nazionale di digiuno, un’iniziativa nata dalla rete Sanitari per Gaza e sostenuta anche da figure simbolo dell’impegno civile come don Luigi Ciotti, fondatore di Libera. Un gesto semplice e radicale al tempo stesso: rinunciare al cibo per un giorno, trasformando il proprio corpo in segno di resistenza e denuncia.
L’appello, diffuso nei giorni precedenti, non lascia spazio a interpretazioni. «Assistiamo da mesi con sgomento alle bombe, alle deportazioni, alle uccisioni di persone in fila per ottenere cibo, alla distruzione di tutte le infrastrutture civili e sanitarie, alla gravissima carestia e malnutrizione che sta subendo la popolazione di Gaza. All’arresto, alla tortura e all’uccisione di personale sanitario – almeno 1.400 operatori uccisi, secondo l’OMS – anche nel pieno esercizio delle loro funzioni». Parole nette, che riflettono la scelta di chi lavora quotidianamente a difesa della salute di tutti, ma che oggi non vuole più restare in silenzio davanti a quello che ritiene un crimine contro l’umanità.
Dal 29 luglio centinaia di operatori hanno intrapreso un digiuno a staffetta, una forma di protesta che unisce più generazioni e più territori, da nord a sud. La tappa del Canavese rappresenta un nuovo tassello in questa mobilitazione silenziosa e allo stesso tempo rumorosa, perché colpisce le coscienze. Non ci sono cortei, non ci sono slogan gridati: solo cartelli con scritto «Digiuno contro il genocidio a Gaza» e corpi che scelgono consapevolmente di patire la fame per denunciare la fame imposta a un intero popolo.
Le richieste dei promotori sono tre, e puntano direttamente alle istituzioni nazionali e locali. La prima: «Al Governo italiano chiediamo di sospendere immediatamente accordi militari e forniture di armi a Israele e di esigere un cessate il fuoco, insieme all’apertura di corridoi umanitari». La seconda: rivolta a Ordini professionali, società scientifiche, università e aziende sanitarie, chiamate a riconoscere ufficialmente il genocidio e a dichiarare il proprio impegno a contrastarlo. La terza: un appello a medici, farmacisti, pazienti, Regioni e Comuni ad aderire alla campagna di boicottaggio contro la multinazionale farmaceutica Teva, accusata di trarre profitto dalla guerra e dall’occupazione.
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Il linguaggio utilizzato è volutamente severo, lontano dai toni sfumati che spesso caratterizzano comunicati istituzionali o appelli generici. Qui non ci sono attenuanti: si parla di «genocidio pianificato deliberatamente dal governo di Israele con la complicità dei governi occidentali». Una formulazione che chiama direttamente in causa responsabilità politiche e morali, non solo lontane, ma anche vicine. E proprio per questo l’adesione degli operatori sanitari di Castellamonte assume un peso simbolico rilevante: in una provincia apparentemente lontana dai grandi scenari internazionali, il tema della guerra in Medio Oriente entra dentro le corsie di un ospedale, negli spazi quotidiani di cura.
La protesta di oggi si inserisce in una mobilitazione più ampia che, in Italia, vede la partecipazione di centinaia di operatori sanitari, attivisti e cittadini comuni. Non si tratta di un gesto isolato, ma di un movimento strutturato che utilizza lo strumento del digiuno come forma estrema di testimonianza. Un metodo che richiama altre esperienze storiche di lotta nonviolenta, dalla tradizione gandhiana fino alle campagne per i diritti civili del Novecento. In questo caso, però, l’elemento distintivo è la provenienza: non militanti politici, ma professionisti della salute, persone che hanno scelto un mestiere fondato sul principio della tutela della vita.
Il richiamo alla deontologia professionale è infatti uno dei pilastri dell’appello. «In nome dei valori che ci accomunano e che ci impegnano a difendere sempre e comunque la dignità umana, esprimiamo la nostra profonda indignazione». Non è un caso che la mobilitazione sia partita proprio dagli ospedali e dalle reti di medici e infermieri. Di fronte alla distruzione sistematica di cliniche, ambulanze, farmacie e scuole di medicina a Gaza, il silenzio del mondo sanitario internazionale rischia di trasformarsi in complicità. Ecco perché chi ha promosso l’iniziativa insiste sul fatto che istituzioni, ordini e università non possano più limitarsi a osservare, ma debbano prendere posizione pubblica.
Se la politica continuerà a voltarsi dall’altra parte, resta da vedere quanto queste iniziative sapranno incidere. Di certo, l’adesione di Castellamonte dimostra che il Canavese non resta indifferente. Al contrario, si unisce a una rete nazionale che chiede con urgenza di fermare la macchina di morte e di opporsi con chiarezza a ogni forma di complicità.
Il digiuno è, per definizione, temporaneo. Ma il messaggio che porta con sé vuole restare: il silenzio non è più tollerabile. E oggi anche da Castellamonte arriva forte e chiaro.
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