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Cronaca
28 Agosto 2025 - 15:06
Vergogna sulle Alpi: i vandali trasformano i sentieri in muri da imbrattare e bivacchi in discariche
C’è chi percorre i sentieri con lo zaino sulle spalle e il rispetto negli occhi, e chi invece decide di lasciare il proprio segno con spray e adesivi, trasformando la montagna in un parco giochi da imbrattare. È questo lo spettacolo indegno che il Parco Alpi Marittime denuncia con amarezza: scritte sui massi, cartelli danneggiati, bivacchi ridotti a discariche improvvisate. Non episodi isolati, ma una catena di gesti irresponsabili che costringono chi lavora alla tutela del territorio a trasformarsi in squadra di pulizia, togliendo tempo ed energie a ciò che davvero conta: la conservazione dell’ambiente.
Il caso più eclatante riguarda un tratto della Grande Traversata delle Alpi, tra il sentiero che porta al rifugio Genova-Figari e il Colle di Fenestrelle. Qui i guardiaparco hanno dovuto cancellare scritte e disegni lasciati su grandi massi da qualche “artista” improvvisato. Non bastava la fatica di mantenere agibili i sentieri, riparare danni naturali o garantire la sicurezza dei camminatori: ora bisogna pure rincorrere i teppisti che trasformano un ambiente unico in una tela per graffiti da periferia.
E non è finita. L’ente parco segnala una lunga lista di altre storture: bivacchi abbandonati in condizioni pietose, segnaletica manomessa con adesivi, indicazioni abusive di itinerari inventati da qualche escursionista in cerca di protagonismo. Piccoli gesti che però hanno un grande impatto: disorientano chi percorre i sentieri, aumentano i rischi e soprattutto trasmettono un messaggio chiaro, quello della mancanza totale di rispetto per un patrimonio collettivo.
Non è un caso che i guardiaparco abbiano deciso di intensificare i controlli, ricorrendo anche alle fototrappole per provare a risalire ai responsabili. Il fatto stesso che si debbano installare telecamere in un’area protetta è il simbolo di una sconfitta culturale: la montagna dovrebbe essere spazio di libertà e silenzio, e invece è costretta a difendersi come una città ostaggio di vandali.
Il tono dell’ente è duro e non potrebbe essere altrimenti: le risorse destinate alla manutenzione dei sentieri vengono dirottate per cancellare scarabocchi e rattoppare cartelli, mentre i fondi dovrebbero servire a preservare flora e fauna, migliorare i rifugi, educare alla sostenibilità. Ma come si può educare se manca il minimo rispetto? Ogni disegno su una roccia non è una bravata innocente, è un atto di arroganza che cancella secoli di storia naturale. Ogni adesivo su un segnale non è una goliardata, è un potenziale pericolo per chi si affida a quella segnaletica per non perdersi in quota.
E allora la domanda è inevitabile: cosa spinge qualcuno a salire fino a 2000 metri di altitudine per lasciare il proprio nome su un sasso? Perché trasformare in discarica un bivacco costruito con fondi pubblici e fatica volontaria? La risposta, probabilmente, sta in quella cultura del consumo che ormai permea anche la montagna: tutto è territorio da sfruttare, fotografare, marchiare, senza alcuna responsabilità.
Il parco annuncia indagini e controlli, ma basteranno? Le fototrappole potranno forse individuare qualche responsabile, ma il problema resta più profondo. Serve una presa di coscienza collettiva, perché il danno non riguarda solo la bellezza del paesaggio, ma la credibilità stessa di chi dice di amare la montagna e poi la tratta come un cortile di casa.
La denuncia del Parco Alpi Marittime è quindi anche un grido d’allarme. Non si tratta soltanto di tutelare un tratto della Grande Traversata delle Alpi, ma di difendere un’idea di montagna che sta rischiando di svanire: un luogo sacro, fragile, che merita silenzio e cura. Invece oggi a vincere sono i vandalismi, e chi lavora per proteggere il territorio è costretto a rincorrere la maleducazione con spugna e solventi.
Il rischio è che, a forza di tollerare, si finisca per abituarsi. E abituarsi a vedere rocce imbrattate e cartelli manomessi significherebbe accettare la sconfitta della cultura del rispetto. Ecco perché la polemica deve restare accesa: la montagna non ha bisogno di tag come in un sottopassaggio ferroviario, ma di coscienza e responsabilità.
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