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25 Agosto 2025 - 21:29
L'assessore regionale Riboldi e il Commissario Schael
La breve e travagliata stagione del commissariamento della Città della Salute di Torino affidata a Thomas Schael si chiuderà domani, dopo appena cinque mesi. Un epilogo che non stupisce nessuno: il manager tedesco, precipitato in una spirale di sfiducia politica e polemiche sindacali, è stato condannato dal Tribunale di Torino per attività antisindacale a inizio agosto, episodio che ha solo accelerato un processo di logoramento già in corso. La Regione Piemonte, guidata da Alberto Cirio, ha già fissato l’appuntamento: domani pomeriggio sarà nominato un nuovo direttore generale e il commissario decadrà automaticamente.
In pole position c’è Livio Tranchida, oggi alla guida del Santa Croce e Carle di Cuneo. Accanto a lui, nella terna proposta, ci sono Davide Minniti, direttore generale del San Luigi di Orbassano, e Bruno Osella, numero uno dell’Asl To5. La scelta finale dipenderà anche dall’Università di Torino, che in queste ore sta esprimendo la propria preferenza, in un teatrino che sa tanto di partita a scacchi giocata nei corridoi della politica regionale.
Ma la questione vera non è tanto chi prenderà il posto di Schael, quanto l’ipocrisia con cui la giunta regionale e soprattutto l’assessore alla Sanità, Federico Riboldi, stanno cercando di riscrivere la storia di questi mesi. Perché la verità è una sola: Schael non ha inventato nulla, non ha deciso di testa propria, non ha improvvisato. Tutto quello che ha fatto era già scritto, nero su bianco, nella delibera con cui lo stesso Riboldi lo aveva nominato commissario della Città della Salute.
Le verifiche interne, il controllo dei bilanci, il giro di vite sull’intramoenia, la scelta di affidare a un advisor esterno una consulenza da 2,5 milioni di euro per mettere ordine nei conti e analizzare i flussi economici: non erano “capricci” del commissario, ma compiti formalmente assegnati dalla Regione. Schael ha semplicemente eseguito il mandato ricevuto. Un mandato che, evidentemente, faceva comodo a qualcuno fino a quando non ha iniziato a generare resistenze e malumori.
Ed ecco allora la condanna per condotta antisindacale, che diventa il pretesto perfetto per scaricare il commissario. Pretesto usato dall’assessore Riboldi, che oggi davanti alle agenzie prova a fare il pompiere, parlando di “armonia, benessere dei pazienti e dei lavoratori”. Parole accomodanti che suonano come una beffa, soprattutto se pronunciate da chi aveva caldeggiato la nomina di Schael e lo aveva difeso a spada tratta fino a poche settimane fa.
Oggi Riboldi recita la parte di chi si limita a “ringraziare” il commissario, come se Schael fosse stato una meteora imprevista. In realtà, Schael è stato un parafulmine perfetto: mandato avanti a fare il lavoro sporco – mettere le mani nei conti e smuovere un sistema che da anni galleggia tra inefficienze, attese infinite e contenziosi – salvo poi scaricarlo non appena il vento politico ha iniziato a cambiare.
Così la Regione tenta ora di presentare la sostituzione come una scelta di equilibrio, condivisa con l’Università, “nell’interesse dei pazienti e dei lavoratori”. Ma l’armonia di cui parla Riboldi assomiglia più a un compromesso al ribasso: mettere una pezza su un commissariamento lampo che ha lasciato strascichi pesanti e che, ancora una volta, mostra quanto poco contino davvero i cittadini e quanto invece prevalgano le logiche di palazzo.
Insomma, Schael esce di scena tra le polemiche e con un marchio infamante, ma chi l’ha nominato e spinto a fare esattamente quello che era scritto nella delibera oggi si lava le mani e scarica tutte le colpe sul commissario. Un gioco vecchio quanto la politica, in cui i veri responsabili restano ben seduti al loro posto, pronti a celebrare domani il nuovo direttore generale come se nulla fosse accaduto.
Bene ricordare che in altri tempi, quando la politica era una cosa seria, un assessore che 5 mesi prima pesta i piedi per avere l'uomo che dice lui e nessun altro al vertice di una struttura importante come la Città alla salute, lo fa commissario proprio per non dover decidere insieme all'Università e non dover sottostare alle indicazioni del rettore, infine, fa marcia indietro su tutta la linea avrebbe già rassegnato le dimissioni o comunque sarebbe spuntato qualcuno a chiedergliele. Il fatto che non stia succedendo tutto questo puzza!
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