Cerca

Attualità

Elezioni 2027 a Torino. C'è uno scoglio da superare. La love story che lega Cirio a Lo Russo

Alle comunali del 2027 Torino rischia di diventare il palcoscenico di una sfida surreale: il sindaco già in campagna tra balere e bocciofile, il centrodestra che punta sull’assessore più divisivo, le manovre di Cirio e l’ombra di Giorgia Meloni sul destino della città

Elezioni 2027 a Torino. C'è uno scoglio da superare. La love story che lega Cirio a Lo Russo

Alberto Cirio

Elezioni amministrative 2027... Il sindaco Stefano Lo Russo, che ufficialmente dovrebbe pensare a governare la città, ha già deciso di trasformarsi nel candidato permanente, e da mesi inanella comparsate e sorrisi a beneficio di fotografi e telecamere. È partito con la sua personale “operazione simpatia”: un po’ di foto al canile per accarezzare i cuccioli, qualche mano di briscola in bocciofila, due passi di danza improvvisata in balera, così da scrollarsi di dosso quell’immagine da professore serioso e poco empatico che i torinesi sembrano non perdonargli. Insomma, il tentativo è di apparire meno geologo e più vicino alla gente comune, che poi è la stessa gente che ogni giorno deve fare i conti con buche, smog, autobus in ritardo e strade al buio. Ma d’altronde il centrosinistra torinese ha sempre avuto questa vocazione alla rappresentazione scenica: la città può anche sprofondare, basta che il sindaco sorrida accanto a un cagnolino e tutto passa in secondo piano.

Dall’altra parte, però, non se la passano meglio. Nel centrodestra la discussione è eterna: candidare un volto civico, moderato, rassicurante, oppure puntare su una figura di rottura, uno capace di scardinare il sistema Torino e cavalcare il malcontento delle periferie?

La verità è che con i vari Damilano e Buttiglione ci hanno già provato, e il risultato è stato il solito: tanta buona volontà, ma a Palazzo Civico ha continuato a comandare il centrosinistra. Questa volta, almeno a parole, Fratelli d’Italia non vuole più scherzare: basta con i candidati gentili e compassati, meglio puntare su un nome divisivo, capace di accendere gli animi e, perché no, di replicare il colpo di mano che nel 2016 riuscì a Chiara Appendino, che vinse proprio grazie ai voti arrabbiati di chi vive fuori dalla Ztl e non ne può più del degrado.

E qui entra in scena il nome che comincia a circolare con sempre più insistenza: Maurizio Marrone. Assessore regionale al Welfare, volto storico della destra torinese, figura che definire divisiva è un eufemismo. Uno che ha fatto della battaglia contro l’aborto la sua bandiera, che rappresenta quella destra senza compromessi, ruvida e identitaria. Dentro la coalizione c’è chi lo considera troppo radicale, troppo fuori moda, troppo difficile da digerire per l’elettorato borghese. Ma proprio per questo, dicono i suoi sponsor, sarebbe il candidato perfetto: rompere, spaccare, ribaltare il tavolo.

A spingerlo ci sono la consigliera regionale Paola Antonetto e l’assessore alla Sanità Federico Riboldi, suo collega e amico, che da tempo prova a convincerlo a buttarsi nella mischia. Marrone per ora tentenna, consapevole che una campagna elettorale in una città come Torino non è una passeggiata ma un logoramento continuo, e che ogni parola detta rischia di diventare un caso nazionale.

Ma non è il solo in ballo: c’è anche Giovanni Crosetto, nipote del ministro della Difesa, oggi europarlamentare e, allo stesso tempo, oppositore puntuale in Sala Rossa. A differenza di Marrone, Crosetto junior è molto più propenso a gettarsi nella mischia, anche se prima dovrà convincere lo “zio ministro” che forse non ha tutta questa voglia di veder sprecato il cognome in una battaglia che resta piena di incognite.

Poi c’è Augusta Montaruli, ormai nota per la sua verve polemica, capace di animare qualsiasi dibattito televisivo: carattere che la renderebbe perfetta in campagna elettorale, ma che rischia di essere mal digerito da un elettorato torinese ancora legato all’idea di sobrietà sabauda. Infine, sullo sfondo, qualche nome di Forza Italia, come Claudia Porchietto, che però sembrano destinati al ruolo di comprimari: a decidere, è chiaro, sarà il partito di Giorgia Meloni.

E proprio Fratelli d’Italia, per bocca del segretario regionale Fabrizio Comba, manda segnali chiari: Lo Russo è uno dei sindaci meno popolari d’Italia, e se c’è un momento per attaccare Palazzo Civico è questo. Serve un candidato di discontinuità, uno che faccia dimenticare anni di centrosinistra, ed è inutile nascondersi: il nome di Marrone gira, eccome se gira. E non basta dire che è divisivo: in fondo anche la Appendino era considerata una scheggia impazzita, eppure ha vinto.

Con una differenza, però: dietro Appendino c’era un padre manager in grado di rassicurare l’establishment, mentre dietro Marrone c’è Virgilio Marrone, ex direttore generale di Ifi, cioè la holding degli Agnelli poi diventata Exor. Insomma, la tradizione sabauda delle relazioni di famiglia è salva: anche il candidato “antisistema” ha il suo lasciapassare per i salotti buoni della città. Così funziona Torino: puoi pure gridare contro il sistema, ma senza i giri giusti resti confinato nelle periferie.

C’è però un’altra incognita, e si chiama Alberto Cirio. Il presidente del Piemonte ha costruito con Lo Russo un rapporto di concordia istituzionale che a molti nel centrodestra non piace affatto. I due si parlano, si sorridono, si spalleggiano quando serve. Una coppia di fatto che funziona: Lo Russo evita di farsi nemici a Torino, Cirio ne esce più empatico e popolare. La domanda sorge spontanea: Cirio si spenderà davvero per un candidato del centrodestra o, sotto sotto, continuerà a preferire la convivenza con Lo Russo?

I più maliziosi ricordano il precedente del 2001, quando il governatore Enzo Ghigo preferì favorire Sergio Chiamparino piuttosto che lasciare spazio a un compagno di partito ingombrante come Roberto Rosso. La storia, a Torino, ha la brutta abitudine di ripetersi.

Per questo già si parla di un possibile intervento di Giorgia Meloni in persona, che potrebbe imporre a Cirio una scelta: o stai con noi o lasci perdere i sogni da ministro a Roma.

La premier sa bene che Torino non è una città qualunque: è un simbolo, la capitale dell’ex industria, la città che per anni ha dettato la linea della politica nazionale. Portare qui il “modello Meloni” significherebbe dare un segnale forte a tutto il Paese. E così il centrodestra si prepara al redde rationem, tra i sorrisi di circostanza e le pugnalate dietro le quinte, tra i proclami di unità e le tentazioni di sabotaggio.

Marrone sarà il candidato? Chissà. Di certo, nella città dei compromessi sabaudi, la corsa al 2027 si preannuncia più che mai una guerra di nervi, dove nulla è come sembra e dove la politica, ancora una volta, assomiglia a un vecchio teatrino. Con Lo Russo che balla e Marrone che ci pensa, Torino rischia di ritrovarsi con lo stesso dilemma di sempre: cambiare tutto per non cambiare niente.

Cirio e Lo Russo, il matrimonio che non c’è ma funziona meglio di tanti veri

Altro che campo largo, alleanze di coalizione o tavoli programmatici: a Torino il vero scoglio da superare in vista delle prossime elezioni è la coppia di fatto tra il governatore Alberto Cirio e il sindaco Stefano Lo Russo. Uno di centrodestra, l’altro di centrosinistra, eppure inseparabili come Sandra e Raimondo: si punzecchiano il giusto, ma poi si sostengono, si spalleggiano e non si fanno mai davvero del male. Perché litigare, quando si può vivere in concordia istituzionale?

Cirio e Lo Russo, in questi anni, hanno inventato una nuova forma di convivenza: la politica congiunta a risparmio energetico. Lui, il governatore, non si sporca le mani a criticare troppo Torino; l’altro, il sindaco, evita di trasformare la Regione in un ring. Il risultato? Un equilibrio perfetto. I cittadini non vedono grandi cambiamenti, ma almeno assistono a un ménage à deux di rara stabilità. Altro che Meloni e Schlein, qui la polarizzazione non esiste: c’è la quiete dopo la quiete.

Il paradosso è che questa “unione civile” fa comodo a entrambi. A Cirio, che sogna Roma e un ministero, non conviene avere un sindaco che gli fa guerra: molto meglio un partner accomodante, che gli lascia il Piemonte in ordine e senza troppi scossoni. A Lo Russo, che arranca nei sondaggi e fatica a togliersi di dosso l’etichetta di sindaco grigio, conviene avere un presidente regionale che lo tratta da pari, anzi quasi da amico, dandogli quella legittimazione istituzionale che non arriva dai cittadini. È un matrimonio senza fedi, ma con tante convenienze.

A guardare a questa love story con un certo fastidio è il centrodestra. Perché Cirio dovrebbe preparare l’assalto a Palazzo Civico, e invece sembra più interessato a farsi i selfie con Lo Russo. Sembra il marito distratto che, invece di occuparsi della sua famiglia politica, passa i weekend con l’amico del cuore. E intanto Giorgia Meloni, da Roma, osserva e scalpita: “Alberto, tesoro, decidi: vuoi fare il ministro o il testimone di nozze di Lo Russo?”.

Il problema è che Torino è abituata a queste tresche. Nel 2001 ci fu già il governatore Ghigo che preferì favorire Chiamparino piuttosto che lasciare campo a Roberto Rosso un compagno di partito. Oggi la trama si ripete: cambiano i protagonisti, ma il copione resta identico. La città resta spettatrice di amori politici di convenienza, triangoli istituzionali e tradimenti annunciati.

Così, mentre i torinesi aspettano soluzioni ai problemi veri, la politica locale recita una soap opera: Cirio e Lo Russo sul balcone di Palazzo Civico come Giulietta e Romeo in versione bipartisan, i cortigiani che mormorano, la premier che minaccia di rompere l’idillio. Una commedia che va avanti scena dopo scena, senza bisogno di sceneggiatori. E chissà che, tra un sorriso e una stretta di mano, non arrivi persino un brindisi a lume di candela sotto la Mole...

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori