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Grande Panda, piccoli salari: Stellantis cerca 800 operai in Serbia e l’Italia resta a guardare

A Kragujevac servono 800 operai, ma i salari da fame respingono i locali. La Serbia diventa colonia industriale, Stellantis guarda solo ai costi e l’Italia perde un altro pezzo della sua storia operaia

Grande Panda, piccoli salari: Stellantis cerca 800 operai in Serbia e l’Italia resta a guardare

Grande Panda, piccoli salari: Stellantis cerca 800 operai in Serbia e l’Italia resta a guardare

Kragujevac, Serbia — La notizia ha cominciato a circolare a fine agosto e nel giro di poche ore ha fatto il giro dei media: Stellantis avrebbe bisogno di 800 nuovi operai nello stabilimento di Kragujevac, dove da un anno viene prodotta la Fiat Grande Panda, e per colmare il fabbisogno si sarebbe rivolta a bacini di manodopera lontani, in particolare Nepal e Marocco. Un annuncio che ha immediatamente scatenato un’ondata di polemiche in città e nel Paese, perché è difficile da spiegare: a Kragujevac, culla dell’industria automobilistica serba, ci sono circa 9.000 disoccupati registrati. Possibile che non si trovi personale in casa propria?

A dare l’annuncio è stato l’assessore comunale all’economia Radomir Erić, ma subito dopo è arrivata una precisazione: non sarebbero 800 stranieri in arrivo, bensì circa 100 operai dal Marocco inviati per un anno di formazione, mentre gli 800 rappresentano il numero complessivo di lavoratori che serviranno per far partire la terza squadra di produzione prevista da ottobre. Una correzione di tiro che non ha però attenuato il dibattito, perché la sostanza resta: la fabbrica non riesce ad attrarre abbastanza manodopera locale, e la ragione è una sola, evidente e ripetuta da più voci: il lavoro è sottopagato.

Le parole più dure sono arrivate da Jugoslav Ristić, storico sindacalista di Kragujevac: «Per stipendi poco sopra i 70.000 dinari al mese, la gente non è interessata: non ci si vive. Solo chi fa straordinari e lavora tutti i sabati può arrivare a 90.000, ma sempre restando sotto la soglia della dignità». Una busta paga da circa 600 euro per un impiego che chiede oltre 40 ore settimanali non è certo un incentivo. Il confronto con il resto del Paese è impietoso: il salario medio in Serbia supera i 108.000 dinari, eppure Stellantis a Kragujevac continua a proporre cifre più basse.

La denuncia trova eco anche nelle parole di Goran Milić, rappresentante dei metalmeccanici della Serbia centrale, che fotografa bene l’esodo della manodopera qualificata: «Un saldatore qui guadagna 2 euro l’ora, all’estero 8. Perché dovrebbe restare?». E infatti in molti scelgono di emigrare, portando con sé competenze e professionalità che il sito produttivo avrebbe un disperato bisogno di trattenere.

La questione salariale non è soltanto un problema aziendale, ma anche politico. La fabbrica di Kragujevac non è una normale impresa privata: è una joint venture di cui Stellantis detiene il 67%, mentre il governo serbo possiede il 33%. È quindi lo Stato stesso, socio e garante dell’operazione, a rendersi complice di un sistema che punta a contenere i costi invece di garantire salari adeguati. L’economista Saša Đogović, dalle pagine di Danas, ha parlato di un «mercato liberalizzato» dove, se il salario non convince, l’azienda si sente libera di rivolgersi altrove. Ma questo, sottolinea, non è neutrale: è una scorciatoia che scarica la responsabilità sui lavoratori più poveri del mondo e alimenta un circolo vizioso.

stellantis

Anche i giuristi del lavoro hanno alzato la voce. Mario Reljanović ha ammonito sul rischio di un dumping sociale: portare centinaia di lavoratori stranieri senza riallineare le condizioni interne significa introdurre manodopera più ricattabile, con meno strumenti sindacali, meno conoscenza dei propri diritti e quindi più facilmente sfruttabile. Una dinamica che non solo penalizza chi viene assunto dall’estero, ma indebolisce anche i lavoratori locali, che si trovano a competere al ribasso.

Dal lato opposto, il governo ha scelto la retorica dell’ottimismo. Il presidente Aleksandar Vučić ha fissato l’obiettivo: 100.000 auto nel 2025 prodotte a Kragujevac, e ha parlato di stipendi fra gli 84.000 e i 92.000 dinari. Parole incoraggianti, ma poco aderenti alla realtà quotidiana degli operai, che raccontano di buste paga inferiori, straordinari forzati e un costo della vita che cresce più veloce degli stipendi.

Intanto la fabbrica lotta con numeri che non decollano. La Grande Panda, modello simbolo della nuova stagione, ha raccolto un boom di ordini in tutta Europa, ma a Kragujevac la produzione si aggira ancora sulle 100-120 auto al giorno, ben lontana dall’obiettivo iniziale di 500 vetture quotidiane. Tanto che Stellantis ha dovuto ricorrere agli stessi lavoratori italiani, spostati temporaneamente da stabilimenti come Melfi e Modena, per aiutare a colmare i vuoti di organico. Una toppa, non una soluzione.

La verità che emerge da Kragujevac è che l’operazione “Grande Panda” poggia su fondamenta fragili. C’è un entusiasmo politico, ci sono conferenze stampa e promesse di rilancio, ma c’è anche una fabbrica che non riesce a trovare operai in una città piena di disoccupati. Il cortocircuito è evidente: i lavoratori ci sarebbero, ma non sono disposti a farsi assumere a condizioni che non permettono una vita dignitosa. Invece di affrontare il nodo del salario, si guarda all’estero, a popolazioni più povere, come se la soluzione fosse sostituire i cittadini locali con manodopera straniera pronta ad accettare condizioni minime pur di guadagnare qualcosa in più del nulla che hanno a casa.

In questo scenario, le polemiche non si placano. I sindacati parlano di «umiliazione» per la città di Kragujevac, culla della storica Zastava, oggi ridotta a emblema di un capitalismo che si alimenta delle diseguaglianze globali. Gli economisti chiedono allo Stato di assumersi le proprie responsabilità, non come spettatore ma come socio. I lavoratori, intanto, continuano a votare con i piedi: chi può, emigra.

E così la Grande Panda, pensata come simbolo di rinascita, rischia di diventare l’icona di un modello di sviluppo zoppo, basato più sul contenimento dei costi che sul rispetto del lavoro. A Kragujevac tutti lo sanno, ma pochi hanno il coraggio di dirlo apertamente: finché il problema resterà il salario, non basteranno gli annunci, i proclami o i voli charter da Kathmandu e Casablanca. Per riempire la fabbrica servirebbe la cosa più semplice e al tempo stesso più difficile: pagare di più.

“Grande Panda, piccoli salari: Stellantis gioca con la Serbia e l’Italia resta a guardare”

C’è un filo sottile, ma neanche troppo invisibile, che lega Stellantis, la Serbia e l’Italia in questa storia della Grande Panda di Kragujevac. Un filo fatto di promesse di sviluppo, di investimenti strategici, di conferenze stampa rassicuranti. Ma anche di salari da fame, di scelte industriali che sembrano più esperimenti sociali che politiche di lavoro, di un’Europa che gioca con le sue periferie come se fossero mere pedine di costo.

La prima critica è a Stellantis, gigante nato dalla fusione di FCA e PSA, che continua a presentarsi come multinazionale innovativa, moderna, leader nella transizione elettrica. Eppure, dietro gli slogan sulla sostenibilità e sulle nuove mobilità, emerge il volto di un’azienda che punta a spostare la produzione laddove il lavoro costa meno. Kragujevac, con i suoi operai pagati 2 euro l’ora, è un laboratorio perfetto per il “nuovo capitalismo automobilistico”: si promettono modelli elettrici, ma si costruiscono sulle stesse vecchie fondamenta, quelle del dumping salariale. Se non bastano i serbi, si cercano nepalesi e marocchini. Non per competenza, ma per disperazione: chi ha meno pretese, chi può vivere con meno, chi non ha voce per rivendicare diritti. È questa la transizione? È questo il futuro che Stellantis dice di voler disegnare?

Poi c’è la Serbia, che da oltre un decennio accetta di fare da piattaforma low cost per i capitali stranieri. Lo Stato è perfino socio al 33% dello stabilimento di Kragujevac, e quindi non solo tollera, ma partecipa a questo modello. Mentre il presidente Aleksandar Vučić annuncia 100.000 auto prodotte nel 2025 e stipendi “dignitosi” da 90.000 dinari, la realtà è un’altra: i lavoratori restano sotto la media nazionale, i sindacati denunciano paghe indegne e i giovani emigrano. È l’eterno paradosso serbo: accogliere investimenti esteri che, invece di generare ricchezza diffusa, si limitano a consolidare il ruolo di colonia industriale a basso costo. Kragujevac non è rinata, è stata svenduta.

E infine c’è l’Italia. Non possiamo far finta che questo non ci riguardi. La Panda è il simbolo di Mirafiori, della Torino operaia, della storia della Fiat che ha costruito pezzi di Paese. Oggi quel nome viene trapiantato altrove, mentre negli stabilimenti italiani i lavoratori vengono mandati “in missione” a tappare i buchi in Serbia, come se fossero pezzi intercambiabili di una catena globale senza radici. È l’immagine plastica di una sconfitta industriale italiana: non si investe a casa nostra, non si difende il tessuto produttivo, si spostano modelli e manodopera come se nulla fosse.

E qui nasce l’amara verità: Stellantis usa la Serbia come manodopera a buon mercato, la Serbia usa Stellantis come vetrina di sviluppo, l’Italia osserva impotente mentre il suo patrimonio industriale si disperde. Tre Paesi, tre storie, un unico risultato: la perdita della centralità del lavoro.

Perché in fondo, a Kragujevac come a Torino, il problema resta lo stesso: non si paga abbastanza chi produce ricchezza reale. Senza salari dignitosi non ci sarà futuro industriale, non in Serbia, non in Italia, non per Stellantis. Ma finché la logica resta quella dei numeri da presentare agli azionisti e non delle vite da sostenere, continueremo a inseguire la chimera di un’auto nuova costruita su fondamenta vecchissime: sfruttamento, precarietà, illusione.

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