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Giglio Vigna e il morso eterno: quando la politica ti prende… alla testa

Dal dibattito di Chivasso del 2003, con quella studentessa che lo azzannò al cranio, fino alle polemiche su Leoncavallo e Movicentro: il deputato leghista continua a raccontare il suo trauma dentato come fosse la chiave di lettura della politica italiana

Giglio Vigna e il morso eterno: quando la politica ti prende… alla testa

Alessandro Giglio Vigna

Quella volta che una studentessa morsicò la testa al deputato Giglio Vigna. Un titolo che sembra inventato da un comico, invece è cronaca politica. Cronaca surreale, certo, ma pur sempre politica. Correva l’anno 2003, dibattito in una scuola a Chivasso: un giovanissimo Alessandro Giglio Vigna, allora militante della giovanile della Lega, si ritrova a discutere con ragazzi vicini ai centri sociali. Sputi, urla, cori di contestazione, e poi l’imprevisto: una ragazza, evidentemente esasperata – o forse ispirata da un improvviso istinto carnivoro – sale sul tavolo e gli pianta un morso in testa. Non un insulto, non una spinta: un morso. E così, oltre vent’anni dopo, l’episodio viene rievocato dallo stesso Vigna per descrivere il suo rapporto tormentato con l’universo dei centri sociali.

È da lì che nasce la sua narrazione: “Era schiacciata dai miei argomenti”, precisa lui, come se il morso fosse l’unica via d’uscita per chi non sapeva più come rispondere. Ma la domanda, oggi, sorge spontanea: se davvero quel cranio è stato azzannato con tanta foga, non sarà rimasta qualche recidiva? Non sarà che ogni volta che sente nominare "centro sociale", nella testa del deputato scatta un certo prurito al cuoio capelluto? Un morso, diventato trauma e trofeo allo stesso tempo.

A farglielo tornare in mente è stato un post su Facebook dell'assessore comunale di Ivrea Francesco Comotto sullo sgombero del Leoncavallo a Milano.

“Vergogna, il fascismo ci sta entrando in casa - scrive Comotto senza esitazione - Di cosa sarebbero accusati gli occupanti? Di un’autogestione intelligente, costruttiva e rispettosa di uno spazio pubblico abbandonato?”.

Non solo parole di solidarietà, ma un elogio diretto: “Da anni al Leoncavallo si svolge La Terra Trema, fiera con oltre cento produttori di vini naturali. Una fiera che muove l’economia circolare, che sostiene piccoli agricoltori e viticoltori che non hanno mezzi per promuoversi. Stanno distruggendo pezzo dopo pezzo le piccole realtà economiche che hanno fatto grande l’Italia.”

Il deputato non ci ha pensato due volte a rispondere.

“No zone franche di illegalità! Dal Castellazzo di Ivrea al Leoncavallo di Milano, all’Askatasuna di Torino e di nuovo, tornando a Ivrea, al Movicentro. Tolleranza zero!”.

Un decalogo di nemici politici che il parlamentare recita come un rosario. Ma non basta: Vigna ci tiene a ricordare che la sua avversione nasce da lontano, dagli anni delle contestazioni, dalle manifestazioni disturbate, dagli sputi presi in faccia. 

A dargli man forte la Lega di Ivrea, con un commento che ha il tono del richiamo a scuola.

“Assessore Comotto, guardi al bene della comunità eporediese che forse è meglio! Parlare di fascismo a distanza di più di 80 anni dalla sua morte è ridicolo. Continuare a usare questo termine obsoleto e falso per sminuire chi è stato eletto per ripristinare la legalità è imbarazzante.”.

E poi il colpo di grazia: “Il Leoncavallo non è solo un luogo di promozione di vini naturali, ma un’occupazione illegittima durata dal 1994. Nel 2024 lo Stato ha dovuto persino risarcire 3 milioni di euro. In uno Stato di diritto zone franche non possono esistere.”

Il dibattito si sposta da Milano a Ivrea, con il Movicentro al centro delle recriminazioni. Per Vigna, quella struttura è un “vero buco nero dal quale si propagano problemi di sicurezza e ordine pubblico”. Un monumento al degrado urbano, il luogo perfetto da agitare come spauracchio in campagna elettorale. Per Comotto, invece, l’urgenza è un’altra: difendere chi resiste alle logiche dei grandi capitali, chi costruisce economia e cultura dal basso. Due visioni opposte che non trovano un punto di contatto.

Eppure, tra i proclami e le accuse, resta sempre l’ombra di quel morso. 

Da un lato un assessore che cita i vini naturali come simbolo di resistenza, dall’altro un deputato che agita la bandiera della legalità con in testa, letteralmente, il segno dei denti di una studentessa. Nel mezzo la segretaria cittadina della Lega che accusa Comotto di irresponsabilità.

Il morso che cambiò la politica

C’è chi nella vita viene folgorato da un’idea, chi da un incontro, chi da un libro. E poi c’è Alessandro Giglio Vigna, folgorato da un morso. Un morso in testa, per la precisione, inflitto nel lontano 2003 da una studentessa dei centri sociali. Da quel giorno la politica italiana non è stata più la stessa.

Perché un morso non si dimentica: resta lì, inciso sul cranio, invisibile ma presente. Altro che tatuaggi tribali, altro che piercing. Il morso alla testa di Giglio Vigna è la vera marca di fabbrica, il simbolo che spiega tutto: la crociata contro i centri sociali, la tolleranza zero ripetuta come un mantra. Non è ideologia, è dermatologia: basta un prurito al cuoio capelluto per risvegliare l’antifona della legalità.

Da allora, ogni volta che qualcuno nomina Leoncavallo, Askatasuna o Movicentro, al deputato non serve consultare dossier o statistiche: gli basta grattarsi la testa. È lì che vibra la bussola politica, è lì che si accende la spia rossa. L’opposizione politica è diventata una questione epidermica: se il cranio pizzica, è perché c’è illegalità. Se invece fa male, allora c’è il fascismo.

E pensare che Freud parlava di traumi infantili, di complessi di Edipo, di rimozioni. Qui siamo oltre: qui il trauma è un morso. Un morso che, se fosse stato dato alla caviglia, magari oggi avremmo un parlamentare ossessionato dal jogging. Ma la vita, si sa, è fatta di dettagli.

Così, mentre altri politici raccontano con orgoglio leggi approvate, riforme discusse o esperienze amministrative, Vigna può dire: “Io ho preso un morso alla testa”. Una medaglia invisibile, eppure più luminosa di tutte. La prova che il contatto diretto con l’avversario politico, a volte, lascia segni più profondi di un comizio.

E allora, cari lettori, la prossima volta che vedrete il deputato infervorarsi contro una nuova “zona franca”, non pensate al solito copione elettorale. Pensate a quel lontano 2003, a quella ragazza con un’improvvisa crisi di odontoiatria militante. Pensate che, forse, la politica eporediese e nazionale è nata davvero lì: non da un congresso, non da un manifesto, ma da un morso.

Insomma, altro che “bacio di Giuda”: in Canavese abbiamo il “morso di Chivasso”. E non c’è storia politica più epica di questa.

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