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23 Agosto 2025 - 14:44
Torrazza sventrata dalla Tav: sei mesi di strade chiuse e montagne di smarino
A Torrazza Piemonte oggi i cantieri non sono più soltanto un progetto sulla carta: il prolungamento del cavalcavia, i nastri trasportatori che attraverseranno il territorio, le recinzioni e le chiusure stradali sono realtà imminente. La convenzione tra il Comune e la società Tunnel Euralpin Lyon Turin (TELT), promotore pubblico incaricato della realizzazione e gestione della sezione transfrontaliera della nuova linea ferroviaria Torino–Lione, sta producendo i suoi effetti.
La decisione presa ormai quasi sei anni fa, il 27 dicembre 2019, dal Consiglio comunale di Torrazza, esce dai verbali e dai documenti per trasformarsi in cantieri, deviazioni, transenne e disagi. Strada Bergolo Monferrina, nella frazione Borgoregio, resterà chiusa per sei mesi: un blocco totale della viabilità che obbligherà i residenti a percorsi alternativi. La vita quotidiana si complica, il traffico si ridisegna e l’ennesimo pezzo del grande mosaico Tav entra nella vita reale dei cittadini.
Il sindaco Massimo Rozzino di Torrazza
Il cuore dell’intervento riguarda il prolungamento del cavalcavia per consentire l’attraversamento di un nuovo fascio di binari nella zona di Cascina Goretta. Ma la vera rivoluzione è quella dei nastri trasportatori: non più un raccordo ferroviario dedicato, ma un sistema meccanico elettrico che trasporterà le terre e le rocce di scavo direttamente al sito di riutilizzo lungo la provinciale che porta a Rondissone, vicino al polo logistico Amazon. Una scelta presentata da subito come più sostenibile, capace di ridurre emissioni di CO₂, PM10 e ossidi di azoto rispetto alle centinaia di camion che avrebbero dovuto percorrere le strade canavesane. Gli amministratori comunali e i tecnici di TELT la definirono un “vantaggio significativo di minori interferenze di carattere ambientale”. Oggi, quelle parole diventano cantiere.
Ma dietro a questo passaggio odierno c’è una lunga storia di polemiche, contestazioni e dubbi. Fin dal 2019, quando la delibera approvata in consiglio comunale a Torrazza cambiò il piano originario, le critiche non mancarono. La consigliera regionale del Movimento 5 Stelle Francesca Frediani parlò subito di “aspetti oscuri” legati alla gestione dello smarino: oltre 3,6 milioni di metri cubi di terre e rocce da movimentare, con un impatto stimato in 227.000 camion e 22 milioni di chilometri percorsi. Cifre da capogiro, che mettevano in discussione la presunta convenienza ambientale del progetto. I timori riguardavano soprattutto la presenza di amianto, il rischio di contaminazione delle falde acquifere e la mancanza di analisi indipendenti e in contraddittorio con Arpa Piemonte. Erano accuse precise, che mettevano in dubbio la trasparenza dell’operazione e chiedevano un monitoraggio più rigoroso.
L’estate del 2020 fu segnata dalle prime presentazioni pubbliche del progetto a Torrazza. In piazza, davanti al municipio, comparvero cartelli e striscioni dei comitati No Smarino, che accusavano TELT di voler imporre una scelta calata dall’alto. Gli ingegneri spiegavano che i nastri sarebbero stati chiusi e alimentati elettricamente, che non ci sarebbe stato amianto, che il traffico ferroviario sarebbe stato limitato a tre treni al giorno e che erano previsti oltre 150 punti di monitoraggio ambientale. Ma le rassicurazioni non bastarono: i cittadini e gli attivisti denunciavano una narrazione edulcorata, troppo ottimista, mentre i rischi reali venivano minimizzati. La contestazione più forte era sul metodo: decisioni prese senza reale coinvolgimento delle comunità locali, con i sindaci informati a cose fatte e la popolazione relegata a semplice spettatrice di un’opera che avrebbe trasformato il territorio.
Negli anni successivi, le critiche non si sono placate. Nel 2024, ad esempio, il sito notav.info raccontò l’assegnazione di una maxi gara d’appalto da 648 milioni di euro per lavori legati al trasporto dello smarino senza che né il Comune di Caprie né i proprietari della cava interessata fossero stati informati preventivamente. Fu lo stesso sindaco, Gian Andrea Torasso, a denunciare di aver appreso la notizia dai giornali, sottolineando la netta opposizione della sua amministrazione. L’accusa, ancora una volta, era di arroganza e mancanza di trasparenza: una gestione top–down che lasciava i territori con il peso dei cantieri e delle conseguenze.
Oggi, invece, a Torrazza si parla di convenzioni operative e di compensazioni concrete. Per alleggerire i disagi e migliorare la logistica del cantiere, il Comune ha messo a disposizione gratuitamente un’area adiacente ai lavori, che TELT userà come deposito per i materiali. In cambio, al termine dei lavori, la società realizzerà una recinzione con pali d’acciaio e rete metallica che resterà di proprietà comunale. Inoltre, è previsto un riconoscimento economico: 23.687 euro per l’occupazione temporanea di altre aree comunali. TELT si è impegnata a farsi carico di tutti i costi legati a permessi e procedure, a recintare i cantieri, a garantire la sicurezza della viabilità e a occuparsi della manutenzione fino alla restituzione delle aree al Comune. Una sorta di pacchetto di garanzie, che dovrebbe trasformare un’occupazione temporanea in un’operazione almeno parzialmente compensata.
Intanto, il monitoraggio ambientale è stato affidato ad Arpa Piemonte, che ha condotto controlli ante operam fino al 2022 e successivamente ha seguito i lavori con campagne di analisi fino a marzo 2024. L’obiettivo dichiarato è sempre lo stesso: garantire che lo smarino non contenga materiali nocivi e che le emissioni siano effettivamente ridotte rispetto alle alternative. È su questo punto che si gioca gran parte della credibilità del progetto: senza un monitoraggio indipendente, ogni promessa rischierebbe di restare sulla carta.
L’impressione, però, è che a Torrazza i cittadini stiano vivendo ancora una volta il paradosso tipico delle grandi opere: benefici a lungo termine promessi e sbandierati, ma disagi concreti e immediati da sopportare. Sei mesi senza una strada importante, deviazioni quotidiane, convivenza con cantieri invasivi. Non a caso, nelle assemblee e nei corridoi del municipio, c’è chi ricorda come la Torino–Lione sia stata da sempre al centro di polemiche sulla sua reale utilità, sui tempi infiniti e sui costi in continua lievitazione. La Corte dei Conti Europea aveva già evidenziato ritardi cronici e difficoltà nel rispettare i requisiti per i fondi comunitari. Tutti elementi che alimentano un clima di diffidenza.
Eppure, nonostante i dubbi, i lavori avanzano. Le terre della Tav sono pronte a raggiungere il deposito lungo la provinciale che collega Torrazza a Rondissone, proprio accanto al polo logistico Amazon. È lì che verranno convogliati gli scarti degli scavi transfrontalieri, trasformando quel tratto di territorio in un nodo strategico della grande infrastruttura. La promessa è quella di un impatto ambientale contenuto e di un beneficio futuro in termini di viabilità e logistica. La realtà, per ora, è fatta di ruspe, recinzioni, strade chiuse e cittadini che si interrogano sul prezzo da pagare.
Sei anni fa erano solo carte e progetti. Oggi, invece, Torrazza è diventata un punto nevralgico di una delle opere più discusse d’Europa. Un cantiere che divide, che promette e che preoccupa, che distribuisce compensazioni economiche e allo stesso tempo impone sacrifici quotidiani. Insomma, il futuro della Torino–Lione passa anche da qui, da questo paese alle porte del Canavese, dove ogni scelta tecnica diventa politica e ogni nastro trasportatore diventa motivo di discussione. La cronaca di oggi racconta strade chiuse e cantieri, ma dietro c’è un decennio di tensioni, interrogativi e polemiche che non si spegneranno tanto facilmente.
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