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09 Agosto 2025 - 12:00
Netflix racconta "Stolen: il furto di diamanti" con la banda torinese di Notarbartolo
A volte il destino sceglie forme bizzarre per presentarsi. Per Leonardo Notarbartolo si materializzò in un avanzo di panino al salame, gettato distrattamente in un sacco della spazzatura. Quello che poteva sembrare un banale rifiuto si rivelò, invece, l’elemento chiave che permise alla polizia belga di collegarlo al colpo del 15 febbraio 2003 al World Diamond Center di Anversa: un’operazione da manuale, passata alla storia come il più grande furto di diamanti mai avvenuto.
Dietro quel colpo da film c’era una banda tutta torinese: Ferdinando Finotto, detto il Mostro, Elio D’Onorio, soprannominato il Genio, Pietro Tavano, alias Speedy, e naturalmente lui, Notarbartolo, per tutti “l’Artista”. La squadra aveva pianificato ogni mossa, superato serrature, sensori e telecamere con metodi tanto semplici quanto ingegnosi. Eppure, dopo aver fatto sparire pietre preziose per un valore incalcolabile, inciampò in una prova tanto inattesa quanto implacabile.
Leonardo Notarbartolo oggi
Quella storia, intrisa di astuzia e di ironia, è oggi al centro di un nuovo docufilm Netflix, Stolen: il furto del secolo. Non una fiction romanzata, ma una ricostruzione passo dopo passo, curata dallo stesso team di Vatican Girl, il progetto che nel 2022 aveva riacceso i riflettori sul caso di Emanuela Orlandi. Stavolta, a sostenere la produzione insieme a Chiara Messineo e alla britannica Raw Film, c’è anche Steven Spielberg, affascinato dal racconto al punto da coinvolgere la sua Amblin.
Il film dà spazio a tutti: agli investigatori che inseguirono la banda tra Belgio e Italia, ai testimoni, a chi perse tutto in quel furto. E soprattutto alla voce del protagonista, Notarbartolo, che davanti alla telecamera alterna confessioni e depistaggi, lasciando lo spettatore sempre in bilico tra verità e invenzione. «Mi interessano le storie rocambolesche, ma ancora di più le persone che le vivono», racconta il regista Mark Lewis. «Qui c’è un uomo che sembra uscito da un romanzo di spionaggio, con una naturalezza disarmante nel raccontare e nel confondere».
Torino, in questa vicenda, non è solo il punto di partenza geografico, ma anche il filo che collega passato e presente: è qui che vive oggi Notarbartolo, ed è qui che la troupe lo ha incontrato per le prime interviste. «Sua moglie ci ha aiutato molto a costruire un clima di fiducia», spiega Messineo. «Ma non ci siamo accontentati delle sue versioni: abbiamo verificato tutto con gli inquirenti, distinguendo tra aneddoti verosimili e racconti destinati a depistare».
Il tono di Stolen non è quello cupo tipico del true crime: non ci sono morti, non ci sono pistole fumanti, ma un gioco a rimpiattino tra guardie e ladri. Un poliziesco vivace, capace di far sorridere e, un attimo dopo, di mostrare il dolore di chi, quel giorno, ha perso i risparmi di una vita. Un’opera che mescola intrattenimento e memoria, e che ricorda come, a volte, la caduta di un impero criminale possa iniziare da un semplice morso lasciato a metà.
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