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05 Agosto 2025 - 22:47
“Di fronte alla tragedia in corso, il silenzio equivale a complicità. Ivrea non intende tacere”. La frase è netta, definitiva, senza possibilità di interpretazione. Chiude la lettera datata 05 agosto che l’Amministrazione comunale di Ivrea ha trasmesso al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, al Ministro degli Esteri Antonio Tajani e alla Municipalità palestinese di Beit Ummar, in Cisgiordania. Una scelta che va ben oltre il gesto formale: un atto politico, un’assunzione pubblica di responsabilità in un tempo in cui, troppo spesso, le Istituzioni si trincerano dietro la prudenza, l’equidistanza, o peggio, il silenzio.
La lettera del 5 agosto rappresenta un rilancio, una presa di posizione più decisa rispetto alla nota inviata da Ivrea lo scorso 5 maggio, per chiedere al Governo italiano di riconoscere lo Stato di Palestina e sospendere gli accordi bilaterali con Israele, alla luce dell’intensificarsi delle violenze nei "Territori Occupati". Ma da allora, tutto è peggiorato. Le notizie che arrivano quotidianamente da Gaza, dalla Cisgiordania, da Hebron, da Rafah, raccontano di bombardamenti sistematici, uccisioni indiscriminate, arresti arbitrari, famiglie spezzate, ospedali rasi al suolo. E intanto, da Roma, nessuna parola. Nessuna condanna. Nessuna voce.
“Un’assenza imbarazzante”, scrive senza giri di parole l’Amministrazione eporediese, riferendosi al silenzio del Governo guidato da Giorgia Meloni.
E aggiunge: “mentre altre istituzioni internazionali, enti locali, parlamenti nazionali, associazioni, sindacati, università, donne e uomini della società civile prendono posizione, il Governo italiano continua a tacere”. Un vuoto che pesa. E che Ivrea ha scelto di colmare, con coraggio, con fermezza, con senso della storia.
Il legame tra Ivrea e Beit Ummar non è teorico, ma concreto. Non è simbolico, ma umano. Le due città sono unite da un gemellaggio vivo, fatto di rapporti autentici e progetti condivisi. Nel tempo, sono stati raccolti fondi per realizzare interventi idrici, per sostenere la popolazione palestinese nelle difficoltà quotidiane. Ma ora, quel filo rischia di spezzarsi sotto le bombe. Le segnalazioni che arrivano al Presidio Permanente per la Pace di Ivrea parlano chiaro: coloni israeliani, protetti dall’esercito, stanno devastando campi, incendiando case, minacciando i civili. Non è una guerra tra eserciti. È un'aggressione sistematica, che colpisce la popolazione inerme.
“Per la prima volta tocchiamo con mano, seppure indirettamente, gli effetti devastanti della guerra” – scrive l’Amministrazione – “e questo ci impone, ancora di più, di rafforzare il legame con Beit Ummar e di prendere posizione pubblica”.
Le parole pesano. Sono una condanna chiara, rivolta alle violazioni dei diritti umani compiute dal Governo israeliano di Benjamin Netanyahu, e una richiesta altrettanto chiara al Governo italiano.
Tre le richieste esplicite contenute nella lettera: una condanna pubblica, netta e inequivocabile delle politiche di Netanyahu; l’attivazione immediata presso l’Unione Europea e le sedi internazionali per l’imposizione di sanzioni; e infine, il riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina nei confini del 1967, l’unica base possibile – scrive Ivrea – per costruire una pace fondata sul rispetto reciproco e sulla legalità internazionale.
Ma l’appello non si limita a parlare ai governi. Si rivolge direttamente anche alla società civile israeliana e alla comunità ebraica internazionale, chiedendo di non tacere, di non chiudere gli occhi, di reagire a una deriva che sta cancellando ogni principio di giustizia, di umanità, di diritto. È un invito a rompere l’isolamento, a costruire ponti di pace anche dentro la frattura più dolorosa.
L’Amministrazione eporediese parla con la forza di chi ha scelto da che parte stare.
“Non si può più tacere di fronte all’orrore”, si legge nel testo. E il linguaggio scelto – sobrio ma durissimo – conferma che non si tratta di un gesto rituale, ma di una presa di posizione autentica, scritta nella convinzione che la politica non sia solo calcolo, ma responsabilità. Che l’amministrare significhi anche scegliere di non voltarsi dall’altra parte.
Ivrea, insomma, non si limita a confermare il proprio sostegno a Beit Ummar, ma lo trasforma in atto politico. E lo fa nella forma più alta: una lettera indirizzata alle più alte cariche dello Stato, con una richiesta esplicita. Il messaggio è chiaro, diretto, impossibile da equivocare. “Il tempo di agire è adesso”, si legge nelle righe finali. Perché tacere, oggi, equivale a schierarsi con chi bombarda. Perché il silenzio, in tempi di massacri e soprusi, è già complicità.
Brava Ivrea. Bravo sindaco, brava giunta. Per una volta, e lo diciamo senza ironia, un Comune ha fatto quello che il Governo italiano non ha il coraggio di fare: guardare in faccia la realtà, usare le parole giuste, chiamare l’ingiustizia con il suo nome.
Perchè sì. Quello firmato dall’Amministrazione comunale eporediese non è un comunicato come tanti, non è una presa di posizione simbolica, non è il solito bla bla bla da consigli comunali sterili e autoconsolatori. È un atto politico. Coraggioso. Netto. Inequivocabile. Una lettera che accusa, che condanna, che chiama in causa Mattarella, Meloni e Tajani. Una lettera che non cerca di piacere a tutti, ma che sceglie da che parte stare. Ed è proprio questo che fa la differenza.
Mentre le istituzioni italiane, in primis il Governo, balbettano, evitano, si nascondono dietro all’equidistanza, Ivrea rompe il silenzio. Dice che i coloni israeliani bruciano i campi, che l’esercito copre le aggressioni, che a Beit Ummar, città gemellata, si muore nel silenzio di chi dovrebbe difendere il diritto internazionale. Dice che è tempo di agire, che il riconoscimento dello Stato di Palestina non può più essere rinviato, che le politiche di Netanyahu devono essere condannate pubblicamente e che serve sanzionare chi bombarda civili e si crede al di sopra della legge. Dice quello che nessuno, nei palazzi del potere, ha il coraggio di dire.
E allora, davvero: bravi. Ma ora, non fermatevi.
Non lasciate che resti una lettera chiusa in un protocollo, infilata in una cartellina, applaudita da chi già la pensava così. Non è il momento di fermarsi ai gesti scritti. È il momento dei gesti visibili. Di una bandiera della Palestina che sventola in Municipio accanto al tricolore, accanto all’Europa, accanto a quella Costituzione che mette la pace, la giustizia e la dignità umana al primo posto. Non c’è gesto più coerente, più necessario, più giusto.
Scatenerà polemiche.... Ci sarà chi parlerà di parzialità, chi griderà allo scandalo, chi vi accuserà di squilibri. Ma il vero squilibrio è stare zitti mentre si uccidono bambini. Il vero scandalo è non scegliere mentre il diritto viene calpestato. La vera parzialità è quella di uno Stato che continua ad appoggiare, tacitamente, l’apartheid e l’occupazione.
Perché oggi, più che mai, non è tempo di prudenza. È tempo di giustizia.
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