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300 mila galline chiuse in capannone ad Arborio: scatta la diffida. “È un lager industriale nel cuore delle risaie”

Associazioni, medici, attivisti e cittadini contro il maxi allevamento della ditta Bruzzese. Zero trasparenza, nessuna assemblea pubblica, emissioni tossiche e sofferenza animale: “Un progetto indegno, imposto a un territorio che non è stato mai ascoltato”

274 mila galline chiuse in capannone ad Arborio: scatta la diffida. “È un lager industriale nel cuore delle risaie”

foto di repertorio

Un impianto progettato per ospitare 300 mila galline ovaiole nel cuore della Baraggia vercellese, alle porte del Parco delle Lame del Sesia e delle riserve naturalistiche di Villarboit. Ventimila metri quadrati di superficie cementificata in un’area agricola pregiata, nota per la produzione del riso Arborio DOP. Un progetto industriale firmato dalla società agricola Bruzzese che, in poche settimane, ha acceso uno scontro frontale tra cittadini, attivisti, associazioni e istituzioni.

Dopo mesi di mobilitazione, nelle scorse ore è stata presentata una diffida legale per chiedere l’interruzione immediata dei lavori. Il documento, redatto dallo studio legale Dini e Saltalamacchia, è stato inviato all’azienda titolare del progetto e a tutte le amministrazioni pubbliche coinvolte nell’iter autorizzativo: Regione Piemonte, Provincia di Vercelli e Comune di Arborio. Un atto formale che segna un punto di svolta nella vertenza e raccoglie la firma di alcune delle principali voci del mondo animalista e antispecista italiano: Gianluca Felicetti per LAV, Piera Rosati per LNDC Animal Protection, Matteo Cupi per Animal Equality, Sara D’Angelo per la Rete dei santuari di animali liberi e Vita da Cani. A questi si aggiungono la giornalista Giulia Innocenzi, l’attivista Silvia Molè del progetto Parte in Causa – Antispecismo radicale e la poetessa Maria Rosa Pantè, esponente del movimento Ecofem.

Dietro l’azione legale c’è anche un importante sostegno dal basso: le spese sono state sostenute dal comitato cittadino RISO – Rete Indipendente Solidarietà e Opposizione, nato proprio ad Arborio in risposta all’annuncio dell’insediamento, e da un gruppo di cittadine del territorio. Il contenuto della diffida è netto: secondo le associazioni, l’intero procedimento sarebbe viziato da gravi lacune, a partire dalla totale assenza di trasparenza e coinvolgimento della popolazione. “Nessuna assemblea pubblica, nessun confronto con i residenti, nessuna comunicazione chiara su cosa stesse per sorgere a due passi da casa”, si legge nel documento. “Non si può considerare sufficiente la pubblicazione di atti tecnici su siti istituzionali quando si parla di un progetto di tale impatto ambientale, sanitario e sociale”.

la protesta

ARBORIO

Il progetto prevede un impianto da quattro capannoni, in grado di ospitare centinaia di migliaia di galline ovaiole in condizioni di allevamento intensivo, con prelievi idrici stimati in oltre 23.000 metri cubi d’acqua l’anno e emissioni ammoniacali annue che sfiorano le 19 tonnellate, secondo le valutazioni degli attivisti. Il tutto a poco più di 1.500 metri dal centro abitato di Arborio, in un’area circondata da zone protette, riserve ornitologiche e campi destinati alla risicoltura.

Oltre ai rischi ambientali – consumo di suolo, emissioni odorigene, inquinamento delle falde, carico zootecnico eccessivo – le associazioni denunciano l’incompatibilità etica e sociale di un allevamento intensivo in piena Pianura Padana, uno dei luoghi più inquinati d’Europa. “Le prime vittime – si legge ancora nella nota – saranno gli animali, rinchiusi in capannoni privi di luce naturale, con cicli produttivi forzati, destinati a un’esistenza priva di qualsiasi rispetto per la loro natura. Ma anche la salute pubblica, il clima e il paesaggio pagheranno un prezzo altissimo”.

La mobilitazione è cominciata il 23 maggio con i primi presidi sul territorio, ed è andata crescendo di settimana in settimana. Dalle piazze di Arborio a quelle di Vercelli, si sono moltiplicate le azioni di protesta, a volte represse con interventi delle forze dell’ordine e fogli di via contro attivisti. Alcune partecipanti hanno dovuto ricorrere a cure mediche durante le manifestazioni sotto il sole. Il comitato RISO ha promosso una petizione online che ha raggiunto e superato le 55.000 firme, segno di una crescente sensibilità pubblica sul tema.

Anche la politica ha cominciato a muoversi. La deputata Eleonora Evi (PD) ha presentato due interrogazioni parlamentari, ricevendo il sostegno anche dal PD vercellese. In Regione Piemonte, Verdi e Sinistra e Movimento 5 Stelle hanno chiesto chiarimenti e accesso agli atti. Le preoccupazioni sono condivise anche da ISDE – Associazione Medici per l’Ambiente, che ha evidenziato il legame tra emissioni zootecniche e inquinamento da polveri sottili, e dal gruppo locale di Greenpeace, che ha definito l’impianto “incompatibile con qualsiasi politica di transizione ecologica”.

Non si tratta, per i promotori della protesta, di una battaglia ideologica. “Stiamo parlando di un progetto che impatta direttamente sul territorio, sull’economia locale, sulla salute delle persone e sul benessere animale – spiegano –. In un momento storico in cui l’Europa chiede una trasformazione sostenibile dell’agricoltura, non possiamo permetterci un ritorno all’allevamento intensivo in piena zona agricola protetta”.

La vicenda di Arborio è diventata rapidamente un caso nazionale, simbolo del conflitto tra due modelli: da una parte quello agroindustriale, centralizzato, ad alto impatto ambientale e orientato alla massimizzazione della produzione; dall’altra, la richiesta sempre più diffusa di un’agricoltura rispettosa dell’ambiente, degli animali e delle comunità locali.

“La lotta contro il maxi allevamento di Arborio non solo non si ferma, ma si potenzia – concludono le associazioni –. Le oppressioni, umane e animali, hanno radici comuni. E da queste radici oggi nascono alleanze capaci di immaginare un futuro diverso, dove la vita di ogni individuo sia libera”.

Qui la petizione CLICCA

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