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02 Agosto 2025 - 10:24
“Sono vivo. E lo devo alla tecnologia che, nel mio piccolo, ho contribuito a immaginare, progettare, rendere possibile.” Con queste parole, affidate a La Stampa, Giorgetto Giugiaro, leggenda vivente del design automobilistico mondiale, rompe il silenzio dopo il pauroso incidente stradale avvenuto il 25 luglio sulle strade panoramiche della Costa Smeralda. A 87 anni, il genio che ha firmato alcune delle auto più iconiche del Novecento – dalla Volkswagen Golfalla Panda, dalla DeLorean alla Fiat Uno – è sopravvissuto a un volo di venti metri con la sua Land Rover Defender, finita in un dirupo tra i tornanti di Abbiadori, nei pressi di Porto Cervo. L’auto, completamente distrutta, è rimasta schiacciata. Ma lui è riuscito a uscirne vivo, cosciente, lucido, quasi incredulo.
“Se fossi stato a bordo di un’auto di quindici anni fa, probabilmente non sarei qui a raccontarla. Lo dicono i dati: un veicolo moderno, dotato di sistemi di sicurezza avanzati, aumenta fino a sette volte le possibilità di sopravvivenza in caso di impatto grave”, spiega.
Le sue parole, cariche di consapevolezza e inquietudine, suonano come una lezione. Un messaggio da un uomo che ha passato la vita a disegnare il futuro, e oggi si ritrova testimone di quanto quel futuro possa fare la differenza tra la vita e la morte. Non si limita a raccontare la paura o la sofferenza – che pure ci sono state – ma punta il dito su una ferita sociale che brucia più delle contusioni e delle fratture riportate nello schianto.
“La sicurezza, oggi, è un lusso. Un bene non accessibile a tutti. Chi può permettersi un’auto nuova ha più possibilità di tornare a casa. Ma la maggior parte degli italiani guida veicoli vecchi, con tecnologie superate. E ogni giorno, su quelle strade, si gioca una partita tragica”.
Nel 2024, in Italia, si sono registrati 173.364 incidenti stradali. Numeri freddi, statistiche che passano inosservate. Ma dietro ogni cifra c’è una persona, una famiglia, un dolore. Giugiaro lo sa, e lo dice chiaramente: “Quanti di quei guidatori, a bordo di macchine datate, non hanno avuto la mia fortuna?”
Le sue riflessioni pesano. Non sono quelle di un tecnico o di un politico, ma di un uomo che ha visto la morte in faccia e si interroga sulla disuguaglianza strutturale che separa chi può investire nella sicurezza e chi no. E questo – per uno che ha sempre lavorato con l’idea di “auto per tutti”, accessibili, democratiche – è un pensiero che “fa male, molto più di una vertebra incrinata”.
“Non sono qui per fare la morale – dice ancora –. Non voglio puntare il dito su nessuno. Sono solo un uomo che si è guardato allo specchio, dopo esserne uscito per miracolo, e ha visto un sopravvissuto. Ma anche un privilegiato”.
Oggi, Giorgetto è tornato a Torino, nel suo studio, circondato da bozzetti, prototipi, plastici, materiali. Porta un busto ortopedico che dovrà indossare per settimane, ma non ha perso l’energia creativa che l’ha sempre contraddistinto. Anzi, nella sofferenza trova una nuova ispirazione.
“Forse da questa disavventura nascerà una nuova linea, una nuova idea. Un nuovo modo di pensare alla sicurezza. Perché il futuro, come un’auto, si disegna un tratto alla volta. E io non ho smesso di disegnare”.
Con la voce di chi ha attraversato la storia dell’automobile e ora torna a parlare da sopravvissuto, Giugiaro ci consegna una riflessione amara ma necessaria, in un Paese dove l’età media dei veicoli supera i 12 anni, dove le disuguaglianze non risparmiano nemmeno la strada, dove il diritto alla sicurezza è ancora troppo spesso legato al conto in banca.
E lui, che ha disegnato sogni su quattro ruote, oggi ci ricorda che la tecnologia può salvare la vita. Ma anche che non dovrebbe essere un privilegio.
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