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01 Agosto 2025 - 16:25
Un biglietto aereo da Losanna a Torino. Una cartella sotto il braccio con atti, prove, email e appunti. E una rabbia profonda che da mesi non trova sfogo. Vincenzo Dara oggi è in città non per vacanza, ma per presentare una querela penale contro il Convitto Nazionale Umberto I di Torino, l’istituzione che – dice – “ha spezzato la serenità e la fiducia di mio figlio, trattandolo come un colpevole, senza dargli nemmeno la possibilità di difendersi.”
La lettera che Dara ha inviato alla nostra redazione il 28 luglio è un grido. Una denuncia civile, morale, e adesso anche giudiziaria. Racconta la storia di un ragazzo minorenne, studente del liceo classico, cacciato dal convitto a un mese dalla fine dell’anno scolastico. Senza prove, senza preavviso, senza nemmeno un provvedimento disciplinare formale. Una sentenza eseguita in silenzio.
“Siamo originari di Bologna ma da dieci anni viviamo a Losanna, in Svizzera. Abbiamo voluto che nostro figlio studiasse in un istituto italiano proprio per coltivare le sue radici, la sua lingua, il suo legame con il Paese. Per questo abbiamo scelto il Convitto Umberto I, che ritenevamo un’eccellenza,” scrive il padre.
Ma quel sogno è diventato un incubo. Il ragazzo, descritto come serio, educato e con ottimi risultati scolastici, è stato messo alla porta con un provvedimento tanto improvviso quanto assurdo. “Tutto nasce da accuse infondate mosse dalla famiglia di un altro convittore,” spiega Dara, “accuse mai dimostrate, che alcuni educatori hanno fatto proprie senza alcuna verifica.”
Il regolamento del Convitto prevede sanzioni progressive, comunicazioni formali, diritto al contraddittorio. Niente di tutto ciò è stato rispettato. Nessuna nota, nessun richiamo, nessuna udienza. Solo un ordine di allontanamento. Un ragazzo fatto uscire con lo zaino in spalla e con la colpa – mai provata – scritta in fronte.
“Abbiamo dovuto sistemarlo in un albergo del centro, da solo, minorenne. Per permettergli almeno di finire l’anno scolastico. Ma l’ambiente convittuale che avrebbe dovuto proteggerlo e sostenerlo gli è stato tolto. Così, da un giorno all’altro,” denuncia il padre.
Il risultato? Un trauma profondo, uno smarrimento, una ferita. “Nostro figlio è caduto in uno stato d’ansia preoccupante. Non si fida più di nessuno. Non si fida dell’Italia. Si è sentito tradito, respinto, umiliato.”
Ecco perché oggi Dara ha deciso di agire. La querela è pronta: punta dritta agli educatori coinvolti. Ma l’intento va oltre l’aula del tribunale. “Una scuola pubblica non può espellere un ragazzo sulla base di sospetti, senza prove, senza ascoltarlo. È un abuso di potere, non un atto educativo.”.
Questa storia, surreale e drammatica, ricorda da vicino un film leggendario.
“Scent of a Woman – Profumo di donna”, con Al Pacino nei panni del colonnello cieco che difende uno studente accusato ingiustamente da una scuola d’élite americana. Un ragazzo che si rifiuta di “fare la spia”, accusato da altri, e lasciato solo davanti a un consiglio disciplinare. Anche lì, un processo farsa. Ma almeno, in quel film, c’è un adulto che si alza in piedi, batte il pugno e urla: “Non si può distruggere la vita di un ragazzo per proteggere un sistema corrotto! Se lo fate, bruciatela questa scuola!”
Al Pacino vince l’Oscar. Ma qui, nella Torino reale, non c’è nessuna statuetta. C’è solo un padre che non si rassegna. E un figlio che attende giustizia.
Perché il cinema può commuovere. Ma la scuola vera deve saper educare. E soprattutto: non può sbagliare bersaglio.
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