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26 Luglio 2025 - 19:36
Chiara Gaiola e Elena Piastra
Il dado è tratto, ma le critiche arrivano prima del bando. Il Consiglio comunale di Settimo Torinese ha approvato, l'altro giorno, un atto di indirizzo che spalanca le porte alla nuova gara decennale per la refezione scolastica. Un documento formalmente tecnico, in realtà fortemente politico, destinato a stabilire chi cucinerà i pasti per migliaia di bambini settimesi nei prossimi dieci anni. Per il consigliere comunale Enzo Maiolino, qualcosa non torna. E il problema, più ancora della scelta tra concessione e appalto, sta tutto nelle tempistiche.
La gara, stando all’atto approvato, dovrebbe essere pubblicata tra fine settembre e inizio ottobre. L’affidamento sarà in concessione – e non in appalto – con una durata decennale. Non solo: viene introdotto un vincolo importante, anzi decisivo. Il centro cottura dovrà sorgere sul territorio comunale di Settimo. E se l’operatore che si aggiudicherà la gara non lo possiede già, avrà tempo limitato per costruirne uno. Sei mesi al massimo, attraverso una proroga tecnica del contratto attuale.
È qui che scatta l’allarme di Maiolino.
“Stiamo approvando un atto che si fonda su una corsa contro il tempo. A settembre parte la gara. Poi ci sono i tempi di aggiudicazione, la firma del contratto, l’organizzazione del servizio. E in parallelo, chi non ha già un centro cottura a Settimo deve cercare un capannone, ottenerne l’idoneità sanitaria, attrezzarlo e renderlo operativo. Ma stiamo scherzando? È impossibile. Non è un bando, è una selezione preconfezionata”.
La differenza tra concessione e appalto è sostanziale. Con l’appalto, il Comune mantiene il controllo diretto sul servizio e paga l’operatore. Con la concessione, invece, l’intero rischio economico – dagli investimenti alle spese di gestione – grava sul soggetto privato, che recupera i costi attraverso le tariffe pagate direttamente dalle famiglie. È una modalità che scarica il peso finanziario dal bilancio comunale, ma riduce anche il margine di manovra pubblica. E proprio per questo, secondo Maiolino, richiederebbe tempi lunghi, chiarezza e ampia partecipazione.
Invece, denuncia il consigliere di opposizione, “siamo arrivati con l’acqua alla gola, pur sapendo da due anni che il contratto sarebbe scaduto. E ora, con un vincolo territoriale così stringente e un cronoprogramma serrato, chi volete che partecipi davvero? Io un’idea ce l’ho già. Altro che gara aperta”.
Anche sul piano politico, le critiche non sono tenere.
“Staremo attenti agli obblighi del concessionario. Quando ci fu il caso degli insetti nei pasti, la sindaca era in Consiglio e disse di non saperne nulla. Ora facciamo passare una delibera che obbliga il centro cottura a stare in città, ma non basta ... Quando verrà fuori il nome del concessionario, qualcosa da dire ce l’avrò...”.
Tant'è, anche perchè la maggioranza ha difeso compatta la scelta. L’assessora Chiara Gaiola, nell'illustrare la delibera ha parlato di “scelta tecnica, sì, ma dal fortissimo valore politico” nata da un percorso partecipato, con insegnanti, famiglie, commissari mensa. “
Ci hanno chiesto una cosa chiara: che il centro cottura resti a Settimo. E la concessione è lo strumento normativo che ci permette di rispondere a questa richiesta. Lo ha spiegato bene anche il dottor Maggio in commissione. Abbiamo agito con responsabilità, anche se capisco chi, in minoranza, oggi non se la sente di assumersi questo peso”.
Gaiola ha ribadito che la collocazione in città del centro cottura garantisce qualità e sicurezza: “Meno chilometri vuol dire meno rischio, meno tempo tra la preparazione e la consegna. Un conto è se succede qualcosa a 25 km, un altro a 2 km. Inoltre, avere una struttura sul territorio significa anche un ritorno fiscale per l’ente, con l’introito dell’IMU”.
Altro elemento importante: nella delibera è inserita l’opzione di riscatto del centro cottura, alla scadenza dei dieci anni. Una possibilità che oggi, per ragioni di bilancio, non è percorribile, ma che viene formalmente prevista, anche come forma di tutela futura.
Sulla carta, quindi, la delibera definisce un modello virtuoso. Ma nei fatti? Secondo Maiolino, si sta costruendo un percorso che scoraggia la pluralità, riduce la competizione e prepara il terreno a un unico soggetto.
“Non mi si venga poi a dire che i costi non dipendono da noi. Le famiglie ci chiedono tariffe più basse. Se approviamo una delibera che limita la partecipazione, ci stiamo assumendo la responsabilità politica di un inevitabile aumento. E ci siamo già passati”.
Anche Moreno Maugeri, pur condividendo l’impostazione della concessione, ha espresso perplessità.
“I tempi sono stretti. Chi vorrà partecipare dovrà avere forza economica, capacità organizzativa e una struttura già disponibile o realizzabile in pochi mesi. Non è alla portata di tutti. Il rischio è che a presentarsi siano solo grandi operatori, con riflessi su tariffe e qualità”.
Di tutt'altro avviso Fortuna Bianchini, in quota Piastra Sindaca. Ha ringraziato Gaiola “per la gestione equilibrata e attenta di un tema molto delicato”, sottolineando come il bando dovrà contenere indicatori di customer satisfaction e valorizzare “la mensa come spazio educativo, non solo funzionale”. Per lei, i dieci anni della concessione sono un tempo congruo.
A difendere l'operato dell'assessora anche Elena Ruzza, capogruppo PD.
“Questa delibera è il frutto di un lavoro partecipato. È scritta bene, in modo chiaro. Le allusioni di Maiolino non riguardano questo atto, ma quelli che verranno. Noi oggi votiamo un indirizzo politico condiviso e trasparente”. E poi: “Se avessimo scelto un appalto, non saremmo neanche passati in Consiglio. Qui abbiamo scelto un modello politico, che coinvolge tutta la città”.
Nel suo intervento conclusivo, Gaiola ha ribadito la coerenza dell’iter.
“Abbiamo lavorato con la parte tecnica, che elaborerà un bando il supporto di legali. Il nuovo codice degli appalti si basa su sette principi, tra cui il risultato, la fiducia e l’accesso al mercato. Non possiamo oggi parlare di tariffe, non siamo ancora lì. Ma il quadro è solido. Stiamo facendo il nostro dovere: dare seguito alle richieste delle famiglie”.
Insomma, la linea è tracciata. Il bando sarà pubblicato tra poche settimane. Il Comune rivendica trasparenza, partecipazione e visione. Maiolino grida all’operazione blindata, costruita su misura. La vera sfida sarà quella che comincia ora: trovare imprese che abbiano tempi, soldi, strutture e coraggio per partecipare. E garantire un servizio buono, sostenibile e accessibile. I bambini aspettano a tavola. Le famiglie osservano. E il conto, come sempre, lo pagano loro.
A Settimo Torinese, anche quando si parla di mensa scolastica, l’ingrediente più usato è sempre lo stesso: saccenza.
L’ha mescolata per bene nella minestra l'assessora Chiara Gaiola. Peccato che lì dentro, qualche mese fa, ci siano finiti anche i vermi. Letteralmente. Larve e insetti nei piatti dei bambini. Le foto sono finite ovunque, i genitori sono insorti, il Comune ha promesso rigore. E ora?
Ora no, non si parla più di vermi, ma di cemento armato, di nuovi locali da allestire. Perché quella che viene venduta come una grande occasione — la nuova gara in concessione per la refezione scolastica — è in realtà un'operazione al limite della decenza politica. Dietro le parole “servizio”, “chilometro zero”, “centro cottura in città” e “partecipazione”, si nasconde una verità molto più indigesta: nelle tariffe che le famiglie pagheranno ci sarà dentro anche il costo per allestire o costruire un edificio. Non solo il cibo, ma pure il capannone.
Già, perché si è deciso che il nuovo concessionario — se non ha un centro cottura a Settimo — lo dovrà realizzare da zero. E dovrà farlo in pochi mesi, con tutte le autorizzazioni del caso, mentre nel frattempo parte il servizio con una proroga tecnica al gestore attuale. Una corsa contro il tempo. Una gara che si apre a settembre, ma che sembra già chiusa prima di cominciare.
Altro che "accesso al mercato" e principi europei. Più che un bando, un test a crocette con una sola risposta giusta già barrata. Una concessione confezionata per chi ha già tutto: soldi, struttura, contatti...
Ma il punto non è solo questo. Il punto è che la concessione non tutela le famiglie, le espone. Nell’appalto è il Comune che paga, nella concessione invece il gestore si ripaga con le tariffe. E dentro quelle tariffe ci finisce tutto: il servizio, certo, ma anche gli investimenti, come la costruzione del nuovo centro cottura. Deve rientrare dei costi, deve guadagnarci per contratto. Tradotto: se il centro cottura costa un milione, quel milione — spezzettato in migliaia di pasti — finirà tutto nel prezzo. Nessuno lo dice, ma è così. E a pagarlo saranno, come sempre, le famiglie. Con buona pace del caro mensa, delle famiglie obbligate a pagare, della retorica sul “chilometro zero” e del rispetto per chi lavora.
Ecco perché era fondamentale costruire un percorso diverso. Il problema? Gaiola, sempre lei, è arrivata tardi, troppo tardi. Ha dormito sonni profondi fino all'altro ieri e poi è pure venuta in consiglio a raccontare la rava e la fava, sempre con lo stesso metro di una che vuole spiegare il diritto, si spera abbia almeno una laurea in giurisprudenza o in economia e commercio.
Insomma ci si è mossi in ritardo, con tempistiche irragionevoli, vincoli territoriali strettissimi, e quella sensazione costante che tutto sia già stato deciso altrove. Magari negli stessi uffici dove non si erano accorti degli insetti nel piatto.
Certo, ora c’è l’illusione della “grande partecipazione”. Peccato che non basti. Si dice a tutti: “Siate fiduciosi”. Ma fiduciosi di cosa? Dell’ennesimo pasticcio?
La verità è che questa concessione nasce con il piede sbagliato. Non per il principio in sé — gestire attraverso una concessione può avere senso — ma per come è stata costruita. Con un vincolo rigido (il centro cottura deve stare in città), con scadenze lampo, con l’ombra di chi sussurra che “tanto si sa già chi vince”. E con una promessa implicita di aumento dei costi, che verranno spacciati per “effetti del mercato”, mentre sono il risultato diretto delle scelte fatte oggi.
E allora, diciamolo chiaro: questo piatto non va servito. Non così. Non senza aver prima spiegato alle famiglie che nel menù non c’è solo il minestrone — magari condito con qualche larva — ma anche le fondamenta di un edificio. E che saranno loro, col cucchiaio in mano, a pagarlo. Boccone dopo boccone. Tariffa dopo tariffa.
Chi pensa che basti dire “chilometro zero” per far sembrare tutto sostenibile, dimentica che la vera sostenibilità è quella sociale. Ed è insostenibile un sistema in cui si tagliano fuori i piccoli operatori, si blinda il territorio, si impone una corsa a ostacoli e poi si presenta il conto alle famiglie con un sorriso.
Più che una mensa scolastica, una mensa politica dall'indimenticabile sapore: amaro, ipocrita e indigesto.
Se questo è il nuovo centrosinistra che non pensa alle tariffe fin da subito, c'è da rifare la battaglia del panino, c'è da mandarli a casa subito!
Non si può parlare della nuova concessione per la mensa scolastica di Settimo Torinese — quella che prevede centro cottura obbligatorio in città, gara decennale e tariffe in salita — senza ricordare da dove veniamo. E soprattutto da dove, fino a ieri, mangiavano i bambini di Settimo.
Negli ultimi mesi, il servizio mensa affidato alla ditta Eutourist New è finito nel frullatore della cronaca locale e nazionale. Proteste, indignazione, interrogazioni in Consiglio comunale. Una vicenda che ha scosso famiglie, opposizioni e giunta, lasciando uno strascico di sfiducia profonda tra cittadini e amministrazione.
Tutto è esploso il 24 ottobre 2024, quando alcune foto hanno fatto il giro dei gruppi WhatsApp, dei social, poi dei giornali e infine delle televisioni: piatti di mensa serviti a scuola — tra cui la primaria Andersen — con dentro vermi. Larve. Insetti. Non metafore. Non figure retoriche. Insetti vivi nella minestra dei bambini.
L’indignazione è stata immediata. Il Comune ha reagito con un copione noto: richiesta di chiarimenti alla ditta, controlli straordinari, promesse di rigore, apertura dell’iter sanzionatorio. Ma il danno era già servito. Freddo. E indigesto.
Le ispezioni dell’ASL TO4 e dei NAS hanno confermato l’impressione generale: niente infrazioni gravi, ma problemi evidenti nella gestione e nello stoccaggio, tali da rendere necessaria una pulizia straordinaria del centro cottura. La ditta ha provato a minimizzare: “nessun rischio per la salute”. Ma la salute, in quel momento, non era più il tema. Era la fiducia ad essere contaminata.
E da lì è partita la rivolta delle famiglie, finita anche in TV. Lo sciopero del panino, con centinaia di genitori che hanno cominciato a mandare i figli a scuola con il pranzo portato da casa, si è trasformato in una forma di disobbedienza civile. Una ribellione simbolica. Un gesto che gridava: “Non ci fidiamo più di voi”.
Mentre gli uffici comunali cercavano una toppa, la politica si spaccava. L’assessora Chiara Gaiola cercava di contenere i danni parlando di partecipazione e trasparenza. Ma in aula, il consigliere Enzo Maiolino denunciava ritardi, opacità e scelte già scritte. E intanto le famiglie continuavano a pagare, a dubitare, a protestare.
Ora, su quelle stesse macerie, nasce la nuova gara. Una concessione decennale, con il vincolo del centro cottura in città e la possibilità per il nuovo gestore di costruirlo da zero. A spese proprie? Formalmente sì. Ma nei fatti, quel cemento armato finirà dritto nelle tariffe, che le famiglie continueranno a pagare. Con il cucchiaio in mano. Boccone dopo boccone.
Chi pensa che si possa parlare della nuova concessione senza evocare gli insetti nel piatto, si illude. Perché a Settimo Torinese la memoria non è corta. E se oggi ci si affanna a dire che “sarà tutto diverso”, è solo perché qualcosa di troppo viscido è rimasto lì, sul fondo del pasto. E nel retrogusto amaro della politica.
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