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26 Luglio 2025 - 18:38
Medicina, record di iscritti ma solo 560 ce la faranno: il semestre aperto è una roulette russa travestita da riforma
A vederli da fuori sembrano entusiasti, determinati, affamati di futuro. Sono i 3.138 studenti che si sono iscritti quest’anno al corso di laurea in Medicina e Odontoiatria dell’Università di Torino, con un incremento del 30% rispetto al 2023. Ma dietro ai numeri da record si nasconde un meccanismo tutt’altro che semplice. Il nuovo sistema del cosiddetto semestre aperto, lanciato con squilli di tromba dalla ministra Anna Maria Bernini, si sta rivelando per molti una scommessa al buio. E per altri, addirittura, una trappola travestita da riforma.
Il concetto è semplice, almeno in apparenza: si abolisce il classico test d’ingresso nazionale e si consente a tutti di iscriversi e frequentare il primo semestre. Niente sbarramenti iniziali, insomma. Ma il sogno dura poco: per poter continuare, gli studenti devono superare tre esami – chimica, fisica e biologia – entro pochi mesi. Tre prove, da svolgersi tutte nella stessa mattina, con modalità a “risposta semichiusa”, ovvero crocette mascherate da quiz accademici. E poi, come se non bastasse, una prova nazionale finale.
A quel punto – solo a quel punto – si saprà chi potrà davvero restare. I posti, ovviamente, sono sempre quelli: 560. E allora la domanda diventa inevitabile: abbiamo davvero superato il numero chiuso? O lo abbiamo solo spostato più in là, rendendolo ancora più duro e selettivo?
Secondo i Giovani Democratici di Torino, la risposta è chiara. E la riforma è un bluff. Un lungo comunicato firmato da Giosuè Del Peschio e Federico Raia, rispettivamente responsabile sanità e segretario del gruppo giovanile, smonta punto per punto l’entusiasmo del centrodestra e attacca frontalmente il senatore Roberto Rosso, tra i principali sostenitori del “semestre aperto”. «Dice che si valuta il merito sul campo? Falso. Si valuta la resistenza allo stress», scrivono. E aggiungono: «In due mesi e mezzo, con lezioni online per mancanza di aule, gli studenti devono affrontare tre esami nello stesso giorno. È il vecchio test di Medicina, ma spostato a novembre».
Non va meglio sul fronte del diritto allo studio. Gli studenti devono pagare 250 euro per iniziare, senza alcuna certezza di poter proseguire. E le promesse sulle borse di studio retroattive, dicono i GD, sono aria fritta: «Lo scorso anno in Piemonte 1.800 studenti idonei non hanno ricevuto la borsa. Solo dopo proteste, interrogazioni e mesi di silenzio, la Regione ha stanziato fondi straordinari».
La denuncia più grave, però, riguarda il metodo con cui è stata approvata la riforma: «Gli atenei non sono stati ascoltati, il parere contrario del Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari è stato ignorato, le lettere inviate da centinaia di rappresentanti non hanno avuto risposta. E quando gli studenti hanno protestato online, il Ministero ha risposto con la censura: commenti cancellati, critiche ignorate».
Un'accusa pesante, che chiama in causa anche la qualità della politica universitaria del governo Meloni. Per i Giovani Democratici, il semestre aperto non è una soluzione strutturale, ma un’operazione propagandistica che scarica il peso della selezione direttamente sugli studenti e le loro famiglie. «È ora di programmare davvero. Calcoliamo il numero di posti in base ai pensionamenti dei medici nei prossimi dieci anni. Investiamo nelle borse di specializzazione. E ascoltiamo i sindacati degli specializzandi. Basta improvvisazioni», si legge nel comunicato.
L’obiettivo dichiarato, da parte di chi ha sostenuto la riforma, è affrontare la carenza di medici, un problema sempre più grave in tutto il Paese. Ma secondo molti osservatori, il semestre aperto rischia di peggiorare il problema: crea aspettative enormi, genera frustrazione, e manda al macello migliaia di studenti, spesso giovanissimi, che si ritrovano a metà novembre con sogni infranti e un semestre da ricominciare da capo – per massimo tre volte.
Nel frattempo, le università fanno i conti con l’impossibile: aule insufficienti, docenti sotto pressione, corsi improvvisati. «Una riforma nata male, imposta peggio, gestita nel caos», dicono all’ombra dei portici di via Po.
E così, mentre la ministra Bernini tace, e Forza Italia fa da megafono, a parlare sono i numeri. E i volti. Di quei 3.138 ragazzi che, con una cartella sotto braccio e la speranza negli occhi, a settembre si siederanno nelle aule di Medicina. Sognano il camice bianco. Ma qualcuno dovrà spiegare loro che il vero test, quello che davvero decide le sorti, non è stato abolito. È solo stato rimandato. E reso più insidioso.
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