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Lo Stiletto di Clio
24 Luglio 2025 - 14:28
Furgone pubblicitario del 1955
Per gli abitanti non più giovanissimi di Settimo Torinese, la Lavazza è l’azienda che li deliziava con un intensissimo aroma di caffè, specie nei giorni di bassa pressione atmosferica. Dal 2014 è anche un libro: edito da Mondadori e curato da Giuseppe Berta ed Elisabetta Merlo, s’intitola «Lavazza, una storia industriale dal 1895». Contiene saggi, fra gli altri, di Stefano Musso, Chiara Casalino e Guido Corbetta.
L’azienda sorse nella Torino di fine Ottocento, esattamente centotrent’anni or sono, all’angolo fra le vie Giuseppe Barbaroux e San Tommaso, come semplice negozio di generi coloniali. Il fondatore fu Luigi Lavazza, nato nel 1859 e morto nel 1949. Scrive Elisabetta Merlo: «Nel 1895, con i propri risparmi e diecimila lire prestate dal suo datore di lavoro, rilevò una vecchia drogheria in cui, oltre ai prodotti comunemente smerciati dalle drogherie, si vendeva anche caffè, acquistato crudo da uno spedizioniere genovese. A partire dal 1897, il caffè cominciò a venire tostato nel retro del negozio, che nel frattempo era stato spostato poco lontano dalla prima bottega».
La vera espansione dell’attività avvenne nel periodo fra le due guerre mondiali, quando iniziò quel lento processo che doveva trasformare la Lavazza in un’impresa industriale. All’epoca, tuttavia, l’azienda si occupava ancora dei più svariati prodotti: oli commestibili, cera, zucchero, saponi, ecc. Una delle idee vincenti fu tradotta in realtà dopo il secondo conflitto mondiale, allorché la Lavazza passò a confezionare il caffè in barattoli a banda stagnata, ermeticamente chiusi e avvolti da un’etichetta su cui campeggiava il marchio aziendale. Non era ancora il principio del confezionamento sottovuoto che avrebbe rivoluzionato – sorretto da massicce campagne pubblicitarie, al tempo del boom economico, fra gli anni Cinquanta e Sessanta – le abitudini di consumo degli italiani, a cui era familiare il caffè in grani che i droghieri conservavano nei barattoli di vetro. Però si era sulla buona strada.
Solo nel 1954 i figli di Luigi Lavazza acquistarono un terreno in corso Novara, a Torino, per impiantarvi un nuovo stabilimento (quello vecchio sorgeva in corso Giulio Cesare): stava per concludersi la fase pionieristica della storia aziendale. In strada Settimo, la Lavazza giunse nel 1965, quando fu inaugurato il primo capannone di una moderna fabbrica la quale, grazie ai successivi ampliamenti e all’acquisizione delle macchine tostatrici ancora attive in corso Novara, diverrà la più grande in Europa nel settore del caffè. La sua storia costituisce un significativo esempio di come un’impresa familiare (ormai si è alla quarta generazione) abbia raggiunto una posizione di leadership nel proprio ambito, in Italia e in vari mercati internazionali. Non a caso, l’ultimo capitolo del citato libro s’intitola «Lavazza, una famiglia unita per un’impresa competitiva». Oggi, l’azienda possiede stabilimenti in Francia, India, Brasile, Gran Bretagna e Stati Uniti.
E che dire delle fortunate campagne pubblicitarie, in collaborazione con Armando Testa (dal 1957). Chi non ricorda le avventure di Caballero e Carmencita? E Natalina, la governante di Nino Manfredi? Un cenno particolare, infine, merita l’archivio storico dell’azienda che custodisce e valorizza il patrimonio legato alla cultura del caffè, grazie al costante lavoro di catalogazione e digitalizzazione dei documenti.
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