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Il Canavesano imbruttito
24 Luglio 2025 - 10:31
Gaza
Ormai credo sia inequivocabile, sul piano politico ed economico l’Italia non è più un Paese sovrano, abbiamo dato un calcione al residuato di indipendenza che ancora ci concedevano gli americani quando, molto “ben consigliati”, abbiamo cestinato la lira per metterci in tasca l’euro. Ora il bilancio pubblico è costantemente monitorato e condizionato dall’Unione Europea e il debito italiano è nelle mani della B.C.E., in pratica, se gli italiani ne fossero dotati, sarebbero tenuti per i coglioni dalla Banca Centrale e dalla Commissione Europea che, invece, devono accontentarsi di tenerci per il collo, tradotto nel tanto amato politicamente corretto: “nel contesto dell’eurozona, stando così le cose, i governi italiani, di qualsiasi colorazione politica sono o saranno in futuro, non hanno e non avranno sostanzialmente più alcuna possibilità di manovra, né politica, né economica”.
La sovranità italiana, poi, è ancora più limitata a causa della nostra appartenenza all’Alleanza Atlantica, infatti, soprattutto dopo lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina e dopo l’invasione dei territori palestinesi da parte di Israele, dimostrato dalle ultime vicende, a imporci nuove spese per il riarmo, così come a dettarci le linee guida di politica estera è stata la N.A.T.O.. Il Governo Meloni, quello che nella speranza dei più doveva essere il “Governo della svolta”; quello che doveva far valere la sovranità dell’Italia; quello che avrebbe dovuto depennare accise e balzelli dai carburanti; quello che sembrava essere filorusso e quello che avrebbe dovuto mettere gli italiani al centro della sua agenda politica, ha capito al volo che per mantenere il potere occorreva inchinarsi alle potenze dominanti e, come i camaleonti, è diventato europeista e anti russo.
Putin da grande uomo politico è stato declassato ad assassino e Netanyahu da assassino è stato elevato a coraggioso condottiero anti terrorismo islamico. Poi nel futuro si vedrà, ma intanto si tira a campare facendo gli occhi dolci a Trump e rammentando al leader israeliano che, nonostante la Corte Penale Internazionale abbia spiccato nei suoi confronti più di un mandato di cattura per crimini di guerra, in Italia sarà sempre il benvenuto, accolto a ostriche e champagne, bollicine rigorosamente francesi, per la gioia di Macron che, quando sarà, certamente non vorrà mancare all’evento.
Nei fatti, nemmeno più liberi di utilizzare petrolio e gas, che continuiamo ad importare a carissimo prezzo nonostante il nostro sottosuolo ne sia pieno, tanto che potrebbero addirittura essere esportati, ora siamo di fronte ad un’altra importante chiusura, avvenuta quella dei pozzi e dei giacimenti, è il momento di quella delle menti. Non ci sono più le bandiere della pace, sono spariti i pacifisti, soprattutto in politica sono diventati introvabili. La narrazione che la pace è possibile senza ricorrere alle armi e senza che implichi automaticamente la resa all’aggressore non trova più spazio sulla quasi totalità dei mezzi d’informazione. Al massimo è riportata in modo distorto, semplificato, quasi da sembrare ripetuta sotto dettatura a differenza, invece, di quanto avviene per i discorsi favorevoli al prosieguo della guerra o all’invio di armi.
Sembrano lontani secoli i discorsi pacifisti e non violenti di Gandhi, Martin Luther King o di Nelson Mandela, discorsi che scaldavano i cuori degli studenti di tutto il mondo, discorsi che squassavano la politica, che facevano breccia nei palazzi del potere finanziario ed economico e che riuscivano a portare nelle piazze e nelle strade centinaia di milioni di persone impossibili da ignorare.
Non è più così, ora è importante avere la “linea superveloce” e tanti “giga”, cose fondamentali per lo “streaming” in alta definizione, per lo “smart working”, per il “remote learning” e il “gaming on line”, poi, la verità dura e cruda e che a nessuno interessa un fico secco di portare avanti l’impegno personale per rifiutare la guerra. In definitiva ciò che veramente conta è viaggiare veloci tra i siti porno, i casinò online, i siti di scommesse, giocare alla play station e organizzare sfide “memorabili” per divenire campioni di “Fortnite”, “League of Legends”, “Valorant”, “Counter-Strike”, “Global Offensive”, “Call of Duty", “Warzone”, “Apex Legends”, “Among Us”, “Dota 2” o di “Roblox”; la realtà è che per gli italiani la presenza sui social network, dove condividono colazioni, pranzi, cene, vacanze e avventure, è diventata irrinunciabile e che attingere “consigli” e “verità” da YouTube è cosa considerata molto più importante che pensare, disegnare, scrivere, manifestare e lottare perché si possano verificare le condizioni favorevoli alla fine dei conflitti, delle guerre, delle persecuzioni razziali e religiose.
In fondo le guerre scoppiano sempre a “valle”, in “valli lontane”, sconosciute agli italiani, infatti, diversi sondaggi compiuti da società specializzate hanno testimoniato, prima e dopo l’intervento militare Russo in Ucraina, che in media tra il 2022 e il 2024, oltre il 60% degli italiani non conosceva con precisione l’ubicazione dell’Ucraina. Nessuno di questi sondaggi, è vero, specificava il numero, il sesso, l’impiego e l’età degli intervistati, ma se dobbiamo prendere per certo il sondaggio rilanciato dall’ANSA. lo scorso mese di febbraio, secondo il quale il 69% degli italiani risultava favorevole alla costituzione di un grande esercito europeo, nulla e nessuno ci vieta di credere autentico anche il sondaggio secondo il quale, sino al 2024, pochi italiani conoscevano l’ubicazione sulla cartina geografica della nostra nuova “amica Ucraina”. Cosa a dir poco agghiacciante, perché significa che la maggior parte degli italiani, più o meno consapevolmente, accetta che il Governo li stia coprendo di debiti per un’amica della quale non conoscono nemmeno l’indirizzo.
Cosa ci dice questo? Semplice, di guerra si parla tanto, tanto da averne perso il senso, di guerra si parla tutti i giorni, più volte al giorno, per diversi motivi e in diversi contesti, tanto che ormai ci siamo abituati, tanto che anche le immagini più aspre, più ostili, violente e sanguinarie non sono più in grado di rappresentare il dolore, la morte e la sofferenza, superate da videogiochi come “Mortal Kombat” o “The Darkness”, che nella sua settima edizione è arrivato a utilizzare vere immagini di guerra, estratte da chissà quali fronti e magari concesse magnanimamente dalla C.I.A..
Il fatto è che oggi ci basta prendere il nostro smartphone per essere costantemente aggiornati sull’andamento di un conflitto: giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto, tanto che le guerre si sono trasformate nella rappresentazione di reality più che della realtà. C’è la guerra, ma in fin dei conti ci fa sempre meno male, se c'è, sarà perché non era evitabile, un po’ come è stato di recente, quando si è sperimentata con successo la vaccinazione di massa contro il covid 19, quando non contava stare male per essere ammalati, a decidere insidacalmente se un individuo fosse positivo al covid era un semplice tampone naso-faringeo, così se una persona era perfettamente sana risultava essere malata asintomatica.
C'è la guerra, mentre scrivo ce ne sono oltre 40 nel mondo, ma tutto appare normale, scontato, quasi dovuto, un po’ come tutte le cose che nel nostro Paese non vanno o vanno male.
Prendete il “P.N.R.R.”, del “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” cosa è rimasto? Eppure per oltre un anno ha tenuto banco su tutti i media, cartacei e non, spacciato come la più grande opportunità mai avuta dall’Italia negli ultimi 70 anni e più per cambiare e migliorare il volto del nostro Paese, la qualità della nostra vita e quella delle generazioni future. Cosa è rimasto del “P.N.R.R.” non si sa, senz’altro sta riempiendo le tasche di pochi “amici degli amici”, ma mi pare che non sia più un argomento da prima pagina e, soprattutto, mi pare che la quasi totalità degli italiani non abbia nemmeno mai ben capito cosa in realtà fosse e cosa significherà per loro in futuro. Prendete un qualsiasi lavoro pubblico, un viadotto, un ospedale, una scuola, un porto, un palasport, una diga ecc., siamo abituati a sentirne parlare quando la politica li strombazza a più riprese dalle televisioni e dalle pagine dei giornali, ma poi, in verità siamo abituati a ben altre cose, alle immancabili indagini per corruzione o concussione che seguono quasi sempre le gare d’appalto, ai problemi, alle proroghe, ai fallimenti, ai rinvii ed ai mille ostacoli che ne ritardano, o peggio, ne impediscono la realizzazione.
Noi, se non si ha chiaro questo non si riesce a comprendere cosa in realtà siamo e cosa in realtà contiamo, siamo la patria delle “cattedrali nel deserto”, dove tutto è possibile perché “è sempre stato così”, dove tutto può succedere perché “non si può fare niente”; noi siamo quelli dell’eterna realizzazione della Salerno-Reggio Calabria; noi siamo quelli dove è dalla fine del secolo scorso che tutti i governi sono riusciti a trovare miliardi da gettare nelle più disparate e perdenti “avventure” e nel contempo sono riusciti e riescono a lamentare la mancanza di risorse per poter realizzare interventi che servirebbero alla popolazione, dalle strade alla capillare connessione internet, dalla riqualificazione delle periferie alla messa in sicurezza delle scuole, dagli interventi strutturali sull’ambiente al potenziamento della sanità pubblica e così via, all’infinito, svelando un mondo dei sogni, unicamente buono in campagna elettorale, da dare in pasto ai quattro gatti che ancora vanno a votare.
Noi siamo quelli che in questo momento, nel quale è acuto il bisogno pubblico di investimenti sociali, obbediscono a Washington e Bruxelles, dirottando miliardi per il riarmo verso l’industria militare statunitense, rinunciando a mettere in sicurezza il nostro territorio, rinunciando a costruire strade, ponti, a migliorare e potenziare il nostro sistema sanitario ed a trovare i denari necessari per non far vivere ai nostri pensionati una vecchiaia di degrado e privazioni.
Noi siamo quel Paese dove crollano i ponti, si aprono voragini sulle strade, si ribaltano autocisterne sulle autostrade, finiscono pullman, carichi di turisti e studenti, nei fiumi e nelle scarpate; noi siamo un Paese in grave e profonda crisi e chissà, forse, il continuo ripetersi di tanti e tali episodi è un messaggio del destino ed a volergli trovare un significato, potrebbe indicare l’imminente crollo dell’intera Nazione. Intanto, per chi non lo sapesse, certificato dai numeri, che al contrario della “scienza” non mentono mai, è stata scoperta la principale causa di mortalità infantile al mondo, si chiama Israele!
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