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23 Luglio 2025 - 14:49
Ospedale di Chivasso
Nemmeno il tempo di festeggiare la chiusura del locale lavaggio, che all’ospedale di Chivasso arriva l’ennesima conferma che il problema non era solo il caldo, ma un intero sistema marcio. Ieri sera, un’altra lavoratrice si è fatta male. Ancora una volta una precaria, ancora una volta sola. E ancora una volta mentre cercava di sollevare uno di quei carrelli termici troppo alti, troppo pesanti, troppo pericolosi per chiunque, figuriamoci per una sola persona.
Lo schiacciamento della mano contro lo stipite dell’ascensore, la prognosi di sei giorni per un trauma contusivo con interessamento di nervi e tendini. Non è solo una riga su un referto medico: è dolore, è impotenza, è l’ennesima dimostrazione che lì dentro si lavora senza rete, senza tutela, senza rispetto. Una ferita che urla più di qualunque comunicato ufficiale...
Ilenia Posa
E a quel punto la misura è colma. La UILTuCS del Canavese, con una nuova lettera firmata dalla segretaria Ilenia Posa, ha comunicato oggi la sospensione immediata del servizio: i lavoratori non sposteranno più nemmeno un carrello se non saranno in due a farlo. Non si tratta di una richiesta. È una decisione. È la linea del rispetto. E della difesa. Una linea che non si può più oltrepassare.
La diffida è stata inviata alla Dussmann Service Srl e, come sempre, per conoscenza a tutti gli enti pubblici coinvolti: dall’ASL TO4 allo SPRESAL, dalla SCR Piemonte alla Regione, fino all’Ispettorato nazionale del lavoro. Un avviso forte, chiaro, senza possibilità di interpretazione.
“Sarete ritenuti responsabili, civilmente e penalmente, degli eventuali danni subiti dai lavoratori”, scrive la UILTuCS. Parole che pesano come macigni. Inequivocabili. A cui nessuno, stavolta, ha potuto rispondere con un’altra stretta di spalle o una finta convocazione.
E i segnali, per una volta, sono arrivati subito. Già oggi, all’ora di pranzo, i carrelli sono stati movimentati da due operatori. Forse per evitare una nuova figuraccia, forse per paura di una nuova denuncia, forse – chissà – per quel minimo residuo di buon senso che ancora resiste tra gli uffici della Dussmann o nei corridoi climatizzati dell’ASL TO4. Oppure, semplicemente, perché non si poteva più far finta di niente. Perché questa volta il danno è diventato visibile, evidente, incontestabile. E nessuno poteva dire: “non lo sapevamo”.
Ma una cosa è certa: anche stavolta non si è mosso nulla finché il sindacato non ha battuto i pugni sul tavolo. Anche stavolta il prezzo è stato pagato da una lavoratrice in somministrazione, ferita, sola, costretta a lavorare in condizioni che definire rischiose è un eufemismo. Ancora una volta i fragili in prima linea, ancora una volta il silenzio istituzionale a fare da sfondo.
La battaglia del locale lavaggio si è chiusa con una vittoria. Ma quella sui carrelli è un’altra ferita aperta, che brucia, che parla di responsabilità ignorate, di sicurezza trattata come un fastidio, di dignità professionale calpestata ogni giorno, sotto gli occhi di tutti.
Il sistema continua a scegliere la via più vile: usare i più deboli, ignorare le segnalazioni, aspettare che succeda qualcosa di grave per poi correre ai ripari senza dire una parola. Nessun piano di prevenzione, nessun ascolto, nessuna assunzione di colpa. Solo paura, reticenza e una gestione che odora di scaricabarile.
La UILTuCS non ci sta. E ha deciso che da oggi si cambia. Con o senza il permesso di chi comanda. “Non faremo più un passo indietro”, fanno sapere dal sindacato. E questa volta, è evidente, non si tratta di un avvertimento simbolico. È l’inizio di una nuova fase.
Altro che protocolli, altro che audit interni, altro che piani di miglioramento. Qui si parla di braccia rotte, schiene piegate, dita schiacciate. Si parla di persone, non di numeri. E quando un sindacato fa il suo mestiere, la realtà si modifica. Anche senza la firma di chi dovrebbe garantire tutto questo per dovere, e invece tace. Anche senza il plauso di chi guarda da dietro una scrivania.
Il forno-lager è stato chiuso. Ora i carrelli non si muovono più da soli.
Ma la vergogna resta. Tutta intera. E resta il dubbio più inquietante di tutti: se non ci fosse stato il sangue, si sarebbe fermato qualcosa?
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