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22 Luglio 2025 - 19:39
Ilenia Posa
Alla fine hanno dovuto cedere. Non per coscienza. Non per responsabilità. Ma perché qualcuno ha avuto il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, di denunciare l’inaccettabile, di dire basta. Da oggi, il famigerato locale lavaggio stoviglie dell’ospedale di Chivasso è chiuso fino a data da destinarsi. Stop. Finito. Nessun altro lavoratore sarà mandato lì dentro a respirare vapori stagnanti e soffocare tra condizionatori rotti e aria bollente. La chiusura arriva non per un atto tecnico dell’ASL TO4, ma perché la UILTuCS del Canavese, con la segretaria Ilenia Posa, ha imposto la verità con una diffida che ha fatto tremare più delle temperature nel locale stesso.
Nessuna riparazione. Nessun intervento strutturale. Nulla. Ma almeno, quel reparto disumano, quel forno-lager, è stato svuotato e sigillato. Da oggi, a Chivasso, si utilizzano esclusivamente stoviglie monouso, sia per i degenti che per la mensa dei dipendenti. Il pentolame sarà trasferito in altra sede, i vassoi sanificati a mano. Insomma, si è scelto di smontare tutto pur di non rimettere in discussione gli impianti.
Una vittoria in tutti i sensi, anche perché qualcuno aveva deciso che il problema non era l’impianto rotto, ma chi protestava. E come l'avevano risolto? Via i lavoratori stabili, dentro i precari. Cambi di turno fatti all’ultimo secondo, un piccolo capolavoro di viltà aziendale. E adesso? Adesso le stoviglie si buttano. Il cinismo, invece, resta scolpito sul conto di chi ha scelto di gestire le risorse umane come bestiame da mandare al massacro.
Ci voleva una diffida ufficiale, un atto duro e inequivocabile, inviato alla Dussmann Service Srl, responsabile dell’appalto, e per conoscenza all’ASL TO4, che – va detto – ha preferito il silenzio alla vergogna, l’inerzia alla responsabilità. Nessuna presa di posizione, nessun comunicato. Solo il mutismo dell’istituzione che aspetta che passi la tempesta. Ma stavolta, la tempesta ha lasciato il segno.
La UILTuCS ha vinto. Ha dimostrato che non servono luci puntate, ma voci forti. Che la sicurezza non si chiede, si pretende. E che quando un sindacato fa davvero il suo mestiere, anche i reparti tossici si chiudono.
Ma attenzione: la battaglia è appena cominciata. All’orizzonte si profila un altro fronte: quello dei carrelli termici, quegli armadi ambulanti troppo pesanti, troppo alti, troppo pericolosi per essere spinti da un solo lavoratore lungo i corridoi dell’ospedale. Sono già avvenuti infortuni, raccontava la UIL solo qualche giorno fa. E nulla è cambiato.
Il sindacato annuncia un blocco totale a partire da lunedì.
Insomma, se la prima vittoria è chiara, il conflitto è tutt’altro che concluso. La guerra per la dignità, la salute e la sicurezza sul lavoro dentro l’ospedale pubblico di Chivasso continua, perché quel che è accaduto fino a oggi non è solo una catena di omissioni. È un sistema malato, dove chi lavora viene sfruttato, spostato, punito. Dove i deboli vengono usati come schiavi.
Altro che sanità pubblica: la salute, a Chivasso, non è garantita né a chi lavora né a chi si cura. È pubblica solo di nome, una foglia di fico stropicciata buona per le brochure regionali. E la legalità? Roba da slide, da convegni, da cartelline in assessorato. Perché se si può continuare a mandare personale precario dentro reparti insalubri, allora qui non si parla più di lavoro. Qui si parla di nuovo schiavismo. Di un modello di gestione cinico, infame, istituzionalizzato.
Il locale lavaggio è chiuso. Ma le responsabilità sono ancora tutte aperte.
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