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La pinnacola di ogni giorno: due amici, un bar, e una storia che si ripete

Un incontro quotidiano tra carte e sfottò al Bar Italia: Giancarlo e Cristian si sfidano a pinnacola, tra ironia e goliardia in un ambiente familiare. La routine di un'amicizia scandita da croissant fragranti e storie di calcio mai dimenticate, mentre il tempo scorre tra partite e racconti.

La pinnacola di ogni giorno: due amici, un bar, e una storia che si ripete

La pinnacola di ogni giorno: due amici, un bar, e una storia che si ripete

Al Bar Italia di Favria da Sandro c’è una partita che va avanti da anni. Non si trova nei palinsesti televisivi, non ha cronache ufficiali, ma a Favria tutti la conoscono: è la sfida del mattino, Giancarlo contro Cristian, a pinnacola.
Le carte sul tavolo, il caffè che fuma, le battute taglienti e gli sfottò calcistici. Ogni giorno, la stessa storia. E ogni volta, una storia diversa.

Le carte scivolano tra le dita segnate dal tempo, il caffè fuma pigro nelle tazzine, e il vociare del bar si mischia al profumo burroso dei croissant appena sfornati. Alle 8:30 in punto, il tavolino vicino alla finestra diventa campo di battaglia e confessionale, arena e rifugio. La luce del mattino accarezza le mani veloci dei due contendenti, rapide come colpi di scena in un film che non smette mai di emozionare.

Giancarlo è compatto, taciturno, con lo sguardo ruvido di chi ha camminato nei boschi più che sulle strade asfaltate. Un uomo che pesa le parole come si pesano i porcini: con attenzione e un pizzico di scetticismo. Cristian, invece, è lungo, nervoso, elegante nel suo disordine, con l’anima piena di animali e storie da ambulatorio. Veterinario per mestiere, sognatore per attitudine, ha sempre le gambe incrociate come se aspettasse qualcosa che non arriva mai.

«Allora?» sbuffa Giancarlo, rigirando le carte come se stesse lucidando argenteria di famiglia. «Si gioca o aspetti che riaprano le scuole?»
Cristian sbadiglia, allunga la schiena e sorride di sbieco: «Tranquillo. Oggi ti batto prima che Sandro serva il primo caffè fuori.»
Giancarlo non si scompone: «Come ieri? Quando hai fatto la fine di un ombrellone a Ferragosto?»
«È stata colpa della nostalgia. Sandro ha messo la radio sul Toro… mi sono tornati in mente Pulici e le figurine Panini.»

Dal bancone, Sandro, barista-filosofo, lancia la sua sentenza quotidiana: «Meglio nostalgico che finto come voi due: uno juventino e l’altro milanista… plastica pura!»

E così, tra una mano e l’altra, le frecciate si fanno carezze, le prese in giro diventano forma d’affetto. Giancarlo ride: «Cristian si commuove con “Juve, storia di un grande amore”... e poi piange se il caffè è troppo caldo.»
Cristian incassa e ribatte: «Io almeno un amore ce l’ho. Tu sei ancora fermo alle videocassette di Van Basten e alla brillantina!»

Intanto, passa la moglie di Giancarlo. Un bacio sulla fronte e via al negozio. Nessuna parola. Nessun gesto superfluo. Solo quel bacio, che dice tutto. Giancarlo, però, non si distrae. Gli occhi fissi sulle carte. Come se fosse una finale di Coppa del Mondo.

Il bar si riempie piano. Entra chi prende il caffè al volo, chi si siede e legge, chi porta il cane che tossisce come un vecchio marinaio. Cristian sospira: «Oggi ho un gatto con l’ansia da separazione.»
Giancarlo ghigna: «Fagli vedere una partita della Juve. Dorme al primo passaggio.»
«Attento,» replica Cristian, «se gli mostro il Milan post-2015 finisce in depressione. Bisogna dosare i traumi.»

Poi, un gesto secco. Giancarlo cala una combinazione: «Butta. Ti ho chiuso.»
Cristian sgrana gli occhi: «Ma neanche il tempo di finire il caffè!»
Giancarlo, impassibile: «La pinnacola è spietata. Come la domenica sera senza partite.»

Sandro arriva con due bicchieri d’acqua: «Uno per chi vince, uno per chi perde. E se domani parlate male del Toro, vi servo il decaffeinato... senza tazzina.»

Il cellulare di Cristian vibra. Una chiamata. Si alza, allunga le braccia. «Bon, vado. Un labrador ha mangiato una scatola di biscotti al burro. E poi c’è sempre quel gatto... l’ansioso.»
Giancarlo alza un sopracciglio: «Il cane è juventino?»
«No, interista. Mangia bene, non si lamenta, e sa quando sedersi.»

Dal tavolo accanto, Walter, ex cantoniere con la voce roca e il cuore nerazzurro, lancia la sua saggezza: «Allora il gatto è dell’Inter. Fa finta di niente, si nasconde, si stira… e poi ti vince tutto.»

Il professor Bruno, germanista e melomane, annuisce: «Zenga, Bergomi, Ferri, Brehme, Matthäus… quello era calcio. Oggi ci sono solo hashtag.»

Carlo, juventino malinconico, sorseggia la sua Coca Cola in silenzio, canticchiando Jovanotti. Forse medita, forse si arrende.

Poi entra Roberto, altro cuore granata, con la Gazzetta sotto braccio: «Pare che il Toro stia trattando un trequartista uruguaiano. Tecnico sì… ma pare confonda la porta col parcheggio. Perfetto per noi!»

E mentre il bar respira l’ultima mezz’ora di quiete prima del frastuono quotidiano, Giancarlo e Cristian si stringono la mano. Un gesto semplice, pieno. La partita finisce. Ma non finisce mai davvero.

Giancarlo rientra a casa: lo aspetta la nipotina, con la sua valanga di domande. Cristian si infila il camice: gatti stressati, cani con gastrite, padroni in crisi. Vita vera, mescolata come un mazzo di carte.

Sul tavolo, le carte restano lì. Mischiate, vissute, pronte a ripartire. Perché certe partite non finiscono con l’ultima mano. Continuano nel sorriso, nell’ironia, nei bicchierini d’acqua e nelle battute appuntite come una carezza. E domani, tra le 8:30 e le 9:00, al Bar Italia, si ricomincia.

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