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Cronaca
23 Luglio 2025 - 11:58
Torino: il divieto di alcol nei minimarket tra sanzioni inefficaci e caos nei controlli
Sono passati quasi cinque mesi da quando la città di Torino ha deciso di anticipare dalle 23 alle 21 il divieto di vendita di alcolici nei minimarket. Una misura pensata per frenare i problemi di ordine pubblico legati agli assembramenti notturni, soprattutto in quartieri ad alta densità come Barriera di Milano, ma che oggi mostra tutte le sue crepe: da un lato i controlli sono in crescita, dall’altro manca una mappa chiara dei minimarket, lasciando le sanzioni in balia dell’autocertificazione.
Nel periodo compreso tra aprile e l’8 luglio, la polizia municipale ha riscontrato 53 violazioni, circa una multa ogni due giorni. Sono numeri che confermano le preoccupazioni dei residenti, sempre più esasperati da schiamazzi, bivacchi e risse davanti ai piccoli esercizi aperti fino a tardi. A lanciare l’allarme è stato il consigliere comunale di Forza Italia Domenico Garcea, che durante l’ultima seduta di Consiglio ha riportato le lamentele dei comitati di quartiere: la qualità della vita sta peggiorando, soprattutto nelle aree già fragili dal punto di vista sociale.
L’assessore al commercio, Paolo Chiavarino, ha risposto illustrando i dati dell’attività di contrasto: 26 controlli totali, di cui 12 effettuati dalla sola municipale e 14 in collaborazione con altre forze dell’ordine. Ma non basta. Il nodo più intricato resta l’identificazione dei minimarket: sapere quanti sono e dove operano. Un’impresa tutt’altro che semplice, visto che il Comune si affida ancora al sistema dell’autocertificazione.
Chi apre un’attività, infatti, può scegliere in autonomia come descriverla nella SCIA (la segnalazione certificata di inizio attività). Se il commerciante non dichiara di voler aprire un "minimercato", il suo esercizio non entra nelle statistiche ufficiali. In Circoscrizione 6, quella che comprende Barriera di Milano, il Comune stima una settantina di minimarket, ma si tratta di un dato parziale e impreciso, basato su descrizioni merceologiche autodefinite.
Molti degli esercizi coinvolti sono conosciuti come "bangla", un termine colloquiale che indica i piccoli negozi di alimentari gestiti da cittadini originari del Bangladesh o di altri paesi del subcontinente indiano. Un’etichetta spesso usata in modo improprio, che però riflette la percezione diffusa nei quartieri. Ed è proprio su questa percezione che si sta giocando una partita politica e sociale: quella tra il bisogno di sicurezza e convivenza civile e il rischio di stigmatizzazione etnica.
Chiavarino lo sa, e lo ribadisce con cautela: il problema non sono le etnie ma le regole non rispettate. La misura varata dalla giunta, che anticipa il divieto alle 21, si inserisce in una strategia più ampia di controllo del territorio urbano. Ma senza sapere quali e quanti locali siano soggetti al provvedimento, ogni controllo rischia di essere casuale o inefficace. E così molti esercizi continuano a vendere alcol oltre l’orario previsto, consapevoli che la probabilità di essere scoperti è bassa.
Nel frattempo, le segnalazioni dei cittadini continuano ad arrivare, soprattutto nei quartieri più esposti. "C’è un problema di convivenza che non possiamo più ignorare", spiegano alcuni residenti di via Malone e via Brandizzo. Non si tratta solo di vendita illegale di alcol, ma di un modello di consumo disordinato, che coinvolge anche giovani, senza fissa dimora e piccoli spacciatori. Gli stessi residenti denunciano un clima di abbandono e frustrazione, aggravato dall’assenza di risposte rapide e coordinate.
Il Comune, da parte sua, promette che il piano di rafforzamento dei controlli proseguirà anche nei prossimi mesi, soprattutto in estate, quando le notti si allungano e gli assembramenti si moltiplicano. Ma finché non sarà introdotto un sistema di registrazione obbligatoria per tutti gli esercizi che vendono alcolici, la normativa resterà vulnerabile e di difficile applicazione.
Il tema ha un impatto trasversale, che va dalla sicurezza urbana al commercio, passando per l’integrazione sociale. Il rischio, come sempre in questi casi, è quello di trasformare una questione amministrativa in un problema identitario, con derive che non fanno bene né alla convivenza né al rispetto delle regole.
Intanto, mentre le multe si accumulano e i minimarket irregolari restano in gran parte invisibili, la distanza tra le intenzioni del Comune e i risultati sul territorio resta ampia. La città ha fatto il primo passo, ma senza una banca dati affidabile, senza strumenti di monitoraggio digitale e senza un rafforzamento strutturale della polizia locale, la lotta al degrado urbano rischia di rimanere una battaglia a metà.
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