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18 Luglio 2025 - 17:16
Foto di repertorio
A Ciriè, come già accaduto in altre città italiane, si è scritta una pagina storica nei registri dell’anagrafe. La sindaca Loredana Devietti, nella giornata di ieri, ha apposto la propria firma su un atto che fino a poche settimane fa sarebbe stato considerato irregolare o addirittura illegittimo: il riconoscimento congiunto di entrambe le madri di un bambino nato da una coppia di donne. Una decisione che recepisce, finalmente, quanto stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 68 del 2025, che ha fatto cadere uno dei divieti più discussi e controversi del nostro ordinamento.
La Consulta, nella sua pronuncia, ha dichiarato incostituzionale il divieto per la madre non biologica di riconoscere il figlio fin dalla nascita, chiarendo che la normativa vigente violava il diritto fondamentale del minore a una chiara identità giuridica, alla stabilità familiare e alla piena tutela da parte di entrambi i genitori. In altre parole, per il diritto italiano, da oggi, due madri sono davvero entrambe madri, con uguale valore e pari doveri.
La sindaca Devietti, già nota per la sua prudenza istituzionale ma anche per una sensibilità politica sempre attenta ai mutamenti sociali, non si è sottratta alla responsabilità storica dell’atto. Non una presa di posizione ideologica, ha chiarito in ambienti vicini all’amministrazione, ma il dovere di rispettare una sentenza costituzionale che chiarisce e rafforza un diritto fondamentale dei minori.
Il Comune di Ciriè non è il primo in Italia ad applicare la sentenza, ma la sua adesione al nuovo orientamento della Corte ha un peso simbolico importante. Per anni, molte amministrazioni, compresa quella ciriacese, si sono trovate nel limbo tra norme nazionali restrittive, decisioni europee più progressiste e una realtà sociale sempre più variegata. Famiglie con due madri o due padri esistono da tempo, ma finora hanno dovuto affrontare vuoti normativi, discrezionalità anagrafica e ostacoli giudiziari per vedere riconosciuta la loro esistenza.
Fino a maggio 2025, solo la madre biologica poteva registrare il figlio all’anagrafe. La partner, per ottenere lo status di genitore, era costretta ad avviare un lungo e incerto iter giudiziario per l’adozione in casi particolari. Un percorso che durava anni e che lasciava il bambino privo, nel frattempo, di tutela formale da parte della seconda madre.
Ora, invece, è lo Stato a riconoscere la genitorialità fin dalla nascita. Il cambio di paradigma è radicale. Il minore ha due madri davanti alla legge, e con esse due referenti legali, due garanti affettivi e patrimoniali. Non più soluzioni di ripiego, non più stratagemmi notai o sentenze creative. Ma un certificato anagrafico che parla chiaro: madre 1 e madre 2. A tutti gli effetti.
La riforma non è ancora stata recepita in una legge organica, ma la sentenza costituzionale ha efficacia immediata. Tocca ai Comuni, come già avvenuto per altri vuoti normativi, il compito di tradurre in atti concreti quanto stabilito dalla Consulta. Il compito grava in particolare sui sindaci, ufficiali di stato civile, chiamati a firmare gli atti.
In passato, alcuni primi cittadini si sono rifiutati, appellandosi al diritto soggettivo di coscienza o invocando l’assenza di una legge nazionale. Ma la sentenza 68/2025 non lascia scappatoie. È chiara e vincolante. A Ciriè, la firma è arrivata senza clamori, ma con la consapevolezza di aver compiuto un gesto che potrebbe presto diventare normale amministrazione, ma che oggi segna un cambio epocale.
Il gesto della sindaca Devietti non è passato inosservato. Le associazioni per i diritti LGBTQ+ lo hanno salutato come “un passo importante verso la piena uguaglianza delle famiglie arcobaleno”. Anche l’opposizione consiliare, solitamente molto critica, ha preferito non sollevare polemiche pubbliche, segno che la questione sta lentamente scivolando dal terreno ideologico a quello, ben più concreto, dei diritti civili quotidiani.
Al centro di questa rivoluzione giuridica non c’è solo il tema della genitorialità, ma soprattutto il diritto del bambino a crescere riconosciuto, amato e tutelato. La Corte costituzionale ha ribaltato l’approccio: non è più la coppia omogenitoriale a dover dimostrare la propria legittimità, ma è lo Stato che deve garantire al minore stabilità affettiva e sicurezza giuridica, indipendentemente dal genere dei genitori.
Lo ha detto chiaramente la Consulta: l’assenza di riconoscimento della madre intenzionale comportava un “vuoto di protezione” per il figlio, lesivo della sua dignità e del suo superiore interesse. Una posizione che ricalca i più avanzati standard internazionali, a partire dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, fino alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Il caso italiano è emblematico. Per anni, il Parlamento ha evitato di legiferare sul tema della genitorialità nelle coppie omosessuali, lasciando tutto nelle mani dei tribunali. Le unioni civili, introdotte nel 2016, non prevedono il diritto alla genitorialità condivisa. Questo ha creato una zona grigia che ha alimentato contenziosi, sentenze divergenti, e innumerevoli situazioni di incertezza.
In questo scenario, la sentenza della Corte costituzionale rappresenta una svolta. Ma rischia di rimanere una conquista parziale, se non sarà accompagnata da una normativa chiara che disciplini l’intero spettro dei diritti delle famiglie omogenitoriali. Servirebbe, ad esempio, una legge che regoli l’omogenitorialità in caso di separazione, l’accesso ai congedi parentali, la successione ereditaria, le responsabilità educative.
Per Ciriè, cittadina da sempre divisa tra una vocazione progressista e un’anima più conservatrice, il riconoscimento della doppia maternità è più di un atto anagrafico. È il segnale che la città ha saputo leggere la contemporaneità, interpretare i nuovi bisogni sociali e riconoscere che le famiglie di oggi non sono più quelle del Novecento.
È anche il riflesso di una amministrazione comunale che, pur senza proclami, sta trasformando l’istituzione in un luogo inclusivo. Un cambiamento che può sembrare piccolo, ma che per chi ne è protagonista rappresenta la differenza tra vivere da cittadino invisibile e vivere da cittadino riconosciuto.
Dietro la sentenza, dietro l’atto firmato a Ciriè, ci sono storie vere. Di madri che hanno cresciuto i figli per anni senza poterli portare in ospedale o firmare un permesso scolastico. Di bambini che si sono sentiti orfani di Stato pur avendo due genitori presenti. Di famiglie che hanno speso soldi, energie e lacrime per ottenere un diritto basilare: essere riconosciute come tali.
A ricordarlo sono state anche alcune famiglie presenti in Comune al momento della firma. Nessuna manifestazione, nessuna bandiera arcobaleno, ma una commozione silenziosa e profonda. Perché sapere che il proprio figlio è riconosciuto da entrambi i genitori non è un gesto simbolico: è una garanzia giuridica, affettiva e sociale che nessuno dovrebbe più negare.
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