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11 Luglio 2025 - 16:06
I sette uomini chiamati a decidere sulla stanza dell'ascolto riaprono a Ciriè la questione relativa al diritto all'aborto a Ciriè
"Siamo nel 2025. E ancora, in piena estate, c’è bisogno di scendere in piazza, alzare la voce, scrivere comunicati per ricordare l’ovvio: le donne non si controllano, non si insultano, non si terrorizzano".
È quanto affermano, senza mezzi termini, Giulia Casalino, Luca Fiorentino e il ciriacese Matteo Maino di +Europa Piemonte in un intervento durissimo che chiama in causa istituzioni, sanità, politica e soprattutto quell’universo maschilista che tenta di riaffacciarsi pericolosamente nella vita pubblica.
A scatenare l’indignazione è stata la fotografia ormai nota a tutti, di sette uomini seduti attorno a un tavolo a Torino. Sette figure istituzionali, tutte maschili, intenti a discutere se riattivare la famigerata stanza dell'ascolto all'ospedale Sant’Anna. Un’immagine che, scrivono Casalino, Fiorentino e Maino, “è emblematica e grottesca”. Grottesca, perché nel 2025 ci sono ancora uomini che si arrogano il diritto di “decidere sul corpo e sulla vita delle donne”. Emblematica, perché mostra senza ipocrisie un potere patriarcale che si ostina a negare l’autonomia femminile.
La Stanza dell'Ascolto è uno spazio fisico istituito in alcuni ospedali italiani, promosso da associazioni pro-vita, con l'obiettivo dichiarato di “offrire supporto alle donne che stanno valutando l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG)”. In teoria, si tratterebbe di un luogo dedicato al colloquio e all’ascolto, volto a fornire alternative all’aborto. Nella pratica, però, questa iniziativa è finita più volte al centro delle polemiche perché ritenuta un tentativo di interferire con un diritto legalmente garantito, e in alcuni casi perfino di esercitare pressioni psicologiche sulle donne in un momento già estremamente delicato.
Il primo caso a sollevare un acceso dibattito mediatico fu proprio quello della Stanza dell'Ascolto dell’Ospedale Sant’Anna di Torino, attivata nel 2019 e poi sospesa. L’ambiente veniva gestito, direttamente o indirettamente, da soggetti vicini al mondo antiabortista e confessionale, senza un reale contraddittorio né garanzia di neutralità scientifica. Il rischio denunciato da diverse associazioni e partiti politici, come +Europa, è che dietro la facciata del “sostegno” si celasse una strategia per colpevolizzare le donne e ritardare o scoraggiare la procedura di IVG, sfruttando un momento di fragilità emotiva.
Il ritorno del dibattito su queste stanze è avvenuto nel luglio 2025, quando si è diffusa la notizia che sette uomini – tutti rappresentanti istituzionali – si sarebbero riuniti per decidere se riattivare la “Stanza dell’Ascolto” proprio al Sant’Anna. L’immagine di un tavolo composto esclusivamente da uomini che discutono del corpo e delle scelte delle donne ha riacceso le critiche, portando +Europa a denunciare la situazione come “grottesca” e “offensiva”, accusando il sistema di voler tornare a una visione patriarcale e ideologica della sanità.
“Questa pretesa di controllo è non solo anacronistica, ma profondamente offensiva”, afferma +Europa, e aggiunge: “Le decisioni sulla salute riproduttiva delle donne spettano alle donne stesse, supportate da professionisti sanitari, non da comitati maschili che pretendono di imporre una ‘visione morale’ che nulla ha a che fare con il diritto e la scienza”.
Ma non è tutto. Dalla Piemonte all’Emilia-Romagna, la deriva ideologica appare coordinata. Nella regione guidata dal centrodestra, un consigliere di Fratelli d’Italia ha definito la pillola abortiva RU486 come una “violenza contro le donne”. Non pago, ha descritto la scena di una donna che “espelle il feto tirando lo sciacquone del bagno di casa”. Una frase che lascia esterrefatti, per la volgarità, la violenza simbolica, la disinformazione scientifica e il disprezzo nei confronti delle donne.
“Parole inaccettabili”, denuncia il comunicato. “Una vera e propria aggressione verbale, un tentativo di terrorizzare e umiliare chiunque osi esercitare un diritto sancito dalla legge”. +Europa difende la possibilità di assumere la seconda dose della RU486 a domicilio – “sotto la supervisione di professionisti sanitari” – e lo definisce “un modo per migliorare la privacy e la serenità delle donne”. Una scelta che va rispettata, e che è parte integrante del benessere psicofisico di chi affronta un momento estremamente delicato. “Questo si chiama: tutela dei diritti”.
E i diritti, per legge, esistono. Ma non sembrano bastare. +Europa lo ribadisce: “L’interruzione volontaria di gravidanza è un diritto garantito dalla Legge 194 del 1978. Le donne hanno sempre abortito e, se lo vorranno, continueranno a farlo”. La legge esiste proprio per farlo in sicurezza, evitando le pratiche clandestine che – come insegna la storia – mettevano in pericolo la salute e la vita delle donne. Eppure, nel 2025, ci si ritrova ancora a subire “attacchi verbali e pressioni psicologiche per una scelta che spetta unicamente alla donna”.
Ma l’allarme non riguarda solo i grandi ospedali torinesi o i palazzi regionali. Il comunicato affonda anche nel contesto locale, ricordando che è proprio nei territori dell’ASL TO4 – quindi a Ciriè, Ivrea, Chivasso, Cuorgnè e nei presidi più piccoli del Ciriacese – che in passato si è parlato apertamente della presenza di medici obiettori, talvolta in misura tale da impedire il pieno accesso alla legge. Si è parlato anche, scrive +Europa, di “attivisti antiabortisti in corsia”. Temi scottanti, discussi solo per qualche settimana e poi – come spesso accade – lasciati affondare nel silenzio. “Poi, come al solito, tutto è finito nel dimenticatoio”.
E invece no. Non deve finire nel dimenticatoio. Perché i diritti non sono mai acquisiti una volta per tutte. Perché anche in un piccolo reparto ginecologico della provincia, anche in un ambulatorio della pianura o nelle valli del Canavese, può accadere che una donna non trovi ascolto. O peggio, venga giudicata. Per questo +Europa annuncia che continuerà a monitorare quanto accade sul territorio dell’ASL TO4, “correlando i fatti regionali ai nostri territori, per il bene delle donne e per i loro diritti”.
La retorica dei “feti da sciacquone”, dei “comitati morali maschili”, delle “stanze anti-aborto”, non è un semplice episodio isolato. È un segnale. Un pezzo di Paese – e non piccolo – vuole tornare indietro. A quando le donne erano oggetti da controllare, strumenti da regolare con la paura, bersagli di insulti pubblici e sentenze private.
Il messaggio finale non lascia spazio ad ambiguità: “Le donne non sono un oggetto da controllare, né un bersaglio di beceri insulti”. E se qualcuno, in Piemonte o nel Ciriacese, pensa di poter rimettere in discussione la Legge 194, sappia che ci sarà chi – come Giulia Casalino, Luca Fiorentino e Matteo E. Maino – non starà a guardare.
Matteo Maino referenti di + Europa
Nel 2022, l'ospedale di Ciriè, situato nel cuore del Ciriacese, è diventato simbolo di una delle più gravi disapplicazioni della legge 194 in Italia. Secondo un'indagine dell'Associazione Luca Coscioni, Ciriè era uno dei 15 ospedali italiani in cui il 100% dei ginecologi era obiettore di coscienza, rendendo impossibile per le donne accedere all'interruzione volontaria di gravidanza (IVG) presso la struttura.
Questa situazione ha costretto le donne del territorio a spostarsi verso altri ospedali dell'ASL TO4, come quelli di Ivrea e Chivasso, o addirittura fino a Torino, per poter esercitare un diritto garantito dalla legge. La mancanza di accesso all'IVG a Ciriè ha suscitato forti polemiche e proteste da parte della cittadinanza e delle associazioni per i diritti delle donne.
In risposta a questa situazione, è stata lanciata una petizione online sulla piattaforma Change.org, che ha raccolto oltre 11.000 firme, chiedendo alla Regione Piemonte di garantire l'accesso all'aborto presso l'ospedale di Ciriè . La pressione pubblica ha portato l'ASL TO4 a riorganizzare il servizio, e a partire da metà febbraio 2022, l'ospedale di Ciriè ha iniziato a garantire l'accesso all'IVG, sia farmacologica che chirurgica, grazie all'assunzione di nuovi ginecologi non obiettori.
Questa vicenda evidenzia come l'obiezione di coscienza possa trasformarsi in una "obiezione di struttura", quando l'intero personale medico si dichiara obiettore, impedendo di fatto l'applicazione della legge e negando un diritto fondamentale alle donne. È essenziale che le istituzioni vigilino affinché situazioni simili non si ripetano, garantendo un equilibrio tra il diritto all'obiezione di coscienza dei medici e il diritto delle donne all'accesso all'IVG.
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