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07 Luglio 2025 - 14:27
Donne che salvano la terra (in Canavese): le storie emozionanti di Elena, Marzia e Ariele
E’ stato un incontro davvero interessante quello che si è tenuto a Sparone la sera di sabato 28 giugno nell’ ambito del “Festival dei Libri d’Altura”.
Sotto il titolo <Donne custodi della terra> tre imprenditrici agricole hanno raccontato le loro storie, molto differenti una dall’altra e tutte emozionanti: Ariele Muzzarelli è un’apicoltrice, Elena Rodigari una pastora, Marzia Verona un po’ pastora e un po’ scrittrice.
Le prime due hanno ottenuto lo scorso anno un prestigioso riconoscimento: quello di <Donne che salvano la terra>. Dieci i nominativi selezionati per quest’iniziativa promossa da Slow Food e patrocinata dalla Regione Piemonte, che si basa sulle segnalazioni effettuate dai soci e simpatizzanti di Slow Food Italia, da gastronomi, attivisti dell’ambiente, giornalisti ecc.... Marzia Verona è invece nota in zona per i suoi libri e per la sua partecipazione ai convegni sui temi degli alpeggi e della vita pastorale.
Tre storie che non si somigliano, si è detto più sopra, in quanto differenti sono il contesto familiare in cui le protagoniste sono cresciute, il tipo di studi effettuato, i tempi e i modi nei quali sono arrivate a svolgere il loro mestiere attuale.
Stimolate dalle domande di Paola Ronfetti di <Sparone nel Cuore>, hanno colpito il pubblico per la semplicità e la sincerità delle risposte.
La vicenda più lineare è quella di Elena Rodigari. E’ cresciuta a Pont ma i fine settimana e le vacanze estive li trascorreva a Traversella dalla nonna, che le ha trasmesso la sua passione. “Ho studiato Ragioneria a Cuorgnè – ha raccontato – e lo stesso giorno in cui ho terminato l’esame di Maturità mi sono trasferita lassù. Non è stato facile perché lei aveva solo dieci capre: abbiamo dovuto allargare la stalla e costruire il caseificio poi, nel 2018, la nonna è mancata e mi sono dovuta arrangiare da sola ma non mi sono mai pentita. Essere stata scelta da Slow Food mi ha gratificata anche se temevo di non essere all’altezza”.
Elena ha una figlia di 4 anni, che sembra avere la stessa passione per l’allevamento, anche se gli animali preferiti variano di tempo in tempo: “L’anno scorso voleva aiutarmi a fare i formaggi, ora odia i formaggi ed il latte di capra. Da qualche giorno dice di volere mucche, vitelli, cavalli e pecore” ma se non è zuppa pan bagnato… Vive libera in mezzo alla natura: “Ha l’infanzia che avrei voluto avere io: è sempre all’aperto e lì gioca; il telefonino proprio non le interessa”.
Anche Marzia Verona ama le capre. Pur avendo una madre insegnante ed un padre ingegnere, è cresciuta in una cascina, dove i suoi nonni producevano e commerciavano frutta. La sua passione per la natura si è manifestata presto, tanto che si è laureata nel 2001 in Scienze Forestali ed Ambientali. “Quand’era fresca di laurea, tutti ci lamentavamo delle poche possibilità di lavoro che ci venivano offerte. Svolgendo un censimento degli alpeggi per conto della Regione Piemonte, sono venuta in contatto con il mondo degli allevatori e mi sono appassionata soprattutto alla pastorizia ed alla realtà delle greggi che praticano il pascolo vagante. Ho scritto un libro sull’argomento e, raccogliendo interviste per quel libro, ho conosciuto quello che poi è stato il mio compagno per qualche anno. La passione per le pecore (la <malattia> in verità!) l’ho presa allora ma, quand’è stato il momento di acquistare i miei primi animali, ho scelto le capre perché meglio si adattavano al luogo in cui abitavo ed al tipo di pascoli a disposizione”.
E’ l’attività che svolge tuttora, insieme al suo attuale compagno, dividendosi fra gli animali, la scrittura e la collaborazione con istituti ed enti differenti. “In questo momento le nostre capre sono in alpeggio: le affidiamo ad un pastore che di giorno le lascia pascolare (sorvegliandole) e di notte le protegge all’interno di un recinto. A metà settembre andremo a riprenderle ma cerco di farle pascolare tutto l’anno, anche a mille metri d’altezza, integrando la loro alimentazione con i cereali. Sono loro però che decidono cosa mangiare: l’anno scorso c’erano molte castagne e ghiande e sceglievano quelle”. La sua azienda agricola non produce formaggi perché – ha spiegato - “in estate il pastore non potrebbe mungere le capre, avendo da gestire fra i 150 ed i 300 capi, così lasciamo ad ognuna il suo capretto”.
Anche le dimensioni dell’azienda restano limitate: “Se la ingrandissimo, vorrebbe dire sottrarre spazi di vita nostra cui non vogliamo rinunciare”. Alla domanda di cosa non le piaccia del suo lavoro, ha risposto con decisione: “Le rigidezze e le assurdità di norme che sembrano arrivate dalla luna: le regole ci vogliono ma senza eccessi. I miei nonni vendevano le mele ed anche uova e prodotti dell’orto: oggi se fai una cosa del genere sembri un delinquente. I formaggi con latte crudo sembrano la cosa peggiore del mondo. Se ti tieni un litro di latte invece di consegnarlo al caseificio dovresti fatturare a te stesso”.
Poi ci sono i commenti taglienti di chi emette sentenze senza conoscere gli argomenti dei quali sta parlando: “Mi fanno male certi giudizi: quando ci definiscono <assassini> e danno a noi la colpa della CO2 senza distinguere fra allevamenti intensivi ed animali mandati al pascolo. Oppure quando, percorrendo una strada con le capre, m’insultano urlando: <Non ti vergogni a fare queste cose nel XXI secolo?”.
La storia di Ariele è la più intrigante: non ha avuto precedenti familiari né passioni giovanili per le api, anzi le facevano paura. La sua è stata una rivelazione inattesa, forse la risposta ad un’insoddisfazione latente, ad esigenze inespresse. I suoi genitori hanno una compagnia di clowneria e da loro ha imparato a cambiare di continuo, a mettersi in gioco e la professione che aveva scelto era artistica: quella di scenografa teatrale, naturalmente con tutte le incertezze che un lavoro come questo si porta dietro nel nostro Paese. “Un giorno – era il 2015 e nei week-end lavoravo a Venaria come guida - un signore doveva tenere una lezione sugli orti ai bambini: era un apicoltore in incognito e sentendolo parlare delle api ebbi un’illuminazione. Il giorno dopo andai con lui in apiario e, aprendo un’arnia, rimasi senza parole. Avevo paura, ero spaventatissima e sudata. Lo ringraziai pensando che la cosa sarebbe finita lì. Per tre notti di seguito feci il medesimo, identico sogno: il ronzio delle api. Capii che il mio destino era quello. Cominciai con tre arnie, ora ne ho 13. Ci ho messo del tempo per riconoscermi <capace di fare> e sono andata con i piedi di piombo ma il mondo delle api mi affascina : hanno un sistema molto strutturato, una forte coscienza collettiva; non possiedono il senso del singolo e della proprietà. Quando penso in questi termini, non basandomi sull’IO ma sul NOI, non mi sento più sola”.
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