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Gedi, la grande fuga: Elkann tace, ma intanto vende a pezzi

Dopo La Provincia Pavese e i quotidiani del Nord Est, l’impero editoriale degli Agnelli-Elkann si sgretola. Exor parla di “manifestazioni di interesse”, ma i giornalisti chiedono chiarezza. Sul tavolo i nomi di Vivendi e del magnate greco Minos Kyriakou.

Gedi, la grande fuga: Elkann tace, ma intanto vende a pezzi

Elkann

"Numerose manifestazioni di interesse, alle quali non è stato dato seguito." Con questa frase, apparentemente anodina, Exor, la holding della famiglia Agnelli-Elkann, prova a spegnere il fuoco che da settimane arde sotto la polveriera Gedi. Ma il tentativo, tutt’altro che rassicurante, sortisce l’effetto opposto: in tutte le redazioni del gruppo – da Repubblica a La Stampa, da Radio Deejay alla Sentinella del Canavese – il clima resta teso, a tratti esplosivo. Perché quel che si legge tra le righe della nota di Exor, più che una smentita, suona come un’ammissione: le trattative ci sono state, eccome.

E forse ci sono ancora. Anzi, secondo le ultime indiscrezioni pubblicate dal quotidiano Il Foglio, la cessione del gruppo sarebbe a uno stadio piuttosto avanzato. Al centro di tutto ci sarebbero i due pezzi più pesanti della corona: La Repubblica e La Stampa, simboli storici del giornalismo italiano.

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E questa volta non si parla solo di Francia, ma anche di Grecia. Le piste seguite dai rumor sono due. La prima porta a una cordata guidata da Claudio Calabi, ex manager del Sole 24 Ore, con il gruppo francese Vivendi di Vincent Bolloré pronto a entrare come investitore finanziario non di maggioranza. Una quota, secondo i bene informati, comunque “consistente”. Vivendi, del resto, dopo aver ceduto Tim a Poste Italiane, è alla ricerca di nuovi sbocchi nel settore media.

E i giornali degli Agnelli, pur in sofferenza economica, rappresentano un bottino ancora appetibile. La seconda pista è più sorprendente e porta a Minos Kyriakou, miliardario greco e proprietario dell’Antenna Group (Ant1), un colosso televisivo e radiofonico con ambizioni globali. Ma su questa opzione restano molti interrogativi: perché un gruppo greco dovrebbe investire in un settore in crisi come l’editoria italiana? Quale sarebbe il ritorno? E, soprattutto, a che prezzo?

I conti, intanto, parlano chiaro. Il gruppo Gedi ha chiuso il 2024 con 224 milioni di euro di fatturato e 15 milioni di perdite, concentrate soprattutto sulle testate cartacee: Repubblica e Stampa in primis. In controtendenza, invece, le radio: Deejay e Capital sono considerate asset solidi, veri gioielli in un panorama mediatico difficile. Il broker Intermonte ha stimato che Gedi rappresenti oggi solo lo 0,3% del NAV (Net Asset Value) di Exor, con una valutazione di circa 118 milioni di euro. Numeri marginali per una holding abituata a manovrare capitali miliardari, ma non per i giornalisti coinvolti, né per il sistema informativo italiano, che da settimane osserva con inquietudine ogni mossa.

Il Coordinamento dei Comitati di Redazione delle testate Gedi ha preso posizione con fermezza: "La proprietà dia una risposta chiara sul reale interesse a cedere – in tutto o in parte – le testate Gedi, e sul disimpegno da un gruppo editoriale che rappresenta un pilastro del sistema democratico di informazione in questo Paese." Una richiesta che nasce dalla paura di un lento smantellamento, perché, mentre Exor ribadisce di non aver dato seguito a trattative, i fatti raccontano un’altra storia.

Il 2 luglio è stata definita la vendita della Provincia Pavese al Gruppo SAE, che già pubblica testate locali come Il Tirreno e La Nuova Sardegna. Si tratta della conclusione di una trattativa lunga e tormentata, iniziata oltre un anno fa e accompagnata anche da uno sciopero del personale lo scorso 13 febbraio. Ma non è tutto. Il processo di dismissione degli asset locali, iniziato nel 2023, ha già portato all’addio di sette quotidiani del Nordest (tra cui Il Mattino di Padova e Il Piccolo di Trieste), ceduti a Nord Est Multimedia. A ciò si aggiunge la vendita della Gazzetta di Padova alla società Athenis, per una cifra complessiva che oscilla intorno ai 38 milioni di euro, a fronte di una stima iniziale di 43,75 milioni.

Il sogno di John Elkann era un altro: creare un grande polo editoriale internazionale, magari coinvolgendo The Economist, già parte del portafoglio Exor. Un progetto ambizioso, ma mai decollato. Così oggi si naviga a vista, tra cessioni a pezzetti e indiscrezioni che sembrano più piani operativi che voci di corridoio.

Il futuro di Gedi resta sospeso. Da una parte, la voglia – mai nascosta – di Exor di sgravarsi di un settore a redditività incerta; dall’altra, una responsabilità morale, politica e civile: quella di tutelare la libertà di stampa, la qualità dell’informazione, la storia stessa del giornalismo italiano.

In attesa di conferme o smentite più coraggiose, resta la sensazione che si stia consumando, nell’ombra, una delle più importanti trasformazioni del panorama editoriale nazionale. E a farne le spese, ancora una volta, potrebbero essere i giornalisti, i lettori e la democrazia.

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