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Olivetti delle meraviglie
02 Luglio 2025 - 19:32
Una nuova rubrica: “Olivetti delle meraviglie”. A firmarla saranno John Lomas e Tonina Scuderi, due voci autorevoli, appassionate e profondamente legate al mondo Olivetti. Un viaggio tra storie, memorie, incontri e invenzioni che hanno segnato non solo Ivrea, ma il mondo intero. Racconteremo ciò che l’Olivetti è stata, ma anche ciò che continua a essere nel cuore di chi la ricorda, la studia e la tramanda. Una rubrica per chi crede che certi patrimoni non vadano archiviati, ma vissuti.
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"Pura Fanta-Scienza". Così Sandro Osnaghi descrisse il mio curriculum, dopo avermi intervistato per un lavoro all’Olivetti a inizio 1976. Forse aveva ragione, era leggermente esagerato. Come ottenni quel colloquio è una storia a sé stante.
Era la metà del 1975 e lavoravo per la Philips Telecommunications a Hilversum, in Olanda. Stufo della pioggia quotidiana, decisi che era arrivato il momento di tornare in Italia, e così mi misi a scrivere un CV. Ero già stato tre anni alla Fiat Aviazione di Caselle, dal 1971 al 1974. Il lavoro in Olanda andava bene, ma il tempo no… pioveva ogni singolo giorno!
Un fine settimana venne a trovarmi in Olanda un amico della Fiat, Roberto Pelissero, purtroppo scomparso prematuramente verso l’inizio del duemila. Cominciammo a leggere insieme quello che avevo scritto mentre io cercavo di spiegargli cosa stessi realmente facendo alla Philips. Stavo sviluppando software per una centrale telefonica elettronica, e Roberto disse (erroneamente, come poi si scoprì) che quello gli sembrava un “sistema operativo in tempo reale”.
Così nel mio CV scrissi: “pluriennale esperienza in sistemi operativi real-time”. Feci circa 200 copie del mio curriculum e le inviai a tutte le aziende del nord Italia. Poi mi misi ad aspettare, immaginandomi un diluvio di risposte. Niente! Diedi la colpa ovviamente al sistema postale olandese, e decisi di prendere in mano la situazione. A Novembre 1975 presi una settimana di ferie, salii in macchina e guidai fino in Italia per seguire di persona le mie candidature.
Una tappa ovvia era l’Olivetti, a Ivrea. Un bel giorno entrai spavaldo nell’ingresso al piano terra dello stupendo Palazzo Uffici dell’Olivetti e chiesi in Portineria dove fosse l’ufficio del personale. “Ha un appuntamento?” mi chiesero. Io cercai di far finta di sì, dato che c’era stata una qualche corrispondenza precedente (la mia candidatura senza risposta). Vedevo che i sorveglianti cominciavano ad agitarsi, un po’ preoccupati da questo strano personaggio che pretendeva di entrare — con i matti bisogna stare attenti — quindi presero il telefono, chiamarono l’ufficio del Personale e mi passarono la cornetta.
Spiegai alla signorina dall’altra parte che avevo scritto alcune settimane prima e che, trovandomi in zona, potevo concedere loro qualche momento del mio tempo. La giovane donna fu talmente spiazzata da questa sfacciataggine, e dal mio italiano un po’ strano, che disse: “ah sì, stavamo proprio per scriverle, potrebbe tornare domani pomeriggio alle 15?”
Così tirai fuori il mio unico vestito — il mio amico Franco Marra una volta mi chiese dove fossi riuscito a comprare un tale orrore di abito — e andai al colloquio. Era con una dottoressa di nome Chiara Spaggiari, che quel giorno decise che non avrebbe fatto alcuno sconto allo “straniero”. Mi disse, e ricordo ancora esattamente le sue parole: “Ha voluto lei questo colloquio, non noi. Le assunzioni sono bloccate. Mi dica.”
Provai a fare il simpatico, sorrisi, feci qualche battuta… niente, era una vera dama di ghiaccio, e non avevo modo di capire se avrebbe o meno inoltrato la mia candidatura ai reparti tecnici. Durante il recente convegno del 29 maggio, quando si è parlato della Olivetti di quell’epoca, lei era presente, e così sono andato a parlarle di nuovo, dopo 50 anni.
“Tu (a una certa età, fra colleghi ci diamo tutti del tu) non ti ricordi di quando mi intervistasti 50 anni fa,” le dissi, “ma io sì.” Poi le ripetei le sue parole esatte, e questa volta lei sorrise, poi si mise a ridere, e disse: “Beh, alla fine è andata bene!”
In ogni caso, dopo quel colloquio, mai e poi mai mi sarei aspettato di ricevere un telegramma dalla Olivetti che mi invitava a presentarmi a una certa ora e in un certo luogo (a mie spese) per un colloquio tecnico. Fu quello il giorno in cui incontrai Sandro Osnaghi per la prima volta. Tornando al mio curriculum, avevo dichiarato di essere un esperto di sistemi operativi real-time e guarda caso la persona seduta davanti a me era probabilmente uno dei massimi esperti mondiali proprio in quei tipi di sistemi.
A Sandro bastò circa un microsecondo per capire che le mie affermazioni erano un tantino esagerate, ma mi lasciò comunque parlare di ciò che avevo fatto e dove. Qualche anno dopo mi disse: “Sai, non mi era mai capitato che si presentasse qualcuno con un curriculum come il tuo, pura fantascienza.”
“E allora,” gli risposi, “perché mi hai assunto?”
Lui replicò: “A volte un tocco di follia e creatività sono qualità utili, e avevo bisogno di gente. Inoltre, avere qualcuno che parlasse un po’ d’inglese poteva tornarmi comodo!”
Così iniziai a lavorare nel gruppo di Sandro nel marzo del 1976. C’era già Piero Fiorani, appena tornato da un Master in Informatica a Los Angeles; c’era Clara Mancinelli, la programmatrice più brillante che si potesse desiderare; c’erano Gigi Croce e Mario Cinguino, esperti del Basic Software che avremmo dovuto sviluppare. Poi c’era un gruppo di giovani laureati — Laura Pessina, Valeria Mauri, Piero Casanova — che stavano imparando il mestiere. C’era anche un gruppo di “vecchie glorie” del TC800, programmatori che però non avevano realmente compreso le architetture dei calcolatori. E poi c’ero io, e, chiaramente, non capivo granché nemmeno io all’inizio.
Un giorno sentii Sandro parlare con un collega. Diceva: “Sto cercando di costruire un gruppo serio, ma mi mancano I Quadri Intermedi. Dobbiamo crescere, mi serve una struttura adeguata.”
Un paio di mesi dopo il mio arrivo, si unì al gruppo anche Franco Marra. Rimanemmo entrambi sorpresi nel rivederci: eravamo stati assunti lo stesso giorno, il 2 maggio 1971, nello stesso gruppo alla Fiat Aviazione. Lui ricordava ancora il mio assurdo vestito “alla Beatles”, io ricordavo questo ragazzo con i capelli lunghi, uscito direttamente dalla rivoluzione studentesca del ’68. Il destino ci aveva riuniti, e anche lui affermava di non capire molto di questa architettura informatica in tempo reale.
Sandro era anche professore al Politecnico di Milano, e presto cominciammo a ricevere visite regolari da altri accademici esperti nel campo dell’informatica. Franco Tisato da Milano era un habitué, così come Luigi Petrone da Torino. Iniziarono a spiegarci le basi dell’architettura dei calcolatori, e dopo un po’ sembrava che stessimo facendo un Master in Informatica. Fu un periodo affascinante. Comprammo i più recenti testi americani di Brinch Hansen, Hoaree Knuth, eravamo tornati studenti che dovevano imparare per riuscire a fare progressi.
Ogni tre mesi circa avevamo anche incontri di aggiornamento con Ugo Gagliardi, della Harvard Universityamericana. Gagliardi si era laureato in ingegneria in Italia, poi si era trasferito negli USA negli anni ’60. Era diventato un esperto di sistemi operativi, e aveva introdotto i primi corsi universitari sull’argomento proprio ad Harvard.
Ricordo che nel 1977 Franco ed io presentammo a Gagliardi diversi documenti su vari aspetti della progettazione dei calcolatori. Stavamo imparando dai migliori. Era un momento emozionante per chi lavorava nell’informatica, tema di ricerca all’avanguardia, e con la possibilità di includere questi nuovi concetti nei nostri sistemi.
Alla fine del 1977, Sandro aveva finalmente i suoi Quadri Intermedi: Clara Mancinelli, Piero Fiorani, Franco Marra e io. Nel frattempo, avevo iniziato a sperimentare una parte del sistema operativo che non interessava molto ai veri esperti: il File System.
Nel 1978 ne diventai responsabile per il minicomputer S6000 che Olivetti aveva acquisito da Microdata, e successivamente progettai il File System per la Nuova Linea di Prodotti.
Piero ed io accompagnammo Sandro in molti viaggi in California per discutere con alcuni consulenti americani della Palyn Associates — Jerry Popek e Charley Kline — su come avrebbe dovuto essere strutturato quel nuovo sistema operativo chiamato MOS. Gran parte di queste discussioni confluì nel cosiddetto “Palyn Blue Book”, pubblicato nell’agosto del 1980. Piero ed io scrivemmo gran parte di quel libro, ma l’architettura della parte centrale, il “kernel”, non fu inclusa.
Dopo un po’ Sandro rinunciò a cercare di far capire agli americani come dovesse essere strutturata la funzionalità real-time, e la progettò insieme a Clara Mancinelli, di nuovo a Ivrea.
Un periodo interessante e affascinante. Brava Chiara Spaggiari per non avermi mandato via dopo quel primo colloquio nel 1975!
A volte, una “faccia tosta” è proprio ciò che ci vuole.
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