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02 Luglio 2025 - 12:11
Fa fumare un orango: bufera sulla pugile russa
Una sigaretta elettronica, una scimmia in via d’estinzione e una campionessa di boxe finita al centro di un ciclone mediatico. La protagonista della vicenda è Anastasia Luchkina, 24 anni, pugile russa diventata professionista da poco. Il video che la ritrae mentre fa fumare un orango in uno zoo della Crimea è stato condiviso a migliaia di volte sui social, attirando una valanga di insulti, accuse e l’attenzione delle autorità.
Il gesto, che nelle intenzioni della sportiva poteva forse apparire come un’innocua bravata da postare online, si è rivelato un episodio gravissimo di maltrattamento animale. La scimmia coinvolta si chiama Dana, ed è l’unico esemplare di orango presente nella penisola di Crimea, ospite dello zoo safari di Taigan dal 2018. Si tratta di una specie protetta, iscritta nel “Libro rosso” degli animali a rischio estinzione.
Secondo quanto riportato dal sito Zamin.uz, Luchkina avrebbe consegnato la sigaretta elettronica direttamente nelle mani della scimmia, che l’avrebbe portata alla bocca, come farebbe un essere umano. Il video la mostra ridere mentre osserva la scena, filmando e probabilmente pubblicando il contenuto sulle sue storie Instagram. Ma da quel momento, le condizioni dell’orango sono precipitate.
Dana, riferiscono i responsabili dello zoo, ha perso l’appetito, si rifiuta di interagire con i visitatori e mostra segni di forte stress. Il timore più grande è che l’animale abbia ingerito una cartuccia contenente liquido alla nicotina, sostanza tossica per gli animali, soprattutto primati. Le cartucce delle sigarette elettroniche possono contenere da 2,5 a 3 ml di liquido, una dose pericolosa persino per un essere umano, figurarsi per una scimmia.
I veterinari sono al lavoro per monitorare le sue condizioni, ma la prognosi è riservata. Dana rappresenta non solo un simbolo per il parco, ma anche un patrimonio genetico e ambientale da tutelare. L’accaduto ha generato un’ondata di indignazione, soprattutto su Telegram, dove la vicenda ha superato i confini locali per diventare un caso internazionale.
Le reazioni del web non si sono fatte attendere. C’è chi scrive: «Spero che quel povero orango non si sia ammalato per questo», ma anche chi invoca misure più dure: «Deve andare lei in gabbia». Altri temono per la sorte dell’animale: «Starà malissimo, addirittura forse morirà».
La direzione del Taigan Safari Park ha ricordato che nel regolamento interno è assolutamente vietato “prendere in giro e spaventare gli animali”, lanciare oggetti nei recinti o sporgersi oltre le protezioni. Un elenco di divieti che, a quanto pare, la pugile ha ignorato completamente, mettendo a rischio la vita di un animale raro.
Le sanzioni sono ora al vaglio delle autorità locali. Si parla di una multa salata e, con ogni probabilità, del divieto a vita per Luchkina di tornare nello zoo. Ma per molti, non è abbastanza. Il danno d’immagine è ormai esteso e profondo, sia per lei, che per il parco.
Il mondo dello sport, intanto, osserva in silenzio. Al momento, non sono giunte dichiarazioni dalla federazione pugilistica russa, né da colleghi o colleghe di Luchkina. Ma il suo nome è ora associato a un gesto che potrebbe avere conseguenze gravi per un animale innocente, e non è detto che questo non abbia effetti anche sulla sua carriera.
Questa storia solleva questioni che vanno oltre il caso specifico. In un tempo in cui ogni gesto è registrato e condiviso, l’irresponsabilità digitale può diventare un amplificatore della crudeltà reale. La spettacolarizzazione del rapporto uomo-animale, spesso piegato al solo scopo del “contenuto virale”, sta producendo effetti devastanti sulla percezione del rispetto verso la vita non umana.
Il caso di Anastasia Luchkina non è isolato. In passato, episodi simili hanno coinvolto influencer, turisti, personaggi dello spettacolo. Dalla giraffa presa a sassate per “una foto memorabile”, alle scimmie imbottite di cibo spazzatura nei resort del sud-est asiatico, fino agli animali selvatici tenuti in cattività per selfie e dirette su TikTok. Tutto questo accade, troppo spesso, nella più totale assenza di regolamentazione.
In un mondo dove un like può valere più della vita di un animale, serve una presa di posizione netta. Servono leggi più severe. Serve un cambiamento culturale. Serve, soprattutto, riconoscere che il dolore non parla solo la nostra lingua, e che anche Dana, silenziosamente, sta lanciando un grido.
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