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Il Piemonte del gusto non si arrende e rilancia tra export, turismo e innovazione

Il Piemonte agroalimentare: resilienza e innovazione contro le crisi globali, tra successi nell’export e nuove sfide dell’economia locale

Il Piemonte agroalimentare

Il Piemonte del gusto non si arrende e rilancia tra export, turismo e innovazione

Il Piemonte dell’agroalimentare non si piega alla crisi. Mentre l’economia globale scricchiola tra guerre commerciali, dazi, instabilità politica e consumi interni stagnanti, il comparto agroalimentare della regione continua a crescere, attirando investimenti, creando lavoro e puntando sull’innovazione.

A dirlo è l’undicesima edizione del Food Industry Monitor, realizzata dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo insieme a Ceresio Investors. Il rapporto evidenzia un aumento medio dei ricavi pari al 5,9% su scala nazionale, ma in Piemonte il dato è ancora più interessante: il settore dimostra una tenuta anticiclica, reagendo alle incertezze economiche con un dinamismo sorprendente.

L’export resta centrale, ma anche vulnerabile. Il docente Carmine Garzia, responsabile scientifico dell’osservatorio, lancia un avvertimento chiaro: i dazi imposti dagli Stati Uniti, in particolare sul vino piemontese, rischiano di rallentare una delle filiere più forti dell’export agroalimentare. L’aumento dei costi stimato è intorno al 10%, ma secondo Garzia, i prodotti di eccellenza come Barolo e Barbaresco potrebbero contenere l’impatto, grazie a una clientela disposta a pagare per la qualità.

Non è solo il vino a fare la differenza. Il Piemonte agroalimentare si muove su più fronti, dal latte al riso, dal cioccolato alla carne, e soprattutto sul binomio che lega turismo e consumo locale. Le Langhe, da anni al centro di un flusso crescente di visitatori internazionali, hanno trasformato l’enogastronomia in leva strategica. L’indotto è evidente: aumenta la domanda di prodotti tipici, crescono le occasioni di vendita diretta, si rafforzano le reti tra piccoli produttori e ristorazione. Ma anche qui si intravedono i rischi: eventuali restrizioni internazionali alla mobilità potrebbero raffreddare la spinta turistica e rallentare i consumi.

Il comparto, però, non si limita a cavalcare i mercati. Scommette sul futuro. L’Università di Pollenzo, insieme al Politecnico di Torino, ha attivato nuovi percorsi formativi sul food tech, creando un ponte tra tradizione e tecnologia. Un modo per intercettare la richiesta di nuove competenze, soprattutto in un momento in cui la filiera automobilistica – un tempo motore del Nord-Ovest – è in affanno. L’agroalimentare inizia così a rappresentare un bacino occupazionale alternativo, capace di attrarre giovani e di valorizzare competenze trasversali.

Il cuore pulsante del sistema resta però la famiglia. Oltre due terzi delle imprese piemontesi del settore sono a conduzione familiare. Un modello che, lontano dalle logiche finanziarie speculative, privilegia la stabilità, la continuità e il legame con il territorio. Queste aziende – spesso piccole o medie – sono capaci di resistere alle crisi perché non inseguono utili a breve termine ma una crescita sostenibile, fatta di relazioni consolidate e di conoscenza profonda del proprio mercato.

Il Piemonte, dunque, si presenta come un laboratorio economico che funziona. In un’epoca in cui la globalizzazione mostra le sue crepe, la combinazione tra qualità del prodotto, radicamento locale e apertura all’innovazione diventa una strategia vincente.

Il comparto agroalimentare regionale non è solo un’eccellenza da esibire: è un motore silenzioso ma potente, che tiene in piedi intere comunità, salvaguarda la biodiversità e racconta – ogni giorno – che si può fare impresa in modo diverso.

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