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28 Giugno 2025 - 14:45
Un cratere nel cuore industriale: il marciapiede di Strada Settimo è un pericolo ignorato da tutti
Basta una semplice passeggiata su Strada Settimo, tra lo storico centro commerciale Panorama e le grandi aziende della zona industriale, per entrare in un cortocircuito urbano che ha dell’incredibile. Un tratto di strada strategico, trafficatissimo, ogni giorno percorso da pendolari, camion, autobus e pedoni, si trasforma improvvisamente in un incubo ad occhi aperti: un buco profondo, largo, pericoloso, completamente non segnalato. Un cratere in piena traiettoria pedonale, così evidente nella sua gravità da sembrare finto, e invece è lì, da anni, a sfidare le leggi della logica e della sicurezza pubblica.
Non parliamo della solita buca sull’asfalto che si aggiusta con una palata di catrame. Qui siamo oltre. Qui si tratta di una vera e propria voragine, profonda diversi metri, un abisso urbano in cui chiunque potrebbe finire dentro, specialmente di notte o in condizioni di scarsa visibilità. Una trappola pronta a scattare, figlia dell’incuria e dell’indifferenza istituzionale.
A lanciare l’ennesimo grido d’allarme sono i lavoratori delle aziende che ogni giorno si trovano a passare proprio lì. Tra questi, un impiegato della Zucchi, realtà storica del tessuto industriale locale, racconta un dettaglio che fa venire i brividi:
“Abbiamo provato a sistemare il problema da soli. A nostre spese abbiamo posizionato transenne, coperto il buco con dei pannelli di fortuna. Ma col tempo, tutto è stato portato via dal vento o distrutto dai vandali. Nessuno del Comune ci ha mai risposto. Nessuno ci ha aiutato. Alla fine abbiamo smesso anche noi.”
Il paradosso è evidente: a fronte di una situazione di pericolo conclamato, a due passi da aziende, fermate del bus e scuole guida, nessuno interviene. Le segnalazioni? Finiscono nel buco... quello della burocrazia, s’intende. Il marciapiede, nel frattempo, continua a sbriciolarsi sotto i piedi della gente. E il cratere cresce, come cresce la rabbia di chi è costretto a passarci ogni giorno.
Ma non è tutto. Perché a rendere il quadro ancora più desolante ci pensano due rimorchi abbandonati, parcheggiati lì da tempo immemore, come due carcasse arrugginite, mai rimosse, ignorate da chiunque. Intorno a loro, un piccolo girone dantesco di degrado: sacchi di immondizia, bottiglie di birra vuote, resti alimentari e una persistente, nauseante puzza di plastica bruciata.
“Siamo costretti a lavorare con le finestre chiuse, anche in estate”, racconta ancora l’impiegato. “Qualcuno viene qui a bruciare plastica e materiali tossici. Il fumo entra negli uffici, si respira quella roba. Ci fa male. Ma tanto, lo sanno tutti e nessuno fa niente.”
Tutti vedono. Nessuno agisce. E qui il grottesco si trasforma in beffa, perché il tratto interessato si trova a poche centinaia di metri dal comando dei Carabinieri di Settimo Torinese. Possibile che nessuno abbia mai visto? Possibile che tutti voltano lo sguardo da un’altra parte? La domanda resta sospesa, come il senso civico in questa storia.
La verità è che non si capisce bene chi debba intervenir: il comune di Settimo Torinese, di San Mauro o di Torino?
Di sicuro nessun ha mai fatto un sopralluogo. Morale? Le segnalazioni dei cittadini e dei lavoratori rimbalzano di scrivania in scrivania, da un ufficio tecnico all’altro, e nel frattempo il cratere si allargano ’immondizia aumenta e il degrado si consolida. Una vergogna che prende forma, giorno dopo giorno, sotto gli occhi di tutti.
E pensare che Strada Settimo non è certo una via secondaria. È una dorsale strategica, un asse che collega tre comuni — Settimo, San Mauro e Torino — ed è percorsa quotidianamente da centinaia di mezzi pesanti, da lavoratori, pendolari, autobus, studenti e genitori. Un’arteria vitale per l’economia locale, trattata però come una viuzza di campagna dimenticata da Dio e dagli uomini.
Invece di essere manutenuta con la dovuta attenzione, Strada Settimo è il confine che corre tra il dire e il fare, tra le promesse e la realtà. Una realtà fatta di silenzi, scaricabarile, e cittadini lasciati soli ad arrangiarsi, a tappare le buche con pannelli di compensato come se fossimo in un paese del Terzo Mondo.
E allora viene da chiedersi: quante persone devono ancora rischiare di farsi male perché qualcuno alzi la cornetta? Cosa deve succedere perché un assessore, un dirigente, un tecnico, si prenda finalmente la responsabilità di un intervento?
Perché, sia chiaro, la colpa non è della pioggia. Né del caso. È di chi finge di non vedere. Di chi crede che la manutenzione urbana sia un’opzione e non un dovere. Di chi sventola bandiere verdi, sostenibilità e rigenerazione urbana solo nei convegni, mentre nella realtà si dimentica pure di mettere una transenna.
Fino al giorno — speriamo mai — in cui qualcuno, magari un ragazzino o un anziano, ci finirà davvero dentro a quel buco. Solo allora, forse, qualcuno fingerà stupore. E parlerà di emergenza. Ma sarà troppo tardi. E allora sì, quel buco non sarà più solo una metafora del degrado, ma il simbolo concreto e profondo del fallimento.
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