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24 Giugno 2025 - 12:24
l’IA sta ridisegnando le nostre espressioni quotidiane, e forse anche il nostro modo di pensare.
Nel giro di poco più di un anno, l’intelligenza artificiale ha iniziato a riscrivere le regole del linguaggio umano. Lo testimonia uno studio condotto dal Max Planck Institute for Human Development di Berlino, che ha analizzato oltre 280.000 video accademici su YouTube per individuare l’influenza esercitata da ChatGpt sul modo in cui comunichiamo.
Confrontando contenuti pre e post lancio del chatbot di OpenAI, i ricercatori hanno riscontrato un aumento significativo di termini come “approfondire”, “meticoloso”, “strutturato” e “contestualizzare”. In alcuni casi la crescita di frequenza ha superato il 50%. Si tratta di parole ricorrenti nelle risposte generate dall’IA, ormai penetrate anche nella comunicazione tra esseri umani. L’influsso si fa sentire in podcast, email, forum, post divulgativi e perfino in conversazioni informali.
Secondo gli studiosi, non si tratta di semplice imitazione: l’intelligenza artificiale starebbe contribuendo a modificare i codici espressivi, spingendo le persone verso una forma di linguaggio più ordinata, analitica e formale. Il lessico dei chatbot, modellato per essere chiaro, argomentato e preciso, si sta trasformando in uno standard implicito. Sempre più utenti ricalcano inconsapevolmente quella struttura linguistica anche fuori dai contesti digitali.
La questione va ben oltre l’uso di qualche parola nuova. Lo studio suggerisce che l’adozione diffusa di schemi linguistici propri dell’IA possa incidere sul modo stesso di pensare. Le risposte generate da ChatGpt sono costruite per offrire chiarezza e rigore, ma anche prevedibilità e uniformità. Così facendo, il rischio è che si riduca la varietà espressiva, la spontaneità, la capacità di esplorare percorsi linguistici originali.
Un’indagine del MIT Media Lab rafforza questa preoccupazione: nei test cognitivi, gli utenti che si affidano a ChatGpt per la scrittura mostrano un’attività cerebrale inferiore rispetto a chi scrive autonomamente. In particolare, le funzioni legate alla creatività, alla memoria e all’apprendimento risultano meno attive. L’uso intensivo dei chatbot potrebbe quindi produrre un “debito cognitivo”, riducendo l’agilità mentale e la capacità di elaborazione individuale.
A cambiare non è solo il vocabolario, ma anche la forma stessa della comunicazione. I contenuti divulgativi stanno assumendo sempre più spesso la struttura tipica delle risposte generate dai modelli linguistici: elenchi, paragrafi numerati, tono argomentativo. Questo può facilitare la trasmissione delle informazioni, ma rischia di rendere il linguaggio più piatto e prevedibile.
Gli autori della ricerca mettono in guardia contro la standardizzazione del pensiero e l’appiattimento culturale. Se tutti parliamo allo stesso modo, alimentati da uno stesso motore linguistico, diminuisce la capacità di produrre discorsi divergenti, creativi e davvero personali. A risentirne potrebbe essere la pluralità delle idee, soprattutto in contesti educativi, sociali e culturali. Lo studio segnala infine alcuni limiti, i dati provengono esclusivamente da contenuti in lingua inglese e l’analisi si concentra su un pubblico specifico, quello dei creator accademici. Tuttavia, il fenomeno sembra destinato ad allargarsi. La lingua si evolve, e oggi più che mai lo fa sotto l’influsso di strumenti tecnologici che non si limitano a facilitare la comunicazione, ma la modellano in profondità.
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