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Sommersa dalla frana e ora ripulita, ma il treno sulla linea Chivasso-Asti tornerà mai?

Il Comitato dei pendolari lancia ancora un appello alle istituzioni, che però pare non ci sentano

La galleria ripulita dalla frana della linea ferroviaria Chivasso-Asti

La galleria ripulita dalla frana della linea ferroviaria Chivasso-Asti

Una frana. Stavolta in località Delfino, lato Lauriano, proprio di fianco alla Provinciale 590 della Valle Cerrina. Era aprile, il 17. Il terreno della collina ha ceduto sotto la pioggia incessante e ha sepolto l’ingresso della galleria della Chivasso-Asti. Ancora lei.

Ancora la vecchia linea sospesa dal 2011, utilizzata oggi solo da qualche treno storico che passa, saluta e se ne va. 

Oggi, 23 giugno 2025, l’imbocco della galleria è stato ripulito. Lavori pesanti, a partire dalla base della collina che sovrasta la ferrovia. La vegetazione è stata tagliata, la massicciata ricostruita. Dall’altra parte, San Sebastiano Po, la frana meno invasiva è già stata rimossa da settimane. Il tracciato è di nuovo integro. Ma serve a qualcosa?

Il Comitato dei Pendolari della Collina, quello che da anni si batte per la riattivazione della tratta, ha pubblicato un post. Ed è un post triste, quasi sconfitto. C’è rammarico, c’è sfiducia. E c’è una domanda di fondo: possibile che nessuno creda più davvero in questa ferrovia?

Il paradosso è servito: da due anni, quei binari ospitano qualche treno storico-turistico, in autunno, organizzato dalla Fondazione FS. Due corse all’anno. A bordo turisti, appassionati, famiglie in cerca di suggestioni vintage, politici. Tanti politici. Ma niente pendolari. Niente studenti. Niente lavoratori. Niente servizio pubblico.

Eppure, come hanno sempre ricordato Elio Signoroni Frediano Duttodel circolo La Nostra Collina, questa linea ferroviaria potrebbe rispondere alle esigenze di mobilità dei residenti di tutti i paesi collinari dell’Oltrepo e dell’astigiano, da Lauriano a Montiglio, passando per Cavagnolo, Cocconato, Montechiaro. Potrebbe essere una valida alternativa alla 590, sempre più intasata, inquinata, pericolosa. Invece, resta una linea fantasma.

Nel marzo 2024, al convegno di Palazzo Santa Chiara a Chivasso, l'allora consigliere regionale Gianluca Gavazza aveva lanciato la proposta: un anno di prova, con otto coppie di treni da Chivasso a Montiglio. Non un treno ogni tanto, ma un servizio vero, sperimentale. Un modo per capire se la tratta può tornare utile davvero. Un'ultima spiaggia in vista dell'imminente tornata elettorale. Da allora, nulla. La proposta si è dissolta nel silenzio tipico delle cose non prioritarie.

La petizione promossa da “La Nostra Collina” aveva raccolto oltre 1.200 firme, presentata ufficialmente a Palazzo Lascaris. Ma anche lì, tutto tace.

Lo aveva detto chiaramente anche Fabrizio Debernardi, assessore ai lavori pubblici di Chivasso: “Caro Cirio, perché riapri la Asti-Alba, la Casale-Mortara, e non la Chivasso-Asti?”. Già, perché? Forse perché questa linea dà fastidio. O forse perché non porta voti. O perché la Regione, dal 2011 ad oggi, ha cambiato governatori, assessori, ma non linea politica: tagliare le linee minori, disinvestire. Fine della storia. Che fossero amministratori di centrodestra, come Cirio e Cota, e di centrosinistra eh, come Chiamparino. Non è che le cose, per la collina, fossero andate diversamente durante il regno Pentenero, tanto per dire e a onor del vero, già assessore regionale di Casalborgone.

Nel frattempo, Gabusi, assessore regionale ai trasporti di Forza Italia, l’ha sempre detto senza giri di parole: “Finché ci siamo noi, la Chivasso-Asti non riapre”. Chiaro, limpido, inequivocabile. Nonostante qualche sindaco, soprattutto sul versante torinese (non tutti, eh), ci spera ancora. Mentre sul fronte astigiano, invece, l’aria è diversa.

A Cocconato, durante un incontro con i Comuni, i colleghi chiedevano di smantellare la linea e trasformarla in una pista ciclabile. Sì, proprio così: via i binari, dentro le biciclette.

Ed è qui che nasce il cortocircuito. Perché in questi anni, accanto alla richiesta di riapertura della linea ferroviaria, è cresciuta anche l’idea della pista ciclabile Chivasso-Basso Monferrato. Una ciclovia immersa tra colline e vigneti, con panorami da cartolina e una potenziale attrattiva turistica non da poco.

La politica ha sempre risposto con il solito refrain: “Il treno non è alternativo alla pista ciclabile”. Bene. Ma allora perché non c’è né l’uno né l’altro?

I binari sono lì, ripuliti e sistemati, pronti a far viaggiare la littorina o a essere smantellati per l’asfalto delle due ruote. E invece? Invece tutto fermo. Invece si aspetta. Si prende tempo. Si galleggia.

E pensare che questa linea ha una storia gloriosa. Inaugurata nel 1912, la Chivasso-Asti nacque per unire due territori in forte espansione, con opere ingegneristiche di rilievo come la galleria di Brozolo (quasi due chilometri e mezzo) e il viadotto di Cavagnolo a dieci arcate. Un’opera d’arte. Un progetto nato già nel 1852, rilanciato più volte, realizzato grazie all’ingegnere svizzero Jacques Sutter.

Nel dopoguerra, la linea non fu mai molto redditizia. Poche corse, terza classe per quasi tutti i passeggeri. Ma portava vita. Portava lavoro. Permise l’espansione edilizia nei paesi, come Pomaretto a Cavagnolo. E contribuì anche, paradossalmente, allo spopolamento della collina: il treno era il primo passo verso la città, verso Torino.

Ora potrebbe invertire la rotta. Riportare i giovani, i pendolari, gli studenti. Ma no. Meglio aspettare. Meglio l'oblio.

E allora arriviamo al punto. La domanda che nessuno vuole fare davvero. Ma che è giusto porre, qui, oggi, dopo l’ennesima frana rimossa e l’ennesimo post rassegnato del Comitato: ma la pista ciclabile, no?

Domanda seria. Perché se il treno non ripartirà mai davvero, se non ci sono le risorse, se la Regione non ha alcuna intenzione di investire in una ferrovia per pendolari, allora almeno non si lasci morire tutto. Almeno si dia un’alternativa. Perché una ciclabile, se ben fatta, non è un ripiego. È una risorsa. È turismo lento. È promozione del territorio. È sviluppo sostenibile.

Chi oggi abita quei paesi ha diritto a una risposta. Non può restare ostaggio di rovi, silenzi e binari in disuso. O si riapre il treno. O si fa la ciclabile. Ma qualcosa va fatto.

Perché, ad oggi, su quella tratta non corre niente. E anche la pazienza, piano piano, sta finendo. Pardon, è finita. Da mo'...

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