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Il TAR smaschera RFI: “Non siete lo Stato e dovete pagare!". Ivrea incassa 800 mila euro (circa)

Sberla giuridica a Rete Ferroviaria Italiana. Ivrea vince la battaglia: nessun privilegio per le società pubbliche travestite da Stato.

Il TAR smaschera RFI: “Non siete lo Stato e dovete pagare!". Ivrea incassa 800 mila euro (circa)

Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. dovrà pagare il canone unico patrimoniale al Comune di Ivrea per l’occupazione di Piazza Perrone e Via Riva, dove sono in corso i lavori per l’elettrificazione della linea ferroviaria Chivasso-Aosta, nel tratto eporediese. Parliamo di circa 800 mila euro che non son bruscolini, sufficienti però per far ridere un po' le casse de Comune...

A stabilirlo è stata una lunga e articolata sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda), depositata nei giorni scorsi, che respinge integralmente i due ricorsi presentati da RFI (registri generali 1195/2024 e 1329/2024).

I giudici Gianluca Bellucci (Presidente), Marco Costa (Referendario) e Alessandro Fardello (Referendario, estensore della sentenza) non hanno lasciato spazio a dubbi: RFI non è lo Stato-persona e non ha diritto ad alcuna esenzione. Né in nome della sua missione pubblica, né per il fatto che l’opera sia inserita nel PNRR, né appellandosi a vecchi regolamenti risalenti addirittura al Regio Decreto del 1912. La pronuncia, destinata a fare giurisprudenza, ribadisce un principio semplice ma decisivo: il suolo pubblico è un bene della collettività, e chi lo occupa deve corrispondere il dovuto al Comune, anche se si chiama Rete Ferroviaria Italiana.

I fatti. RFI, rappresentata dall’avvocato Luigi Piscitelli, aveva chiesto e ottenuto dal Comune di Ivrea, assistito dall’avvocato Maurizio Fogagnolo, l’autorizzazione a occupare alcune aree pubbliche per consentire i lavori nella galleria sottostante Piazza Perrone. Ma il Comune, nel rilasciare l’autorizzazione, ha imposto – in entrambe le istanze, datate marzo e luglio 2024 – il pagamento del canone unico patrimoniale, come previsto dal regolamento comunale approvato con delibera consiliare n. 22 del 2021. Da qui la doppia impugnazione: prima con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, poi con trasposizione in sede giurisdizionale dinanzi al TAR.

RFI ha articolato la sua difesa su tre capisaldi: primo, l’illegittimità del regolamento comunale che avrebbe ridotto indebitamente le esenzioni previste dalla legge nazionale (in particolare l’art. 1, comma 833, lett. a, della legge 160/2019); secondo, il suo status di “organo indiretto dello Stato” impegnato in un’opera strategica finanziata con fondi pubblici; terzo, l’applicabilità degli articoli 59 e 60 del Regio Decreto 1447/1912, che in passato esentavano dai canoni le opere ferroviarie.

Ma il TAR ha smontato uno a uno tutti questi argomenti, con una motivazione solida e minuziosa. In primo luogo, ha chiarito che l’esenzione prevista dalla legge 160/2019 si applica unicamente alle occupazioni effettuate dallo “Stato-persona”, non ai soggetti ad esso partecipati o concessionari. E che estendere tale beneficio anche a società come RFI (pur interamente controllata da Ferrovie dello Stato S.p.A. e, a cascata, dal Ministero dell’Economia) significherebbe introdurre un’interpretazione analogica di una norma eccezionale, vietata dall’art. 14 delle preleggi del Codice Civile.

RFI, secondo i giudici, è un soggetto di diritto privato che opera in regime d’impresa. Non esercita poteri pubblici, non svolge funzioni amministrative, ma lavora come un’impresa nel libero mercato, con finalità economiche, pur perseguendo un interesse generale. E quindi paga, come chiunque altro, per l’occupazione del suolo pubblico.

Scrivono i giudici: “L’occupazione di suolo pubblico comunale effettuata da RFI per la realizzazione di un’opera dell’infrastruttura ferroviaria nazionale non è soggettivamente riferibile allo Stato-persona”. E ancora: “Non basta che l’opera sia inserita nel PNRR, né che sia stata approvata in conferenza di servizi con il coinvolgimento del Comune. L’autorizzazione è stata richiesta da RFI, che quindi ha determinato un’effettiva e temporanea sottrazione di una piazza all’uso pubblico”. È questo il presupposto sufficiente per l’applicazione del canone.

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Nemmeno l’invocazione del vetusto Regio Decreto 1447/1912 ha convinto il Collegio. L’art. 60, che esenta dal pagamento le occupazioni di “terreni improduttivi appartenenti allo Stato”, non è applicabile né a strade né a piazze comunali, né tanto meno in un contesto normativo profondamente mutato come quello attuale. Per i giudici, l’art. 49 del regolamento comunale di Ivrea – che rinvia espressamente alla disciplina del canone unico contenuta nella legge 160/2019 – è pienamente conforme alla normativa vigente.

Conclusione: ricorsi respinti, spese compensate, ma principio chiarissimo affermato con forza. Non si può più invocare genericamente la partecipazione pubblica o l’interesse nazionale per sottrarsi ai tributi comunali. La legge è legge, e vale per tutti. Anche per chi costruisce ferrovie.

Una sentenza che, come ammette lo stesso TAR, interviene su “questioni controverse, oggetto di contrastanti letture giurisprudenziali”, ma che adesso assume il valore di un precedente. Difficile, dopo questo pronunciamento, per altre società pubbliche o parapubbliche ottenere l’esenzione automatica dai canoni locali. D’ora in poi sarà più difficile, per le grandi stazioni appaltanti, pretendere privilegi travestiti da missione pubblica.

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Questo non è il primo caso in Italia in cui un Comune richiede il pagamento per l'occupazione di suolo pubblico.

A Milano, nel 2019, il Comune ha chiesto a Telecom Italia il pagamento di una somma considerevole per l'occupazione del suolo pubblico durante i lavori di manutenzione delle reti di telecomunicazioni. Come RFI a Ivrea, anche Telecom Italia ha contestato la richiesta, sostenendo che i lavori, essendo di interesse pubblico, dovessero essere esenti dalla tassa. Il contenzioso si è risolto solo dopo lunghe trattative, con un accordo che ha comportato un pagamento ridotto rispetto alla richiesta iniziale.

Un altro caso significativo si è verificato tra il 2017 e il 2018 a Napoli, dove il Comune ha chiesto a Enel il pagamento per l'occupazione di suolo pubblico durante i lavori di interramento delle linee elettriche. Dopo una lunga battaglia legale, il tribunale ha stabilito che Enel doveva pagare la tassa richiesta dal Comune, poiché, nonostante i lavori fossero di pubblica utilità, non vi era un’esenzione chiara prevista dalla normativa vigente.

Questo caso è spesso citato come esempio di come le opere di pubblica utilità non garantiscano automaticamente esenzioni dalle tasse locali.

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