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Missili su ospedali e raid su reattori: Israele e Iran sempre più vicini al baratro della guerra totale

Iran colpisce un ospedale a Be’er Sheva, Israele risponde con raid su reattori

la diplomazia è in stallo

Iran colpisce l’ospedale Soroka, Israele risponde con cento raid su Teheran

Nel sesto giorno di guerra aperta tra Israele e Iran, il conflitto ha superato una nuova soglia di pericolo. Alle prime luci del 19 giugno, un missile balistico iraniano ha colpito direttamente il Soroka Medical Center di Be’er Sheva, nel sud di Israele. Secondo fonti ufficiali, l’ospedale era stato evacuato per tempo, evitando una strage. Tuttavia, almeno 47 persone sono rimaste ferite tra Be’er Sheva, Tel Aviv e Ramat Gan, tre delle quali in condizioni gravi. Il missile ha centrato un blocco operatorio in disuso, ma ha sollevato il timore di fuoriuscite chimiche al piano superiore. La zona è stata isolata e sottoposta a verifiche ambientali. Per il ministro della Salute Uriel Buso, si tratta di «un atto terroristico e una violazione flagrante del diritto internazionale». Israele ha già classificato l’attacco come un possibile crimine di guerra.

L’Iran ha replicato affermando di aver mirato a una base d’intelligence militare situata nei pressi del Soroka, e ha diffuso un messaggio in farsi per invitare la popolazione ad abbandonare la zona prima del lancio. Ma la realtà dei fatti racconta altro: oltre al Soroka, i missili hanno colpito aree residenziali a Holon e Ramat Gan. I feriti civili si contano a decine. Secondo l’IDF, almeno 30 missili balistici sono stati lanciati su Israele, e quattro hanno bucato il sistema di difesa Iron Dome, segno che l’escalation tecnologica è entrata in una fase pericolosa. La risposta israeliana non si è fatta attendere. Nella notte tra mercoledì e giovedì, è partita l’operazione “Rising Lion”: quaranta caccia hanno sganciato più di cento munizioni di precisione su obiettivi strategici nel cuore dell’Iran. Tra questi, il reattore ad acqua pesante di Arak, l’impianto di Natanz e diversi siti di sviluppo di armi nucleari. Le autorità di Teheran avevano già evacuato alcune aree industriali, ma le esplosioni hanno causato blackout elettrici in almeno tre province, incluso il distretto metropolitano della capitale.

In un clima da Guerra Fredda 2.0, il premier Benjamin Netanyahu ha giurato che «Teheran pagherà un prezzo totale», mentre il ministro della Difesa Israel Katz ha alzato il livello dello scontro minacciando attacchi diretti «contro obiettivi governativi nel cuore della capitale iraniana». Katz ha poi definito la guida suprema Khamenei «un codardo criminale di guerra» che «si nasconde nei bunker mentre ordina di colpire ospedali».

Nel frattempo, lo scontro si muove anche sul piano internazionale. Donald Trump, in corsa per un possibile secondo mandato, starebbe valutando il coinvolgimento americano, compreso l’uso delle bombe “bunker busters” per neutralizzare i laboratori sotterranei iraniani, tra cui Fordow. Ma resta titubante: un’azione del genere richiederebbe il consenso del Congresso e infrangerebbe la sua promessa di non trascinare gli USA in nuovi conflitti mediorientali. Vladimir Putin, intanto, ha condannato le azioni di Israele. Lo scenario si complica ulteriormente con attacchi incrociati di droni, episodi di guerra informatica, campagne di disinformazione e operazioni cibernetiche condotte da entrambe le parti. Israele ha rafforzato le difese lungo tutto il perimetro nazionale, mentre le autorità iraniane parlano di «preparazione a una guerra lunga». I Paesi del Golfo, l’Unione Europea, la Russia e le Nazioni Unite intensificano gli sforzi per una de-escalation diplomatica, ma le azioni militari parlano più forte. Il bilancio provvisorio conta centinaia di morti e migliaia di feriti. Con strutture sanitarie e civili finite nel mirino, le regole del conflitto sembrano saltate. Se Hezbollah dovesse attivarsi dal Libano o se gli Stati Uniti dovessero entrare in scena, il rischio di un conflitto regionale su vasta scala diventerebbe più che concreto. La guerra tra Israele e Iran non è più una questione bilaterale. È una miccia accesa nel cuore instabile del Medio Oriente, e le prossime ore potrebbero decidere il destino di un’intera area geopolitica.

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