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Lo Stiletto di Clio
12 Giugno 2025 - 15:52
Settimo Torinese, 25 aprile 1965, nella piazza della Libertà
Nella storia di Settimo Torinese costituì un vero «unicum» per la profondità del dibattito, la gamma delle iniziative e l’impeccabile coordinamento, senza alcun passo falso dal punto di vista politico. I cittadini – compresi non pochi degli immigrati, soprattutto meridionali, che giungevano in città a migliaia, ogni anno, non conoscendo pressoché nulla dei trascorsi storici d’Italia – vi parteciparono con curiosità, entusiasmo e umana pietà per i caduti. Correva l’anno 1965: si celebrava il ventesimo anniversario della Liberazione.
Le iniziative in programma furono numerose e qualificate. Particolare eco destò il concorso di poesia piemontese: vi parteciparono quarantacinque concorrenti. Della giuria presieduta da Paolo Sosso, il responsabile della Famija Setimeisa, facevano parte illustri esponenti della Companìa dij Brandé (Armando Mottura, Alfredo Nicola) e della Famija Turineisa (Teresio Mittone), nonché il settimese Salvatore Viviani, poeta, resistente garibaldino nelle valli di Lanzo, catturato coi suoi compagni durante una manovra oltreconfine allo scopo di sfuggire a un rastrellamento nemico. Vi era anche Celestina Costa, figlia del poeta Nino Costa e sorella di Mario Costa, studente universitario, partigiano con gli autonomi in Val Chisone, morto durante uno scontro sul monte Génévris, all’età di diciannove anni.
1965, concorso di poesia piemontese
Col componimento «Lou bram» (Il grido) in lingua d’oc, vincitore di una delle due sezioni in cui si articolava il concorso, quello sulla Resistenza in Piemonte, risultò Antonio Bodrero, meglio conosciuto come «Barba Tòni», uno dei più fascinosi poeti visionari del secondo Novecento. L’autore accostò i tedeschi ai saraceni, autori di tante violenze e rovine nelle Alpi occidentali fra il nono e il decimo secolo, immaginando che l’intera natura, dai piccoli animali dei boschi ai lampi e ai tuoni, si fosse mobilitata per scacciare l’invasore. Ma la poesia si prestava anche ad altre letture, incoraggiando la difesa della montagna contro i moderni predatori del mondo consumistico, colpevoli di umiliare e distruggere la civiltà alpina.
Domenica 11 aprile 1965, avvicinandosi la storica ricorrenza, il consiglio comunale di Settimo si riunì in seduta straordinaria. L’anniversario culminò con la grandiosa manifestazione pubblica del 25 aprile. La stampa locale riferì di un’imponente folla («migliaia di persone», secondo il periodico «Il Cittadino Settimese») radunatisi nella piazza antistante alle scuole «Giuseppe Giacosa» (l’odierno palazzo civico). Accanto al palco, dove erano saliti i parenti dei caduti partigiani e le autorità, in mezzo a una selva di bandiere, spiccava un enorme cartello coi nomi dei settimesi periti durante la guerra di liberazione. La giornata ebbe inizio con la messa al campo: a officiarla fu il canonico Guglielmo Pistone, il nuovo parroco di San Pietro in Vincoli, successore di don Luigi Paviolo, il cui nome i settimesi legavano indissolubilmente ai venti mesi della lotta partigiana, mentre un velivolo militare lasciava cadere un mazzo di rose unite dal nastro tricolore. Dopo il corteo per le vie imbandierate, presero la parola Giovanni Boccardo (il partigiano Vinicio), il sindaco Ermanno Bonifetto e il liberale Ercole Malchiodi.
Riportò «Il Cittadino»: «La celebrazione ha avuto il suo momento più commosso quando il presidente dell’Anpi, [Bruno] Venturelli, invitando sul palco i familiari dei ventiquattro caduti per consegnare la tessera “ad honorem”, ha chiamato il nipotino Claudio. Mentre il bimbetto saliva la scaletta del palco […], nella grande piazza c’è stato un attimo di silenzio; tra la folla la commozione era intensa. Alcuni erano in lacrime. Era un padre che nel ricordo del figlio, ucciso per gli ideali di giustizia e libertà, invitava il nipotino a seguirne l’esempio».
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