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Sanità

SOS medici di base: il Piemonte resta scoperto e il sindacato lancia l’allarme

Perché ogni giorno che passa una zona resta scoperta, una famiglia resta senza cure, un cittadino rinuncia a essere seguito con continuità. E il sistema, intanto, si indebolisce.

SOS medici di base

SOS medici di base: il Piemonte resta scoperto e il sindacato lancia l’allarme

In Piemonte si fa fatica a trovare un medico di famiglia. E non succede solo nei paesi di montagna o nei borghi più sperduti. Anche nelle città e nei comuni di pianura, il sistema della medicina di base si sta sgretolando sotto il peso della carenza di professionisti, della burocrazia lenta e di un’organizzazione mai davvero decollata. È questo il quadro che emerge dall’ennesimo allarme lanciato dalla Fimmg, il principale sindacato dei medici di medicina generale, che da giorni ha avviato una campagna mediatica senza precedenti per arruolare nuovi dottori.

Il concorso per coprire le sedi vacanti è aperto fino al 12 giugno, ma le premesse non sono incoraggianti. Il bando precedente, pubblicato nel dicembre 2024, metteva a disposizione 300 incarichi. Di questi, 192 sono rimasti scoperti. A fine 2025 si prevede un ulteriore vuoto di 250-300 posti. Il totale parla da solo: quasi 500 zone senza medico in un territorio che continua a invecchiare e che avrebbe bisogno di più cure, non di meno.

Per il sindacato la colpa non è solo del calo di vocazioni. Il problema, spiega il dottor Roberto Venesia, segretario regionale della Fimmg, è organizzativo e strutturale. Le ASL non hanno ancora pubblicato le sedi realmente carenti, nonostante la legge imponga di farlo entro il mese di marzo. Mancano i numeri, i riferimenti, gli aggiornamenti puntuali. E senza un quadro preciso, i medici non sanno dove ci sarebbe bisogno di loro. In pratica, si chiede di fare domanda alla cieca.

Alla base del ritardo c’è il mancato avvio delle AFT – Aggregazioni Funzionali Territoriali, il nuovo modello su cui dovrebbe basarsi la riforma della medicina territoriale. Ogni AFT dovrebbe raccogliere un gruppo di medici in una determinata zona, assicurando presenza continuativa dalle 8 alle 20 nei giorni feriali, per poi passare il testimone alla continuità assistenziale, cioè la vecchia guardia medica. Un progetto ambizioso, siglato con la Regione nel maggio 2024 dopo lunghe trattative, ma ancora in larga parte inattuato. Le AFT, dice Venesia, non sono state costituite in tempo, non sono state rilevate con precisione le necessità territoriali, e così la Regione resta in attesa e non pubblica le zone scoperte. Nel frattempo, i cittadini restano senza medico.

Medico di base

Ma anche se le carenze venissero finalmente ufficializzate, chi accetterà l’incarico? La nuova normativa prevede infatti che i giovani medici debbano essere operativi fin da subito, senza periodi di avvio graduale. A loro è richiesto di assistere i pazienti e coprire ore aggiuntive nei servizi territoriali, che spaziano dagli ambulatori di comunità ai servizi di continuità, fino ai futuri ospedali di comunità. La scelta della sede e dell’impegno, almeno sulla carta, spetterebbe al professionista. Ma nella pratica, il rischio è quello di un sovraccarico di lavoro ingestibile.

«Un sistema sostenibile – chiarisce Venesia – può esistere solo se l’orario è ben definito e integrato con l’attività clinica. L’accordo regionale prevede già una rimodulazione oraria con un medico fisso per ogni AFT, disponibile ogni giorno dalle 8 alle 20, per evitare che i cittadini si riversino nei pronto soccorso per patologie minori. Ma se queste condizioni non vengono rispettate, il rischio è quello di scoraggiare le nuove generazioni, che si troverebbero a coprire turni diurni e notturni senza adeguato supporto».

E non è un rischio teorico. I numeri dell’ultimo bando lo dimostrano: quasi due terzi dei posti sono andati deserti. Il sistema arranca, e con esso cresce il disagio di chi, in molte zone del Piemonte, non ha più un medico di riferimento. Le fasce più fragili – anziani, malati cronici, persone sole – sono le più esposte. Senza medicina di base, aumentano gli accessi impropri ai pronto soccorso, si allungano i tempi, si affaticano gli ospedali. È l’effetto domino di un problema irrisolto.

Il paradosso è che le soluzioni sono già scritte, nero su bianco. Ma manca la volontà di attuarle con rapidità. Serve una cabina di regia che imponga alle ASL di muoversi, che aggiorni i dati, che assegni le sedi e che accompagni i nuovi medici con strumenti concreti. Serve un investimento vero sulla medicina territoriale, non solo una riforma formale. E soprattutto, serve farlo ora.

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