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Sanità piemontese che caos: tra eccellenze e ritardi che non si colmano

Ospedali di alto livello e apparecchiature obsolete: il paradosso della sanità piemontese

Sanità in Piemonte

Sanità piemontese tra luci e ombre, eccellenze e ritardi che non si colmano

C’è una sanità che opera tumori entro trenta giorni dalla diagnosi, che accorcia i tempi di ricovero e che si guadagna un posto d’onore nei ranking nazionali. E c’è un’altra sanità, fatta di apparecchiature obsolete, di ritardi cronici nelle diagnosi, di medici "a gettone" e borse di studio lasciate vuote. In Piemonte, il volto della salute è quello di un sistema che corre a due velocità, un mosaico di eccellenze e fragilità fotografato con precisione nel libro-inchiesta "Codice Rosso", firmato da Milena Gabanelli e Simona Ravizza.

L’ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo spicca come una delle punte di diamante della sanità italiana, soprattutto nel trattamento oncologico. Qui, la tempestività è la regola: l’intervento avviene entro un mese dalla diagnosi, una tempistica che molte strutture del Nord e del Sud possono solo sognare. Anche l’azienda ospedaliero-universitaria Maggiore della Carità di Novara mostra efficienza, con ricoveri medi più brevi della media nazionale, segno di un’organizzazione snella e mirata al recupero rapido del paziente.

Ma accanto a queste eccellenze, affiorano contraddizioni evidenti e allarmanti. Il 53% delle apparecchiature – tra TAC e risonanze magnetiche – è vecchio, superato, in alcuni casi pericoloso. Alcuni macchinari, ancora in uso in diversi ospedali piemontesi, emettono radiazioni cinque volte superiori al necessario. Una condizione che non dovrebbe esistere in un territorio considerato tra i più avanzati del Paese, e che invece lo accomuna a realtà in difficoltà del Mezzogiorno.

Uno dei paradossi più eclatanti si trova all’AOU San Luigi Gonzaga di Orbassano: ottima gestione dei dati, ma strumenti diagnostici da aggiornare con urgenza. E non è un caso isolato. Anche all’AO SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo di Alessandria, i tempi di attesa si allungano, in contrasto con l’efficienza di Cuneo. Il quadro che emerge è quello di una sanità disomogenea, dove l’efficacia dipende troppo dalla struttura in cui si entra, come se il diritto alla salute fosse una lotteria territoriale.

Oltre ai macchinari vetusti, a pesare è il crescente ricorso ai medici gettonisti, professionisti pagati a giornata per coprire i turni scoperti nei reparti. Una soluzione d’emergenza che, alla lunga, mina la stabilità delle equipe mediche e rende più difficile garantire la continuità dell’assistenza. Parallelamente, il Piemonte soffre anche una cronica carenza di medici di base, figura essenziale per la prevenzione e il filtro delle emergenze. Nel 2023, la regione non è riuscita a coprire tutte le borse di studio per la medicina generale, segno che il problema non è solo di budget, ma anche di attrattività del sistema.

La modernizzazione, invocata da anni, resta a rilento. Il PNRR ha destinato fondi importanti alla sanità, in particolare per la digitalizzazione e la formazione, ma il Piemonte fatica a mettere a terra progetti concreti. I sistemi informativi sono ancora frazionati, rigidi, poco interoperabili, con software che non dialogano tra loro e che spesso costringono il personale a ricorrere alla carta. Una zavorra che rallenta il lavoro quotidiano, aumenta gli errori e impedisce una gestione davvero integrata del paziente.

Nel libro-inchiesta, le autrici sottolineano un concetto chiave: la tecnologia da sola non basta. Servono nuovi modelli organizzativi, un ripensamento del lavoro clinico, formazione continua e una politica sanitaria che non rincorra le emergenze, ma che anticipi le crisi. La qualità delle cure non dipende solo dal chirurgo o dalla macchina, ma da una filiera efficiente, coordinata, reattiva.

Eppure, non tutto è fermo. Il Piemonte è una delle poche regioni che contribuisce alle spese sanitarie nelle RSA, sollevando in parte le famiglie dal peso economico dell’assistenza agli anziani. Un segnale di attenzione che però rischia di essere vanificato se non accompagnato da investimenti strutturali, soprattutto nelle aree interne e nei presìdi territoriali più fragili.

La sanità piemontese, insomma, ha le carte in regola per diventare un modello, ma per farlo deve uniformare verso l’alto, colmare le distanze tra eccellenza e normalità, trasformare le best practice in standard regionali. È una sfida che non si vince solo con i bilanci, ma con una visione chiara, il coraggio di cambiare, la capacità di ascoltare chi ogni giorno lavora tra le corsie.

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