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06 Giugno 2025 - 15:12
ospedale di Lanzo
“Continuiamo a rispettare il cronoprogramma.” Così esordisce, in un comunicato stampa, Luigi Vercellino, direttore generale dell’ASL TO4, ed è subito festa. Si celebra, con tanto di comunicato ufficiale, quello che nella realtà appare come il minimo sindacale: l’avvio degli interventi di chirurgia generale a bassa complessità all’ospedale di Lanzo, a partire dal 12 giugno. La data è segnata sul calendario come se fosse l’inizio di una nuova era. Ma di cosa stiamo parlando, in concreto? Di operazioni semplici, programmate, che non richiedono un’alta intensità di cura. Interventi minori, come se ne fanno a decine ogni giorno in qualsiasi ambulatorio chirurgico secondario. Eppure qui ci si loda da soli, si parla di obiettivi raggiunti, di “forza erogativa” aumentata, di tempi di attesa che si accorciano. Tutto grazie a qualche cataratta e a qualche ernia in più.
In un Paese dove la sanità pubblica si sfalda lentamente, tra tagli, accorpamenti e chiusure silenziose, ogni piccolo passo all’indietro viene rivestito di parole altisonanti per sembrare un passo avanti. A Lanzo si festeggia la chirurgia di base come se si fosse inaugurato un centro trapianti. Si cita il modello hub & spoke, come se fosse la panacea. “Liberiamo spazi operatori presso il centro hub dell’Ospedale di Ciriè, aumentando la nostra forza erogativa e, di conseguenza, riducendo i tempi di attesa”, dice con orgoglio Vercellino. Ma quello che non si dice, è che nel modello hub & spoke c’è sempre chi fa la parte dello spoke: quella marginale, quella che si prende le briciole. E Lanzo è lo spoke per eccellenza. Dove non si investe in vera complessità, dove non si garantisce un servizio d’urgenza degno di questo nome, dove non si parla più di pronto soccorso pienamente operativo.
Il comunicato ci tiene a ricordare che tutto questo era già stato annunciato lo scorso 6 marzo, in un incontro pubblico tenutosi proprio a Lanzo. Una vera parata istituzionale: c’erano Federico Riboldi, assessore regionale alla Sanità, Gian Luca Vignale, assessore al Patrimonio, e tutta la Direzione Strategica dell’ASL TO4. Avevano presentato con entusiasmo il piano di potenziamento dell’ospedale. Si era parlato della riapertura delle sale operatorie a partire dal 10 aprile – avvenuta, si precisa, con puntualità svizzera – per iniziare con l’oculistica, l’ortopedia e la terapia antalgica. Ora arriva il secondo step: la chirurgia generale semplice. E l’ASL se ne compiace, come se stesse restituendo alla comunità montana chissà quale presidio salvavita. Ma chi vive nelle valli sa benissimo che la realtà è un’altra. Sa che si continua a dover percorrere chilometri per un esame diagnostico complesso, per una visita specialistica, per un pronto intervento. Sa che la sanità di prossimità è diventata uno slogan e che dietro parole come “modello organizzativo innovativo” si nasconde una politica sanitaria tutta al ribasso.
Quello che oggi si spaccia per “potenziamento” è in realtà un rattoppo. Si riapre qualcosa che era stato chiuso, si attivano servizi che un tempo erano dati per scontati. E nel frattempo si tace su ciò che non torna, su ciò che non è stato nemmeno previsto: un pronto soccorso funzionante h24, un reparto di medicina interna adeguato, una diagnostica moderna. Nessuna parola viene spesa sul personale, sulle assunzioni, sulla possibilità di curarsi bene senza dover emigrare verso Ciriè o Torino. Basta che si attivi un piccolo servizio, e parte il comunicato autocelebrativo.
Luigi Vercellino, nel finale, si premura di ringraziare la dottoressa Manuela Bianco, direttrice della Direzione Medica Ospedaliera di Ciriè-Lanzo, “e tutti i professionisti coinvolti per la professionalità e l’impegno dimostrati nel realizzare questo importante obiettivo”. Nulla da eccepire sull’impegno degli operatori sanitari, che ogni giorno fanno miracoli in contesti sempre più difficili. Ma che questo venga usato per far passare l’idea che tutto vada bene, che tutto funzioni, che si stia rilanciando davvero un ospedale, è quantomeno irritante.
Sarebbe più onesto dire le cose come stanno: l’ospedale di Lanzo, per anni depotenziato e svuotato, riacquista oggi qualche funzione elementare. Lo si fa perché i centri “hub” scoppiano, perché i tempi di attesa sono insostenibili, perché qualcosa si deve pur fare per alleggerire il sistema. Ma non ci si venga a raccontare che questo è un progetto lungimirante, pensato per il territorio. È una pezza, messa dove si può. E anche il rispetto del cronoprogramma suona più come un’ossessione da verbale aziendale che come una notizia per i cittadini. Perché a chi abita a Lanzo, il cronoprogramma interessa poco. Interessa sapere se l’ospedale tornerà mai ad essere davvero un punto di riferimento, se si potrà contare su cure dignitose senza dover prendere l’auto, se ci sarà un futuro per la sanità pubblica in montagna.
Ma queste domande, nei comunicati ufficiali, non trovano mai risposta. E così ci si accontenta dell’ennesimo piccolo annuncio, dell’ennesimo proclama pieno di parole ma povero di sostanza. Perché, in fondo, viviamo in tempi in cui anche la chirurgia a bassa complessità può diventare un’occasione per tagliare un nastro invisibile. Basta saperla raccontare bene.
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