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25 Maggio 2025 - 10:03
Gaza e Israele, il dibattito a Chivasso finisce nel caos politico
Mercoledì sera nella sala del consiglio comunale, durante la serata dedicata a Gaza, è andata in scena la solita gara interna alla sinistra tra chi è più filopalestinese. Una gara a perdere: c’è sempre qualcuno più filopalestinese di te, come mostra il comunicato di fuoco del Palp (Potere al Popolo) che accusa di ipocrisia gli organizzatori, cioè Sinistra Italiana, Alleanza Verdi Sinistra e Sinistra Ecologista chivassese. Già era comico il trio di organizzatori: i tre “partiti” sono in realtà più o meno la stessa cosa, stesse persone, ma sono uno e trino, così sembra che siano tanti. Era pure abbastanza divertente che il moderatore fosse Frediano Dutto. È il segretario di uno dei gruppi organizzatori: come fa a fare il “moderatore” del dibattito? È pugile e arbitro del match al tempo stesso. E quanto sia “moderato” lo possiamo vedere dalla sua pagina facebook. Una volta vi scrisse che l’ultima speranza del mondo sono i Brics: cioè Russia, Cina, Iran e macellerie a seguire. Per non parlare del relatore Alex M., che non fornisce il cognome, forse perché è già entrato in semiclandestinità, del movimento BDS, quelli che chiedono di boicottare Israele, ma che a boicottare gli impiccatori di donne dell’Iran manco ci pensano.
Naturalmente c’era il pontefice massimo degli indignati speciali e permanenti della sinistra chivassese, cioè l’assessore agli affari esteri Fabrizio Debernardi, che mentre si indignava per la tragedia di Gaza si dimenticava di avvisare i chivassesi che Città Metropolitana sta di nuovo monitorando il percolato delle discariche.
Fabrizio Debernardi
Però queste in fondo sono le solite miserie della sinistra locale, andata in onda già due giorni prima, quando in consiglio comunale la maggioranza ha preso a pesci in faccia i commercianti, con il dotto e pomposo ammonimento del presidente Perfetto: “Qui non siamo al Colosseo”. Infatti si parlava della Tari di Chivasso, non della città eterna.
Ma il problema vero della serata, la sostanza di quel che accade a Gaza, è un altro. Qualcuno dei presenti mercoledì sera si è mai posto la domanda: come garantire la “sicurezza” di Israele? Perché fino a che la cosiddetta “comunità internazionale” non troverà la soluzione di questo problema non ci sarà pace da quelle parti. Oppure potrebbe esserci una pace dei cimiteri, un 7 ottobre in grande scala, cioè lo sterminio dei 7,5 milioni di “ebrei” che vivono in Israele, insieme a due milioni di cittadini di provenienza araba.
Teniamo a mente questi dati: Israele è grande come la Lombardia, e ha meno di dieci milioni di abitanti. Con la differenza che gli israeliani non possono scappare in Piemonte o in Veneto o in Emilia, perché alle spalle hanno il mare, e il tratto più stretto della “Striscia” di Israele misura appena 70 km, che un motociclista di Hamas potrebbe percorrere in poche ore fermandosi ogni tanto a sgozzare e stuprare qua e là.
Meno di dieci milioni di israeliani circondati da centinaia di milioni di popolazioni ostili, parte delle quali hanno in testa un solo obiettivo: accoppare gli “ebrei”, e magari per buon peso anche i “cristiani”. Lo abbiamo visto nei “festeggiamenti popolari” a Gaza e in altri paesi arabi per il 7 ottobre. Parlo delle popolazioni: alcuni governi invece vorrebbero pacificarsi con Israele, ma temono l’antisemitismo dei loro stessi popoli, un antisemitismo così forte, radicato e diffuso che potrebbe destabilizzare quegli stessi governi, a cominciare da Giordania ed Egitto, qualora quei governi non si mostrassero sufficientemente antiisraeliani. Mentre altri governi, come quello dei macellai di Teheran, primatisti mondiali di condanne a morte in concorrenza con la Cina, vorrebbero cancellare Israele dalla faccia della terra e lo dicono un giorno sì e l’altro anche.
La verità che i Propal riuniti mercoledì sera in sala consiliare non vedono o non vogliono vedere è questa: lo Stato di Israele è un piccolo paese, circondato da un mare di nemici, e che è costretto a difendersi con le armi da quando è nato. Ma noi ci preoccupiamo della “sicurezza” di tutti i paesi meno che Israele. Ci chiediamo, giustamente, come mettere in sicurezza Ucraina, Finlandia, Polonia, i paesi baltici, tutti minacciati dall’espansionismo russo, e anche Taiwan ambita dai cinesi. Qualche bizzarra testa d’uovo e il Partito Unico Russo d’Italia (Lega Nord e altri del “campo progressista”) ogni tanto si pongono anche il paradossale problema di come garantire la “sicurezza” della Russia, cioè dell’aggressore armato fino ai denti e che nessuno minaccia di aggredire (la Russia se la sta rosicchiando la Cina ma questo è un altro discorso).
Manifestazione filopalestinese
E la sicurezza dello Stato di Israele? Un paese in guerra dalla nascita nel 1947: nel caso di condizioni di emergenza su chi potrebbe contare Israele? Sugli altri “ebrei” nel mondo? Gli ebrei sono 15 milioni in tutto il mondo, compresi i 7,5 milioni di israeliani. Sugli americani che li hanno sostenuti per decenni? Oggi Trump potrebbe improvvisamente staccare la spina degli aiuti militari se un mattino si alza col piede sbagliato. Vogliamo una seconda Shoah?
Se i Propal riuniti in sala consigliare vogliono una seconda Shoah lo dicano apertamente. Palp fa il furbo: il suo slogan è “Palestina libera dal fiume al mare”, dal Giordano al Mediterraneo. I pudibondi Palp non lo dicono, ma Palestina libera “dal fiume al mare” vuol dire libera dagli ebrei: è questo che vogliono i Palpisti, compresa l’illustre accademica irlandese presente fra i relatori? Buttare a mare gli israeliani, farli affogare dopo averne uccisi un bel po’? Lo dicano, senza fare i furbetti.
Gli “ebrei” hanno sbagliato a insediarsi in “Palestina”? Può darsi. Ma quale era la loro condizione quando la componente sionista dell’ebraismo scelse la Palestina per fondare uno stato e un esercito, e grazie alla potenza di quell’esercito poter dire “mai più” pogrom e camere a gas? La loro condizione era quella di un popolo disperso e perseguitato da 19 secoli, dalla distruzione del Tempio e dalla seguente diaspora in Russia, in Europa, in Africa settentrionale, e negli Usa. Mettiamoci al loro posto, al posto degli ebrei europei fra le due guerre mondiali, quando in Europa cresceva l’antisemitismo fino a toccare il culmine ad Auschwitz. Una parte dell’ebraismo scelse di andare in Palestina. Certo la Palestina era già abitata, e andarci forse fu un errore. Ma oggi in Israele vivono i nipoti e i bisnipoti dei fondatori dello Stato di Israele: portano la colpa dei loro antenati? Anche i “bambini” israeliani hanno il diritto di vivere: ma vivono nel terrore di un nuovo 7 ottobre, dei missili che arrivano dallo Yemen, dal Libano di Hezbollah, dall’Iran dei preti sanguinari.
E dunque come la troviamo la garanzia della “sicurezza” di dieci milioni di israeliani? Finché non l’avremo trovata, non dobbiamo stupirci che Israele cerchi di espandersi a Gaza e in Cisgiordania per crearsi delle fasce di “sicurezza”, e da quelle regioni cerchi di espellere le organizzazioni terroristiche come Hamas, e pure le popolazioni che festeggiarono con i pasticcini il 7 ottobre. Hanno un’alternativa? Oggi, qui ed ora? Lo slogan dei due stati e due popoli è un’illusione delle anime belle e una fonte di voti per i politici a caccia di facile consenso. Israele non potrà mai tollerare uno Stato palestinese ai suoi confini, uno Stato che poco alla volta si riempirebbe di terroristi e di islamisti radicali provenienti da tutto il Medio Oriente.
Ma coloro che mercoledì sera stavano in sala consiliare queste domande non se le fanno: quando parlano di Israele indossano un triplice strato di mortadella sugli occhi e regrediscono all’infanzia. Nelle loro tiepide case, possono permettersi di mettere in pace la loro coscienza di ex rivoluzionari falliti urlando “Palestina libera dal fiume al mare” senza nemmeno sapere cosa vuol dire veramente.
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