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24 Maggio 2025 - 14:48
Guinness Torino
Torino perde un altro pezzo della sua storia industriale e commerciale. Questa volta a fare le valigie è Diageo Italia, filiale del colosso britannico degli alcolici, che ha deciso di chiudere la sua sede torinese di via Lugaro 15, cuore nevralgico delle operazioni amministrative e commerciali legate a uno dei marchi più iconici al mondo: Guinness.
Entro la fine dell’anno, 110 lavoratori — 65 venditori e 45 impiegati amministrativi — saranno trasferiti nella nuova sede milanese di viale Luigi Sturzo 45, a due passi da Porta Garibaldi. Per alcuni, sarà un trasloco forzato. Per altri, un bivio difficile tra ricollocazione e rinuncia.
La notizia è stata comunicata formalmente nel primo incontro tra azienda e sindacati l’8 maggio, ma i segnali erano nell’aria da tempo. E nonostante Diageo parli di una scelta strategica e di un rilancio dell’attività in Italia, la realtà appare ben diversa agli occhi di chi da anni lavora negli uffici torinesi.
“L’azienda ci ha comunicato l’intenzione di investire, ma non nel nostro territorio”, ha spiegato ai giornalisti Lara Calvani, segretaria generale della Flai-CGIL, che si è fatta portavoce di un disagio profondo, prima ancora che sindacale. La nuova sede sarà all’avanguardia, moderna, ben connessa alla rete ferroviaria e metropolitana milanese. Ma resta il fatto che chi oggi lavora a Torino si troverà a dover scegliere se trasferirsi — con tutto ciò che ne consegue in termini familiari, economici e logistici — o restare indietro, magari con la speranza di un improbabile smart working, che però Diageo, almeno per ora, non ha messo nero su bianco.
La ferita è ancora più profonda se si pensa che, solo pochi mesi fa, la multinazionale aveva ceduto anche lo stabilimento produttivo di Santa Vittoria d’Alba, in provincia di Cuneo. Un altro tassello che esce dalla mappa piemontese, anche se in quel caso l’impianto è stato salvato da NewPrinces Group, garantendo la continuità dell’attività e il posto a 349 lavoratori. Ma qui la questione è diversa. Perché la chiusura della sede torinese non riguarda solo una fabbrica: riguarda una presenza storica, una rete commerciale radicata, una filiera che — nel suo piccolo — aveva contribuito a mantenere vivo un comparto già fragile. In via Lugaro non si produceva birra, è vero, ma si coordinavano vendite, marketing, distribuzione, logistica, amministrazione. Si tenevano in piedi i conti italiani di un colosso da miliardi.
Guinness, fondata a Dublino nel 1759 da Arthur Guinness, è molto più di una birra. È un simbolo, una leggenda liquida servita in oltre 150 Paesi, con oltre 10 milioni di bicchieri bevuti ogni giorno nel mondo. Una stout scura e densa, riconoscibile al primo sorso per la sua inconfondibile cremosità e l’amaro tostato di malti e orzo. In Italia, il marchio è distribuito da Diageo attraverso i canali della grande distribuzione organizzata, dei pub e dei locali specializzati. Negli ultimi anni, per intercettare le nuove tendenze, è stata lanciata anche la Guinness 0.0, versione analcolica della classica birra, che ha trovato un proprio pubblico in crescita. Il gruppo punta forte su questo segmento: basti pensare che, secondo dati interni, nel 2023 la sola Guinness 0.0 ha registrato un incremento del 30% delle vendite globali, con l’Italia tra i mercati più promettenti.
Ma nonostante questi numeri, e nonostante la diffusione del marchio nel nostro Paese, il Piemonte viene escluso dalla nuova geografia industriale tracciata da Diageo. La Lombardia, evidentemente, è oggi considerata il nuovo baricentro del mercato italiano. Una scelta che però non tiene conto delle persone. Molti dei dipendenti coinvolti hanno più di cinquant’anni, famiglie, figli a scuola, radici profonde nella città. E un trasferimento non si improvvisa. Lo smart working, ventilato come soluzione “tampone”, non è percorribile per tutti i ruoli, né è stato proposto ufficialmente come alternativa stabile. Al momento, l’unica certezza è che entro dicembre i locali di via Lugaro saranno svuotati. E Torino avrà perso un altro pezzo del suo patrimonio industriale.
Il prossimo appuntamento è fissato per il 5 giugno, data in cui si aprirà un nuovo tavolo di confronto tra azienda e rappresentanti dei lavoratori. Il sindacato chiederà garanzie, alternative, tempi più lunghi, eventuali incentivi alla ricollocazione. Ma l’impressione, amara, è che la decisione sia già stata presa. E che Torino debba prepararsi a salutare non solo 110 posti di lavoro qualificati, ma anche un altro marchio internazionale che abbandona il territorio, lasciando dietro di sé un vuoto difficile da colmare.
Nel silenzio delle istituzioni locali, che finora non hanno alzato la voce, la questione non riguarda solo Diageo o la Guinness, ma il futuro industriale della città. Una città che un tempo era capitale della manifattura e che oggi, giorno dopo giorno, vede sfumare presidi, sedi, stabilimenti. E con essi, professionalità, competenze, dignità. La chiusura dell’ufficio Diageo non è un episodio isolato, ma l’ennesimo segnale di un declino che rischia di diventare strutturale. E che, come spesso accade, colpisce prima i lavoratori. Poi l’economia. E infine l’identità stessa di un territorio.
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