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Procreazione assistita alle donne single, la Consulta dice no: “Ma il Parlamento può cambiare la legge”

La Consulta respinge il ricorso, ma apre la porta a un intervento legislativo: “Nessun ostacolo costituzionale all’accesso alla procreazione assistita per le donne singole”

Procreazione assistita alle donne single

Procreazione assistita alle donne single, la Consulta dice no: “Ma il Parlamento può cambiare la legge” (foto di repertorio)

“Un’occasione mancata, ma non una porta chiusa.” È questo, in sintesi, il sentimento con cui Evita, 40enne torinese, accoglie la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato legittimo il divieto di procreazione medicalmente assistita (PMA) per le donne single, previsto dall’articolo 5 della Legge 40 del 2004. La questione era stata sollevata proprio a partire dal ricorso presentato da Evita, dopo che una clinica toscana le aveva negato l’accesso alla PMA nel 2023. Il Tribunale di Firenze aveva poi rimesso il caso alla Consulta, affiancato da altri ricorsi simili, tra cui quello di un’altra donna, Serena, e dell’Associazione Luca Coscioni.

La Consulta ha respinto il ricorso, ma ha sottolineato che non esistono ostacoli costituzionali a una modifica della legge, se il Parlamento lo riterrà opportuno. E proprio su questo punto si concentra l’appello di Evita: «Spetta al Parlamento dimostrare se è in grado di ascoltare la realtà delle donne che scelgono consapevolmente di diventare madri anche fuori dal perimetro della famiglia tradizionale». Per lei, la sentenza rappresenta «un’occasione mancata per affermare che il desiderio di genitorialità non può essere filtrato da pregiudizi o da schemi superati».

Anche l’Associazione Coscioni, per voce dell’avvocata Filomena Gallo, parla di «discriminazione non superata», ma valuta positivamente il fatto che la Corte abbia lasciato spazio all’intervento legislativo. Francesca Re, avvocata e coordinatrice della campagna “PMA per tutte”, ricorda che una petizione firmata da quasi 30mila persone è già stata inviata al Parlamento per chiedere la modifica dell’articolo 5.

«Continueremo a lottare», promette Evita. Perché, anche se la Corte ha detto no, la partita ora si gioca in Parlamento, tra i banchi della politica e i diritti ancora sospesi.

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