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19 Maggio 2025 - 21:28
traforo monte bianco
Chi ha programmato una vacanza autunnale tra l’Italia e la Francia, o peggio ancora vive di trasporto merci sull’asse Torino-Lione, segni bene queste date: dal 1° settembre al 12 dicembre 2025 il Traforo del Monte Bianco, uno dei collegamenti stradali più importanti d’Europa, resterà completamente chiuso al traffico. Nessuna eccezione, nessun passaggio notturno, nessuna finestra per i mezzi di soccorso. Una chiusura netta, drastica, annunciata con largo anticipo ma destinata a impattare con forza su tutto il sistema viario alpino.
La causa? Il secondo cantiere-test del piano di risanamento della volta del tunnel, dopo quello effettuato nel 2024. Un intervento di manutenzione straordinaria che coinvolgerà un tratto di 254 metri: saranno rimossi i vecchi elementi strutturali, consolidata la volta, impermeabilizzata e ricostruita con nuove tecnologie pensate per durare almeno altri 50 anni.
L’obiettivo, dicono dal GEIE-TMB (il Gestore Europeo del Traforo), è garantire la sicurezza degli utenti e la resilienza del collegamento, anche in vista dell’aumento di eventi climatici estremi. Ma intanto, per oltre tre mesi, il traforo sarà solo un ricordo. Un buco nella montagna, ma anche un buco nei bilanci di chi con quella galleria lavora.
Inaugurato nel 1965, il traforo è lungo 11,6 chilometri e collega Courmayeur in Valle d’Aosta con Chamonix, in Alta Savoia. È una delle principali vie di scambio tra Italia e Francia, attraversato da oltre 1,7 milioni di veicoli all’anno, di cui una quota significativa di mezzi pesanti. È anche simbolo e testimone della cooperazione transfrontaliera, ma soprattutto è una scorciatoia vitale per l’economia del nord-ovest italiano.
Con la chiusura, l’intero flusso di traffico – turistico, commerciale e locale – dovrà cercare altre vie. Il 90% dei mezzi pesanti si riverserà sul Traforo del Frejus, già normalmente congestionato. Gli altri si divideranno tra il Gran San Bernardo e i colli alpini, che però, come ben si sa, sono chiusi nei mesi più freddi. Non proprio la soluzione ideale per un cantiere che si protrae fino a dicembre inoltrato.
Il rischio concreto è quello di una situazione caotica sulle strade alpine, con colonne di camion, tempi di percorrenza raddoppiati, impennata dei costi per carburante e pedaggi, e soprattutto, danni indiretti all’economia locale. Gli operatori turistici della Valle d’Aosta e dell’Alta Savoia temono un effetto domino: calo dei pernottamenti, disdette, isolamento percepito.
I pendolari e i frontalieri, invece, dovranno armarsi di pazienza. A meno di non passare per l’autostrada A32 e dirigersi verso il Frejus, aggiungendo chilometri, tempo e denaro al proprio tragitto.
Dal punto di vista tecnico, la risposta è sì. I lavori sono necessari. Dopo 60 anni di esercizio e il trauma dell’incendio del 1999, il traforo è monitorato costantemente, ma alcune porzioni della volta richiedono ormai un intervento profondo. Il progetto prevede cantieri a step, per evitare un blocco totale e duraturo dell’infrastruttura, come accaduto per altri tunnel europei. Nel 2024 era toccato a un primo tratto; nel 2025 si replica, con l’intenzione di testare e validare tecniche costruttive che poi saranno applicate a tratti successivi.
Ma anche in questo caso la domanda che circola tra amministratori locali e cittadini è: non si poteva fare prima, meglio, o almeno in tempi meno penalizzanti?
In una nota ufficiale, la società che gestisce il traforo ha precisato che gli abbonamenti da 10 o 20 transiti non utilizzati saranno automaticamente prorogati di 4 mesi, senza necessità di alcuna richiesta da parte degli utenti. Un piccolo sollievo, ma che certo non compensa i disagi in arrivo.
I lavori in corso rappresentano una transizione verso una gestione più moderna e sicura dell’infrastruttura. In futuro, il traforo potrebbe essere completamente rinnovato, con materiali innovativi, maggiore automazione nei controlli, sistemi di ventilazione più potenti e sostenibili. Ma tutto ciò ha un costo: economico, logistico, sociale.
Il Monte Bianco, che da secoli divide e unisce popoli e lingue, torna a fare da barriera fisica. Una chiusura simbolica, ma anche concreta. Una prova di resistenza per territori che vivono di connessioni e che ora si ritrovano isolati da un confine montano che sembrava ormai superato.
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