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Dalla casa di via Marconi 33 alle interviste a Fidel Castro e a Maradona: omaggio a Gianni Minà

Il Comune di Brusasco, in provincia di Torino, ha dedicato un intenso omaggio al giornalista che ha saputo raccontare il mondo con uno sguardo curioso, critico, umano

La targa dedicata a Gianni Minà in via Marconi 33 a Brusasco

La targa dedicata a Gianni Minà in via Marconi 33 a Brusasco

Due giorni per ricordare Gianni Minà, due giorni per entrare nella sua memoria viva. Venerdì 16 e sabato 17 maggio, il Comune di Brusasco, in provincia di Torino, ha dedicato un intenso omaggio al giornalista che ha saputo raccontare il mondo con uno sguardo curioso, critico, umano. È stata un’occasione non solo per inaugurare la targa commemorativa posta sulla casa di via Guglielmo Marconi 33, dove Minà visse da bambino durante lo sfollamento del 1943, ma anche per restituire alle nuove generazioni il senso profondo di un mestiere che fu, per lui, una missione.

La cerimonia è stata l’occasione ufficiale per consegnare simbolicamente la Cittadinanza Onoraria già conferita a Minà nel 2022. A riceverla, visibilmente emozionata, Loredana Macchietti, compagna di una vita e oggi custode della sua eredità culturale. È stata lei, con garbo e intensità, a raccontare l’uomo dietro il mito, il professionista instancabile ma anche il compagno, l’amico, il sognatore.

Dopo l’inaugurazione della targa, i cittadini si sono ritrovati nel salone Don Accornero per la proiezione del documentario “Gianni Minà: una vita da giornalista”. Un viaggio nei sessant’anni di carriera di un uomo che ha fatto della narrazione una forma di giustizia, dando voce ai dimenticati, ai ribelli, agli ultimi. A seguire, l’ufficializzazione della cittadinanza onoraria ha suggellato il legame affettivo e simbolico tra Minà e Brusasco.

Sindaci del chivassese ed autorità con Loredana Macchietti, vedova di Gianni Minà

La giornata di sabato è stata invece dedicata al confronto. La mattina, una conferenza su “Le strategie di comunicazione e l’etica nell’era dell’IA”, pensata soprattutto per educatori e genitori, ha offerto uno spunto su come lo stile minano — rigoroso ma mai retorico — possa ancora essere un modello in un’epoca di algoritmi e narrazioni tossiche. Nel pomeriggio, l’appuntamento dal titolo “Fame di storie”, ospitato nella biblioteca civica, ha portato al centro della discussione i libri di Minà, la sua scrittura appassionata, la sua tensione morale.

Ma chi era davvero Gianni Minà? Era un cercatore di storie, un costruttore di ponti tra mondi apparentemente lontani. Nato a Torino nel 1938 e scomparso nel 2023 a Roma, ha attraversato decenni di storia con taccuino e telecamera, restituendoci ritratti indimenticabili. Ha lavorato con Tuttosport, di cui è stato anche direttore, ha raccontato la boxe, il calcio, le Olimpiadi, ma ha soprattutto saputo trasformare lo sport in una metafora della società.

Il suo sguardo si è spostato presto dal ring ai conflitti globali: dall’America Latina dei desaparecidos al Chiapas del Subcomandante Marcos, da Fidel Castro a Che Guevara, da Rigoberta Menchú Tum a Muhammad Ali, da Maradona a Eduardo Galeano. E poi i programmi per la Rai: “Blitz”, “Alta Classe”, “Storie”, “Zona Cesarini”, tutti con la stessa cifra stilistica: contaminazione tra linguaggi, rispetto per l’interlocutore, rifiuto della semplificazione.

È stato anche un autore prolifico: i suoi libri, da “Il racconto di Fidel” a “Un mondo migliore è possibile”, fino all’autobiografia “Storia di un boxeur latino”, sono un esercizio di resistenza intellettuale. Non per caso, il nome della collana da lui diretta per Sperling & Kupfer era “Continente desaparecido”: un omaggio al Sud globale, ai popoli cancellati, alle voci non allineate.

Gianni Minà e Maradona (foto tratta dal sito internet www.giannimina.it)

Minà era tutto fuorché neutrale. Ma era sempre giusto. La sua parte era quella dei popoli in lotta, dei bambini che non hanno voce, degli artisti che rompono gli schemi. Eppure, non ha mai smesso di ascoltare l’altro, anche quando l’altro era scomodo. Le sue interviste a Fidel Castro — sedici ore di dialogo ininterrotto — non erano complicità, ma un modo per restituire al pubblico il senso di una visione. La stessa cura ha messo nelle interviste con Ali, Baez, Fellini, De Andrè, Gregory Corso. Sempre uno sguardo rispettoso, mai da cronista distratto, mai da turista del dolore.

La Fondazione Gianni Minà, nata nel 2023 per volere di lui e di Macchietti, custodisce oggi quell’immenso patrimonio di immagini, parole, esperienze. Una piattaforma digitale lo rende accessibile a tutti, e su RaiPlay è disponibile la serie “Gianni Minà, cercatore di storie”, un’antologia di venti puntate selezionate dalle teche Rai.

Quello di Brusasco è stato un omaggio vero. Non una liturgia nostalgica, ma un atto di riconoscimento per ciò che Minà ha rappresentato e ancora rappresenta. Non è un caso che proprio in questo piccolo centro del Piemonte, dove visse bambino, oggi si torni a parlare di comunicazione, di etica, di storie. Perché le storie, diceva Minà, sono l’unico modo che abbiamo per capirci davvero.

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